Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18948 del 05/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 05/07/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 05/07/2021), n.18948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19110/2017 proposto da:

FRUENDO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo

studio dell’avvocato SAVERIO CASULLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GUGLIELMO BURRAGATO;

– ricorrente –

contro

A.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

BOLOGNESI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

B.R., (nella sua qualità di eredi di B.P.),

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A.;

– intimati –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO DI R.G. proposta da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIA COLONNA 39, presso lo studio dell’avvocato MARCO

PASSALACQUA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ANTONELLA NEGRI, ANNA GRAZIA SOMMARUGA, MARCELLO GIUSTINIANI,

GIOVANNI ANICHINI;

– ricorrente successivo –

contro

A.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

BOLOGNESI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

al ricorso successivo – B.R., FRUENDO S.R.L.; – intimati

avverso la sentenza n. 1567/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/03/2017 R.G.N. 3345/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2021 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i motivi

dei ricorsi, cessazione per coloro che hanno conciliato;

uditi gli Avvocati CASULLI SAVERIO e BURRAGATO GUGLIELMO;

udito l’Avvocato MARCELLO GIUSTINIANI;

udito l’Avvocato RICCARDO BOLOGNESI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 24.3.2017, e successiva correzione di errore materiale nell’intestazione della stessa, in data 5.5.2017, la Corte d’appello di Roma dichiarava la sopravvenuta cessazione della materia del contendere per intervenuta conciliazione in sede sindacale delle posizioni degli appellanti B.C., D.C., P.G., P.F., M.G., M.G.C., G.M. e G.S. ed, in accoglimento del gravame degli altri appellanti, in riforma della gravata sentenza del Tribunale della stessa città, dichiarava l’inefficacia della cessione dei loro rapporti di lavoro operata con il contratto di trasferimento di ramo d’azienda stipulato tra la Banca Monti dei Paschi di Siena s.p.a. e la società Fruendo a r.l. il 30.12.2013, e la conseguente prosecuzione del rapporto di lavoro di ciascuno dei predetti appellanti con la Banca Monte dei Paschi di Siena ad ogni effetto di legge e di contratto, anche dopo il giorno 30.12.2013.

2. Gli esponenti premettevano: che erano stati tutti dipendenti della Banca Monte dei Paschi di Siena e di avere lavorato in distacco presso il Consorzio operativo di Gruppo – Centro gestionale, istituito nel 1999 per lo sviluppo e la gestione dei sistemi informatici e di telecomunicazione, nonchè per l’erogazione dei servizi amministrativi di “back office” in favore delle diverse società del Gruppo Monte dei Paschi; che, nel mese di dicembre 2012, era stata costituita all’interno della BMPS la Divisione attività amministrative contabili ed ausiliarie connesse alla cd. “attività di governo”; che in realtà tali operazioni erano state realizzate con lo scopo di precostituire l’autonomia organizzativa ed economica della nuova struttura (DAACA), di fatto priva di tale caratteristica ed, anzi, inscindibile e non individuabile come entità autonoma; che, nell’ambito della detta riorganizzazione, erano stati scorporati dalla Divisione DAACA i settori Finanza e Supporto alla Rete, nonchè alcuni reparti del settore Attività Amministrative e credito e dei settori Attività Aziendali e Contabili; che, circa un mese prima della cessione dell’asserito ramo d’azienda, le predette attività ed il personale ivi applicato erano stati inseriti nella nuova struttura ASSB – Area Servizi Specialistici per il Business – ed era stata ceduta meno della metà delle risorse presenti nella DAACA e provenienti dal COG (Consorzio Operativo Gruppo BMPS); che l’oggetto del contratto di cessione del ramo d’azienda alla Fruendo s.r.l., sottoscritto il 30.12.2013, era rappresentato dal “… complesso dei beni organizzati dal venditore per la prestazione dei servizi di Back office, costituto dalle attività, passività e dei rapporti giuridici di seguito individuati…”.

3. La Corte distrettuale, differentemente da quanto statuito dal Tribunale – che aveva ritenuto che la cessione in esame non costituisse una mera esternalizzazione di servizi, bensì il trasferimento di una struttura aziendale stabilmente dotata di autonomia organizzativa e funzionale, conforme alla previsione dell’art. 2112 c.c., con conseguente applicazione delle relative forme di tutela ed irrilevanza del dissenso manifestato dai ricorrenti -, e rilevata la sussistenza dell’interesse ad agire degli appellanti, riteneva necessaria alla legittima traslazione la preesistenza di un’articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda, ciò risultando presupposto dalla legge delega n. 30 del 2003, che orientava nel senso della necessità dell’obiettiva apprezzabilità di una tale autonomia, sia pure in presenza di possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne l’imprescindibile requisito comunitario della sua “conservazione”.

4. Osservava che non poteva ammettersi, alla luce dei principi comunitari, che il legame funzionale potesse derivare solo dalla qualificazione fattane dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento, consentendo ai soggetti stipulanti il negozio traslativo la libera definizione della fattispecie cui la norma inderogabile si applicava, in contrasto con l’inderogabilità dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda, corollario del principio per il quale la vicenda traslativa si perfeziona ipso iure risultando irrilevante la contraria volontà delle parti del negozio traslativo.

5. A ciò conseguiva, secondo la Corte, l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 2112 c.c., anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività della società cessionaria, purchè esso presentasse, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto di cessione, la propria organizzazione di beni al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di obiettive finalità produttive, con conseguente trasferimento dei reciproci rapporti dal cedente al cessionario ai sensi dell’art. 2112 c.c., senza necessità di un loro consenso.

6. Veniva evidenziato come nella specie oggetto del trasferimento alla Fruendo non era stata la DAACA nella sua iniziale consistenza ed interezza, dato che alcuni servizi della stessa non erano stati trasferiti, così come singoli ed autonomi reparti o settori facenti parte degli altri servizi trasferiti, che erano stati infatti scorporati, e tale riorganizzazione della DAACA si era realizzata meno di un mese prima della effettività della cessione del ramo d’azienda. Non erano stati, poi, ceduti i softwares applicativi per l’espletamento delle attività oggetto della cessione, rimasti in proprietà della BMPS che li aveva concessi in uso alla società cessionaria, creata come new company costituita proprio per l’acquisizione della DAACA. La esistenza di due contratti di appalto stipulati per rendere possibile la funzionalità del ramo ceduto contraddiceva la sostenuta preesistenza dell’autonomia funzionale della struttura ceduta, indicata significativamente come complesso di beni organizzati dal venditore per la prestazione di servizi di Back office, costituito da attività, passività e rapporti giuridici in esso indicati, senza alcuna precisazione degli specifici servizi di back office trasferiti, il che si traduceva in un’impossibilità di identificare il compendio ceduto.

7. Veniva disattesa l’istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE anche in ragione della cedevolezza delle direttive rispetto al diritto interno che, con valutazione in concreto, risultasse più favorevole, come nella specie.

8. Di tale decisione domanda la cassazione la BMPS s.p.a., facendo precedere ai motivi la richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE ed affidando l’impugnazione a sette motivi.

9. Separato ricorso avverso la stessa sentenza è proposto dalla s.r.l. Fruendo, con sei motivi di impugnazione. Ad entrambi i ricorsi hanno resistito i lavoratori, tra questi L.F. e S.R., quali eredi di L.P. e B.R., quale erede di B.P..

10. Ad entrambi i ricorsi hanno resistito i lavoratori epigrafati con unico controricorso.

11. Tutte le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., contenenti istanza di declaratoria di cessazione della materia del contendere nei confronti di alcuni dei controricorrenti: A.R., + ALTRI OMESSI.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse alla prosecuzione del processo, in ragione dei verbali di conciliazione sottoscritti tra le parti innanzi indicate e le società in epigrafe, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra dette parti.

Non risultano, invece, aver conciliato la lite tutti gli altri lavoratori epigrafati.

Per essi occorre, quindi, delibare i ricorsi proposti.

RICORSO BMPS s.p.a..

2. In primo luogo, è riproposta in via pregiudiziale istanza di rinvio alla CGUE ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) per ottenere chiarimenti sull’interpretazione del diritto dell’Unione e, segnatamente, della Direttiva n. 2001/23/CE, in relazione al campo di applicazione della disciplina del trasferimento d’azienda.

3. Con il primo motivo, sono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione alla mancata ritenuta insussistenza del difetto di interesse ad agire dei ricorrenti

4. Con il secondo motivo, si lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per non avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto, in relazione alla individuazione degli elementi qualificanti detta autonomia, non potendo assumere rilevanza in senso preclusivo rispetto ad una legittima cessione del ramo la mancanza di trasferimento delle attività di back office nella loro iniziale consistenza ed interezza, della DAACA, la scarsa considerazione della possibilità di un ramo “smaterializzato” o “leggero” costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, in presenza del requisito essenziale del proseguimento effettivo della gestione o della sua ripresa, nonchè la stipulazione con l’acquirente di un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione e la mancanza di identità, cosa diversa dal concetto di autonomia.

5. Con il terzo motivo, ci si duole della violazione e falsa

applicazione dell’art. 12 preleggi, e art. 2112 c.c., nella parte in cui la sentenza ritiene necessario il requisito della preesistenza del ramo ceduto, non richiesto dalla norma in esame.

6. In via subordinata rispetto al secondo e terzo motivo, è dedotto, con il quarto motivo, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di considerare che lo “scorporo” di alcuni settori dal compendio ceduto è stato determinato dall’esigenza di adempiere ad obblighi stabiliti dagli organi di vigilanza. Si richiama al riguardo quanto stabilito dalle “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” pubblicate con circolare 263/2006 dalla Banca di Italia, che impone agli istituti che esternalizzino funzioni afferenti al loro ciclo produttivo e strumentali al corretto svolgimento delle attività “core” (gestione del risparmio, erogazione del credito) di mantenere costantemente “la capacità di controllo e la responsabilità sulle attività esternalizzate nonchè le competenze tecniche e gestionali essenziali per re-internalizzare, in caso di necessità il loro svolgimento”. Nella sostanza si assume che BMPS ha dovuto trattenere a sè le professionalità per mantenere le suddette capacità di controllo e di reinternalizzazione di emergenza e si sostiene che, qualora BMPS avesse trattenuto alcuni lavoratori addetti al compendio oggetto di trasferimento, ciò non inficerebbe la relativa preesistenza quale entità funzionalmente autonoma, salvo dimostrare che senza quei lavoratori il compendio non sia più riconoscibile come tale a livello socio-economico e secondo i normali standards di settore.

6.1. In caso di ritenuta inaccoglibilità dei primi tre motivi, si avanza richiesta di rinvio pregiudiziale, nonchè di rimessione alla Corte Costituzionale, per valutare se il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, sia affetto o meno da cd. eccesso di delega rispetto alla legge delega n. 30/2003 e quindi violi l’art. 76 Cost. e/o, da violazioni di vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario con violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, ed art. 11 Cost..

7. Con il quinto motivo, è ascritta alla decisione impugnata violazione dell’art. 2555 c.c., e art. 2112 c.c., commi 1 e 5, nonchè degli artt. 1325,1346,1362,1363 e 1369 c.c., in relazione all’art. 2112 c.c., assumendosi l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il contratto di cessione del ramo d’azienda non abbia indicato in modo specifico l’oggetto del ramo ceduto. Si adduce che l’oggetto della cessione di una parte dell’azienda sia il complesso degli elementi che la compongono e non certo i servizi che attraverso quell’azienda possono essere resi sul mercato e si sostiene che il contratto di compravendita abbia individuato in modo dettagliato il suo oggetto anche con riguardo alle previsioni dell’Allegato D al contratto di cessione, contenente l’elenco dettagliato dei rapporti di lavoro afferenti al ramo ceduto.

8. Il sesto motivo denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., e art. 2697 c.c., assumendosi l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto ultronei i mezzi istruttori articolati dall’azienda.

9. Il settimo motivo contiene la deduzione di violazione degli artt. 1406 e 2112 c.c., sul rilievo che la Corte distrettuale abbia erroneamente ritenuto la riconducibilità della fattispecie esaminata ad una cessione individuale di contratti e non ad un trasferimento di ramo d’azienda.

RICORSO FRUENDO SRL.

10. Con il primo motivo, si denunzia violazione dell’art. 2112 c.c., commi 1 e 5, anche in relazione agli artt. 1, 3 e 4 della Direttiva 2001/23/CE, adducendosi l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha escluso il requisito dell’autonomia; si sostiene che l’autonomia non possa essere messa in discussione dalla stipulazione di appositi contratti di servizio per i supporti operativi; che non possa valere un criterio meramente quantitativo, che per ramo d’azienda debba intendersi qualsiasi articolazione di organizzazione produttiva anche costituita esclusivamente da risorse umane caratterizzata da sufficiente interazione tra i propri membri, dotati di particolare know how.

11. Con il secondo, è dedotta violazione delle stesse norme ed anche dell’art. 6 della stessa Direttiva per avere la sentenza ritenuto necessario il requisito della. cd. preesistenza del ramo di azienda ceduto ai fini della riconducibilità della cessione alla fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., comma 5.

12. Con il terzo motivo, si lamenta violazione dell’art. 2112 c.c., anche in relazione alla considerazione del concetto di preesistenza quale assoluta “immutabilità” della composizione del ramo stesso.

13. Con il quarto motivo, ci si duole dell’omesso esame circa fatto decisivo quanto allo scorporo di alcuni settori del compendio ceduto, determinato dall’esigenza di adempiere ad obblighi stabiliti dagli Organismi di Vigilanza.

13.1. Nella parte finale della censura, per il caso di mancato accoglimento, si propone istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE con riguardo alle modalità di trasferimento del servizio di back office in outsourcing e si chiede la rimessione alla Corte Costituzionale per ravvisato eccesso di delega da parte del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, rispetto alla legge delega 30/03.

14. Con il quinto, si denunzia violazione degli artt. 2555 e 2112 c.c., nonchè degli artt. 1325,1362 c.c. e ss., per avere la sentenza ritenuto che il contratto di cessione del ramo non avrebbe indicato in modo specifico l’oggetto del ramo ceduto.

15. Infine, è dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., e art. 2697 c.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto ultronei i mezzi istruttori articolati dalla s.r.l. Fruendo.

16. Il primo motivo del ricorso della società BMPS è infondato alla luce di giurisprudenza richiamata in sentenza e nel controricorso, che valorizza la sussistenza di uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, che non sia superabile senza l’intervento del giudice. E’ noto che l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implichi necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo, in quanto sorto nel corso di giudizio a seguito della contestazione sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, che non sia superabile se non con l’intervento del giudice (Cass. 31 luglio 2015, n. 16262).

16.1. Con particolare riguardo al trasferimento d’azienda, il lavoratore ha interesse ad accertare in giudizio l’inconfigurabilità di un ramo d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e quindi, in difetto del suo consenso, l’inefficacia nei suoi confronti del trasferimento stesso: non essendo per lui indifferente, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore datore di lavoro, che può offrire garanzie più o meno ampie di tutela dei suoi diritti. Nè tale interesse viene meno per lo svolgimento, in via di mero fatto, di prestazioni lavorative per il cessionario (non integrante accettazione della cessione del contratto di lavoro), nè per effetto dell’eventuale conciliazione intercorsa tra lavoratore e cessionario all’esito del licenziamento del primo e neppure, in genere, in conseguenza delle vicende risolutive del rapporto con il cessionario (cfr. Cass. 16 giugno 2014, n. 13617, Cass. 24.10.2017 n. 25144, e, da ultimo Cass. 6.3.2020 n. 6413, Cass. 4.3.2021 n. 6077).

17. Tutti i motivi di entrambi i ricorsi, ad eccezione del primo del ricorso principale, appena esaminato, (dal secondo al settimo per la BMPS e tutti quelli articolati dalla Fruendo s.r.l.) possono essere esaminati congiuntamente, per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, in quanto con gli stessi si lamenta l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non ritenere sussistente l’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto la necessità della preesistenza del ramo ceduto e per aver negato la natura labour intensive dell’attività di back office e si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c..

La Corte giudica tali doglianze non condivisibili per le ragioni che seguono.

18. In premessa occorre ribadire l’oramai costante insegnamento di questa Corte secondo il quale la verifica dei presupposti fattuali che consentano l’applicazione o meno del regime previsto dall’art. 2112 c.c., implica una valutazione di merito che, ove espressa con motivazione sufficiente e non contraddittoria, sfugge al sindacato di legittimità (v. Cass. n. 20422 del 2012; Cass. n. 5117 del 2012; Cass. n. 1821 del 2013; Cass. n. 2151 del 2013; Cass. n. 24262 del 2013; Cass. n. 10925 del 2014; Cass. n. 27238 del 2014; Cass. n. 22688 del 2014; Cass. n. 25382 del 2017; di recente, ancora, Cass. n. 2315 del 2020 e Cass. n. 6649 del 2020).

18.1. Ciò inevitabilmente, considerato che l’accertamento in concreto dell’insieme degli elementi fattuali idonei o meno a configurare la fattispecie legale tipica del trasferimento di ramo d’azienda, delineata in astratto dall’art. 2112 c.c., comma 5, implica prima una individuazione ed una selezione di circostanze concrete e, poi, il loro prudente apprezzamento, traducendosi in attività di competenza del giudice di merito, cui non può sostituirsi il giudice di legittimità.

18.2. In particolare non può negarsi che la valutazione, nella concretezza della vicenda storica, dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto e della sua preesistenza è di certo una quaestio facti che opera, come tale, sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, per l’accertamento della ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo dell’art. 2112 c.c.. Come già ritenuto da questa Corte “spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (testualmente in motivazione Cass. n. 15661 del 2001, con la copiosa giurisprudenza ivi citata; v. pure Cass. n. 18247 del 2009 e n. 7838 del 2005).

18.3. Da tale pregiudiziale rilievo derivano conseguenze rilevanti dal punto di vista dei limiti del sindacato di legittimità di questa Corte e dei vizi che possono essere utilmente denunciati nel ricorso per cassazione in tali controversie. Infatti, salvo i casi in cui si lamenti che la sentenza impugnata abbia errato nella ricognizione degli elementi legali identificativi del trasferimento del ramo d’azienda e, quindi, errato nell’ascrizione di significato alla disposizione normativa astratta, nelle altre ipotesi l’alternativa praticabile è che: o si denuncia un errore di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, sub specie di errore di sussunzione commesso dai giudici del merito (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001 e, più di recente, Cass. n. 13747 del 2018); oppure si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero, alternativamente, una motivazione che violi il cd. “minimo costituzionale”.

18.4. Nella prima prospettiva è indispensabile, così come in ogni altro caso di dedotta falsa applicazione di legge, che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito e cioè da quel fatto così come da costoro accertato, in quanto è solo l’applicare ad un accadimento accertato giudizialmente una norma dettata per disciplinare ipotesi diverse a costituire una falsa applicazione della legge, usualmente definita “vizio di sussunzione” (cfr. tra le altre: Cass. n. 6035 del 2018; Cass. n. 8760 del 2019); diversamente si trasmoderebbe nella revisione di un accertamento che appartiene al dominio dei giudici ai quali esso compete. Infatti il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto (cfr. Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007) presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (tra molte: Cass. n. 4125 del 2017; Cass. n. 23851 del 2019); al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.

18.5. In questa seconda prospettiva, inevitabilmente legata alla quaestio facti, potrà essere denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Ma in tal caso dovranno essere rispettati gli enunciati posti nell’interpretazione della novellata formulazione della disposizione dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite, v. sentenze n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

Solo ove vengano rispettati tali enunciati potrà valutarsi, in sede di legittimità, se la totale trascuratezza ad opera dei giudici del merito di un fatto storico connesso alla vicenda traslativa del trasferimento d’azienda avrebbe condotto, per la sua sicura decisività, ad un opposto esito della lite.

18.6. In entrambi i casi resta fermo quanto ancora di recente ribadito dalle Sezioni unite civili circa l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perchè pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).

19. Tanto premesso dal punto di vista dei limiti del controllo di legittimità, i motivi di ricorso di entrambe le società non possono, come si anticipava, trovare accoglimento.

19.1. Le pretese violazioni o false applicazioni di legge in realtà propongono un diverso apprezzamento del peso da attribuire alle varie circostanze di fatto che hanno dato origine alla vicenda contenziosa, collocandosi al di fuori, per quanto innanzi chiarito, del paradigma dettato dall’art. 360 c.p.c., n. 3, nonostante lo sforzo defensionale di fornire loro una sostanza coerente con la forma del vizio prospettato, che costituisce invece un mero involucro.

19.2. Sintomatico in tal senso anche l’inappropriato richiamo sia alla violazione dell’art. 2697 c.c., che dell’art. 115 c.p.c.: per il primo aspetto la violazione dell’art. 2697 c.c., è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante su chi intendeva avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c., (Cass. n. 4500 del 2016 e Cass. n. 206 del 2004); per l’altro aspetto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 4699 e 26769 del 2018; Cass. n. 1229 del 2019; v., da ultimo, pure Cass. n. 24395 del 2020).

19.3. In tale contesto va valutato anche il quinto motivo proposto da entrambe le società, rifluendo i rilievi svolti in una contestazione di merito rivolta alla rilevazione da parte del giudice del merito di una non chiara specificazione in sede contrattuale dei servizi costituenti il back office trasferito, con riflessi sulla stessa determinazione della consistenza del ramo ceduto. Anche il riferimento alla violazione delle norme di ermeneutica contrattuale si pongono nella medesima non condivisibile prospettiva di sollecitare una diversa valutazione del compendio trasferito, considerato dal giudice di gravame non sufficientemente specifico quanto alla sua individuazione.

20. In punto di diritto il Collegio reputa che il giudice d’appello abbia deciso le questioni in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi di ricorso non offre elementi per mutare condivisi orientamenti.

20.1. In proposito, al cospetto dell’invito rivolto dai procuratori delle società istanti a rimeditare precedenti indirizzi di legittimità in materia, giova osservare quanto segue.

20.2. Una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice essa “ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e 2009 (art. 360 bis c.p.c., n. 1)” (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011).

20.3. Si è altresì rilevato che se la formula della legge, la cui interpretazione è nuovamente messa in discussione, è rimasta inalterata, una sua diversa interpretazione non ha ragione d’essere ricercata e la precedente abbandonata, quando l’una e l’altra siano compatibili con la lettera della legge, essendo da preferire – e conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario l’interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile (cfr. Cass. SS.UU. n. 10864 del 2011, nell’occasione con specifico riguardo alle disposizioni del rito).

20.4. Il richiamo al valore del precedente di legittimità è stato successivamente ribadito non solo con riferimento all’interpretazione giurisprudenziale di norme processuali ma anche in relazione all’interpretazione di norme di altra natura (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014). In tale significativo arresto si rileva che la ricorrente affermazione nel senso della non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto dalla Corte di Cassazione, espressione di una linea evolutiva sempre più tesa a preservare “la salvaguardia dell’unità e della stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale”, valori che vengono assunti come “ormai da considerare – specie dopo l’intervento del D.Lgs. n. 40 del 2006, e della L. n. 69 del 2009, in particolare con riguardo alla modifica dell’art. 374 c.p.c., ed all’introduzione dell’art. 360 bis – alla stregua di un criterio legale di interpretazione delle norme giuridiche”, con il conclusivo richiamo al rispetto dei precedenti, fondato sul convincimento che l’affidabilità, prevedibilità e uniformità dell’interpretazione delle norme “costituisca imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini”.

20.5. Tali principi sono stati ancora di recente integralmente confermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 11747 del 2019) che, ricordato come anche la dottrina concordi sulla “esigenza dell’osservanza dei precedenti e nell’ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti consolidati solo se giustificati da gravi ragioni”, hanno sottolineato inoltre che in un sistema che valorizza l’affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del contenzioso, “l’adozione di una soluzione difforme dai precedenti non può essere nè gratuita, nè immotivata, nè immeditata, ma deve essere frutto di una scelta interpretativa consapevole e riconoscibile”.

21. Ciò posto, la Corte non ravvisa ragioni sufficienti a determinare un mutamento degli orientamenti di legittimità che si sono andati consolidando in tema di autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto e di preesistenza del medesimo.

Secondo un risalente principio di legittimità la cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi (Cass. n. 17919 del 2002; Cass. n. 13068 del 2005; Cass. n. 22125 del 2006).

21.1. Detta nozione di trasferimento di ramo d’azienda è coerente con la disciplina in materia dell’Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).

21.1.1. La ratio della disciplina comunitaria è intesa ad assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario e, quindi, è finalizzata a proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento abbia luogo (Corte di Giustizia, 7 febbraio 1985, C-186/83, Botzen e a., punto 6; Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, C24/85, Spijkers, punto 11); essa, infatti, riguarda il “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”, per cui non è direttamente incidente nelle ipotesi in cui non si controverta del “mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti” presso la cessionaria, in difetto dei presupposti previsti dal diritto dell’Unione (cfr. Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori, punti 35 e 37).

21.1.2. La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario vivente (ex plurimis: Cass. n. 19740 del 2008), ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C- 13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C- 340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C- 232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, Hernandez Vidal, C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/ 10, Scattolon, punto 60; Corte di Giustizia, 20 luglio 2017, Piscarreta Ricardo, C-416/16, punto 43; Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C664/2017, Ellinika Nafpigeia AE, punto 60).

21.1.3. Anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, questa Corte ha ribadito che, ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., rappresenta elemento costitutivo della cessione “l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione” (sul tema v. diffusamente Cass. n. 11247 del 2016; di analogo tenore, assunte in decisione nella medesima udienza pubblica del 26 febbraio 2016, Cass. nn. 9682, 10243, 10352, 10540, 10541, 10542, 10730, 11248 del 2016; tra le successive conformi v.: Cass. n. 19034 del 2017; Cass. n. 28593 del 2018).

21.1.4. Tali pronunce sono significative anche nel caso che ci occupa perchè hanno confermato la sentenza d’appello che aveva escluso l’operatività dell’art. 2112 c.c., nella sua formulazione successiva al 2003, tra l’altro, per “la mancata cessione dei programmi e dei sistemi informatici che venivano utilizzati dai dipendenti prima dello scorporo”, sancendo poi, nel principio di diritto enunciato in funzione nomofilattica, l’indipendenza “dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti” (analogamente v. poi Cass. n. 1316 del 2017 e Cass. n. 19034 del 2017, in ipotesi di cessione di un call center in cui i programmi informatici erano rimasti nella proprietà esclusiva della cedente).

21.1.5. Si è inoltre sottolineato che il “fatto che la nuova disposizione abbia rimesso al cedente e al cessionario di identificare l’articolazione che ne costituisce l’oggetto non significa che sia consentito di rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell’azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere dall’autonomia privata l’applicazione della speciale disciplina in questione, ma che all’esito della possibile frammentazione di un processo produttivo prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e l’insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo”; tanto in continuità con una tradizionale impostazione secondo cui non è consentita la creazione di una struttura produttiva ad hoc in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito (tra altre, Cass. n. 2429 del 2008; Cass. n. 21711 del 2012; Cass. n. 8757 del 2014; Cass. n. 19141 del 2015).

21.1.6. Negli arresti in discorso non si è poi disconosciuta la legittimità di cessioni di rami aziendali “dematerializzati” o “leggeri” dell’impresa, nei quali il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, in conformità con principi, anche comunitari (Corte di Giustizia 11 marzo 1997, C-13/95, punto 18; Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96, C-74/97, Hernandez Vidal, Santner, Gomez Montana, punto 31; Corte di Giustizia, 20 gennaio 2011, C-463/09, CLECE, punto 36), che si sono affermati essenzialmente nel campo della successione negli appalti laddove sono l’lavoratori ad invocare l’applicazione dell’art. 2112 c.c., per transitare nell’impresa subentrante, per i quali principi oggetto del trasferimento del ramo può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune, senza elementi materiali significativi (in precedenza, tra molte, v. Cass. n. 17207 del 2002; Cass. n. 206 del 2004; Cass. n. 20422 del 2012; Cass. n. 5678 del 2013; Cass. n. 21917 del 2013; Cass. n. 9957 del 2014); ma si è tuttavia confermato il compito del giudice del merito di verificare quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato “di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio”, così “scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev’essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato” (in termini Cass. n. 11247/2016 cit.; di recente anche Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C-664/2017, Ellinika Nafpigeia AE, punto 69, ha sottolineato come l’autonomia del ramo ceduto, dopo il trasferimento, non debba dipendere da scelte economiche effettuate “unilateralmente” da terzi, senza che vi siano garanzie sufficienti che le assicurino l’accesso ai fattori di produzione).

21.2. Nel complesso di pronunce assunte in decisione nel febbraio del 2016, l’elemento costitutivo rappresentato dall’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto viene letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza di esso, “nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente anteriormente alla cessione”, perchè l’indagine non deve “basarsi sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di appalto, ma all’organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto”.

21.2.1. A conforto si richiama anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui l’impiego del termine “conservi” nell’art. 6, par. 1, commi 1 e 4, della direttiva, “implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento”, (Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punto 34).

21.2.2. Anche dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, con l’insieme delle decisioni citate si conferma, dunque, la necessità della preesistenza del ramo al fine di sussumere la vicenda circolatoria nell’alveo dell’art. 2112 c.c.; principio già presente nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 19842 del 2003; Cass. n. 8017 del 2006; Cass. n. 2489 del 2008; Cass. n. 8757 del 2014) – pure sul rilievo che la conservazione dell’identità dell’entità ceduta di matrice comunitaria (da ultimo v. Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C-664/2017, Ellinika Nafpigeia AE, punti 61, 62 e 63) postula che possa conservarsi solo qualcosa che già esista – e costantemente ribadito sino ai giorni nostri con innumerevoli sentenze (tra le più recenti v. Cass. n. 30667 del 2019; Cass. n. 6649 del 2020; Cass. n. 18954 del 2020; Cass. n. 20240 del 2020), tanto da assurgere oramai a principio consolidato del diritto vivente, dal quale, per evidenti ragioni dettate anche dall’esigenza di non recare vulnus all’eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, non si ravvisa ragione per discostarsi.

22. Le società ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata avrebbe giudicato dell’insussistenza di una cessione di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., sulla scorta di elementi “non rilevanti”, quali il mancato trasferimento al cessionario della proprietà di beni strumentali, la professionalità dei lavoratori ceduti, la condizione di monocommittenza, la conservazione della collocazione territoriale, l’eterogeneità dei servizi ceduti; si invoca a sostegno delle critiche l’autorità di varie sentenze della Corte di Giustizia.

22.1. Appare chiaro l’errore di metodo sotteso alle censure.

21.2. E’ proprio la Corte dell’Unione a ribadire costantemente che, per determinare se siano soddisfatte o meno le condizioni per l’applicabilità della direttiva in materia di trasferimento d’impresa, occorre “prendere in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo d’impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno degli elementi materiali, quali gli edifici ed i beni mobili, il valore degli elementi materiali al momento del trasferimento, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonchè il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività”, ma “questi elementi, tuttavia, sono soltanto aspetti parziali di una valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere valutati isolatamente” (v. Corte di Giustizia, 9 settembre 2015, C-160/14, Joao Filipe Ferreira da Silva e Brito e altri, punto 26; Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, C-24/85, Spijkers, punto 13; Corte di Giustizia, 19 maggio 2002, C-29/91, Redmond Stichting, punto 24; Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Seizen, punto 14; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C-340/01, Abler e a., punto 33); si è altresì evidenziato che “l’importanza da attribuire rispettivamente ai singoli criteri varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata, o addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento di cui trattasi” (v. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Seizen, punto 18; Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96 e C-74/97, Hernkdez Vidal e a., punto 31; Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, C-173/96 e C-247/96, Hidalgo e a., punto 31).

22.3. E’ quanto in questa sede intende ribadirsi avuto riguardo al presente giudizio di legittimità ed ai suoi limiti – al cospetto di doglianze di parte che invocano una rivalutazione atomistica degli eventi storici – alla luce del mai superato insegnamento (Cass. SS.UU. n. 379 del 1999) secondo cui, allorquando ai fini di una certa qualificazione giuridica di un rapporto controverso occorre avvalersi di una serie di elementi fattuali sintomatici ai quali i giudici del merito hanno affidato la propria valutazione, ciò che deve negarsi è soltanto l’autonoma idoneità di ciascuno di questi elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione ad una certa qualificazione, non anche la possibilità che, in una valutazione globale dei medesimi, essi vengano assunti, come concordanti, gravi e precisi indici rivelatori di ciò che si intende dimostrare.

22.4. Sicchè, quando gli elementi fattuali da valutare sono, in via sintomatica ed indiziaria, molteplici al fine di verificare l’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, trattandosi di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di circostanze, che – per dirla con la Corte di Giustizia – “sono soltanto aspetti parziali di una valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere valutati isolatamente”, chi ricorre, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può invocare una diversa combinazione di tali elementi oppure un diverso apprezzamento rispetto a ciascuno di essi, sollecitando questa Corte ad un controllo estraneo al sindacato di legittimità (sui limiti di tale sindacato in materia di ragionamento presuntivo, per tutte, v. Cass. n. 29781 del 2017 e la giurisprudenza ivi richiamata).

22.5. Non sfugge al Collegio l’eventualità che l’arrestarsi sulla soglia del giudizio di merito possa consentire che analoghe vicende fattuali vengano diversamente valutate dai giudicanti cui compete il relativo giudizio. Tuttavia è noto che l’oggetto del sindacato di questa Corte non è (o non immediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate dall’art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte ricorrente: ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali, ma si tratta di esiti non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare natura del controllo di legittimità (ad ex., proprio in tema di trasferimento d’azienda, v. Cass. n. 10868, n. 10925 e n. 22688 del 2014, in motivazione), ancor più da quando il legislatore ha inequivocabilmente orientato il giudizio di cassazione nel senso della preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo progressivamente gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro apprezzamento.

23. Possono essere esaminate, da ultimo, le richieste di sospensione del presente procedimento e di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ex art. 267, comma 3, del Trattato per il funzionamento della Unione Europea, proposte dalla difesa delle ricorrenti società in ordine a questioni interpretative aventi ad oggetto la norma comunitaria in materia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di parti di impresa: la Corte reputa che le stesse non siano pregiudiziali ai fini del decidere, in parte per le ragioni già esposte, stante la ritenuta conformità del diritto interno al diritto dell’Unione, ed in parte per le ragioni che si andranno ad illustrare.

23.1. Le richieste sono state così sintetizzate dalle società.

La Banca Monte dei Paschi di Siena spa ha formulato le seguenti istanze: 1) “se l’art. 1, paragrafo 1, lett. a) e b) della Direttiva 2001/23/CE, deve essere interpretato nel senso che sia di ostacolo, o invece non lo sia, ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, e segnatamente l’art. 2112 c.c., comma 5, come interpretato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (e dalla pronuncia della Corte di appello di Firenze oggetto del presente procedimento) la quale, in presenza di una esternalizzazione, da parte di una Banca, dell’attività di back-office bancario – intendendosi per tali le attività amministrative, contabili e ausiliarie – verso una impresa operante nel settore dell’outsourcing dei servizi di back-office, non consenta la successione di quest’ultima alla Banca nei rapporti di lavoro dei dipendenti addetti a tale attività, nell’ipotesi in cui la Banca (rectius nel caso in esame un soggetto terzo, il COGMPS) abbia mantenuto la proprietà degli applicativi e delle infrastrutture IT utilizzate per lo svolgimento delle stesse, concedendoli in uso a titolo oneroso alla cessionaria”; 2) “se l’art. 1 paragrafo 1 lett. a) e b) e l’art. 8 della direttiva 2001/23/CE devono essere interpretati nel senso che siano di ostacolo, o invece non lo siano, ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, e segnatamente l’art. 2112 c.c., comma 5, così come interpretata dalla giurisprudenza della Suprema Corte (e della pronuncia qui impugnata) la quale – in presenza di un trasferimento di una entità economica, pur funzionalmente autonoma, ma non preesistente al trasferimento ed invece identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento- non consenta la successione automatica dal cessionario al cedente nei rapporti di lavoro dei lavoratori addetti a tale entità economica funzionalmente autonoma”.

La Fruendo srl ha chiesto di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti: 1) “se la disciplina dell’Unione Europea in tema di ‘trasferimento di parte di impresa o parte di uno stabilimentò (in particolare l’art. 1, paragrafo 1, lett. a) e b), in riferimento all’art. 3, par. 1, e all’art. 6, paragrafo 1, comma 4, nonchè all’art. 4, paragrafo 1, comma 1 della Direttiva 2001/23/CE), osti ad una norma come l’art. 2112 c.c., commi 5 e 6, la cui formulazione, presupponendo espressamente il mantenimento della “identità”, intesa come mantenimento di una preesistente “entità produttiva autonoma” successivamente alla cessione della parte di impresa o di stabilimento dopo la cessione medesima, escluda l’applicazione degli effetti della direttiva previsti dall’art. 3 alle ipotesi di cessione di una porzione dell’impresa o dello stabilimento destinata allo svolgimento di attività economica, intesa come l’offerta di beni o servizi su un determinato mercato (sentenza CGE C-180/10 punto 43) che -in ragione del proseguimento del proprio obiettivo è sufficientemente strutturata al fine (sentenza CGE C-475/99 punto 19 e C-108/10 punto 42)- venga successivamente alla cessione integrata dal nuovo imprenditore in strutture societarie diversamente organizzate per continuare a rendere la medesima attività economica precedentemente resa dalla parte di impresa o di stabilimento cedua, anche mediante la stipula di contratti di appalto”; 2) “se la direttiva 2001/23, e in particolare il suo art. 1, par. 1, lett. a) e b) in riferimento all’art. 6 par. 1 comma 4, debba essere interpretata nel senso che la nozione di “trasferimento di parti di impresa o di stabilimenti” comprenda una situazione in cui una impresa bancaria – seguendo le esigenze di modernizzazione imposte dal mercato e attivate dai propri concorrenti del settore bancario nazionale ed internazionale -trasferisca a terzi imprenditori dei servizi bancari in outsourcing parti di impresa o di stabilimenti destinate allo svolgimento delle attività di back-office qualora: a) le risorse trasferite siano organizzate in soggetto giuridico autonomo costituito in impresa societaria al fine dello svolgimento dell’attività economica trasferita verso il mercato, seppure sia preponderante l’attività svolta per l’imprenditore cedente; b) l’impresa così costituita, direttamente o mediante una propria struttura contrattuale di servizi, continui a svolgere l’attività precedentemente svolta dalla parte di impresa o di stabilimento ceduta od in ogni caso l’esercizio di attività economiche identiche o analoghe a quella dell’alienante; c) l’impresa cessionaria impieghi parte consistente del personale addetto allo svolgimento delle attività presso l’imprenditore cedente, compreso il personale dirigenziale addetto, fatti salvi i servizi che secondo lo statuto previsto dall’Autorità regolatrice del mercato bancario (Banca d’Italia) non sono cedibili, per la conservazione della governance bancaria; d) l’impresa cessionaria impieghi i suddetti lavoratori in funzioni identiche a quelle precedentemente svolte presso il cedente; e) l’impresa cessionaria impieghi servizi propri, nonchè sistemi informativi in parte propri ed in parte concessi in uso mediante contratti di appalto onerosi da parte della banca cedente ed in ogni caso impieghi mezzi, per diretta proprietà o contrattualmente procurati in modo da essere sufficientemente strutturata per il perseguimento del proprio obiettivo consistente nella offerta di servizi sul mercato dell’outsourcing di back-office bancario”; 3) “se la disciplina dell’Unione Europea in tema di “trasferimento di parti di impresa o di stabilimento” (in particolare l’art. 1, par. 1, lett. a), in riferimento all’art. 3, par. 1, della direttiva 2001/23/CE) in relazione alla interpretazione vincolante di essa (anche ai sensi dei principi dell’art. 267, e art. 189, comma 3, del Trattato, secondo quanto affermato da C-160/14 e C-689/13) fornita dalla sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-458/12 (Amatori ed altri), comporti che, in presenza di cessione contrattuale di parti di impresa o di parti di stabilimento, una volta identificate dai contraenti ai sensi della normativa nazionale come interpretata dalla Corte di Giustizia e secondo la finalità da essa perseguita di assicurare la continuità dei rapporti di lavoro con il cessionario, gli effetti di cui all’art. 3 della direttiva si intendano applicabili a favore dei dipendenti trasferiti con la parte di impresa o di stabilimento per effetto del contratto: ciò a prescindere dalla preesistente attività economica, cioè di una organizzazione volta alla fornitura di servizi, svolta dalle parti di impresa o di stabilimento cedute, e se sia consentita o meno ai lavoratori la prova contraria volta all’esclusione della applicazione degli effetti previsti dall’art. 3 della direttiva”.

23.2. A tal proposito, giova premettere che l’obbligo per il giudice nazionale di ultima istanza di rimettere la causa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 citato (già art. 234 del Trattato che istituisce la Comunità Europea), viene meno quando non sussista la necessità di una pronuncia pregiudiziale sulla normativa comunitaria, in quanto la questione sollevata sia materialmente identica ad altra, già sottoposta alla Corte in analoga fattispecie, ovvero quando sul problema giuridico esaminato si sia formata una consolidata giurisprudenza di detta Corte (cfr., tra molte, Cass. n. 4776 del 2012); similmente, il rinvio pregiudiziale, quantunque obbligatorio per i giudici di ultima istanza, presuppone che la questione interpretativa controversa abbia rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto all’esame del giudice nazionale e alle norme interne che lo disciplinano (cfr. Cass. SS.UU. n. 8095 del 2007).

Invero è noto (v. Cass. SS.UU. n. 20701 del 2013) che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a semplice richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità: infatti, esso ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell’Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull’Unione Europea; sicchè il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perchè proveniente da istanza di parte (tra le altre, v. Cass. n. 6862 del 2014; Cass. n. 13603 del 2011).

D’altro canto è incontrastato l’enunciato, più volte ribadito da questa Corte a Sezioni unite, secondo cui la Corte di Giustizia Europea, nell’esercizio del potere di interpretazione di cui all’art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità economica Europea, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale (v. Cass. SS.UU. n. 30301 del 2017; in precedenza: Cass. SS.UU. nn. 16886/2013, 2403/14, 2242/15, 23460/15, 23461/15, 10501/16 e 14043/16).

Pertanto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità Europee la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un “acte clair” che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (Corte di giustizia, 6 ottobre 1982, causa C283/81, Cilfit; e, per la giurisprudenza di questa Corte, tra le altre: Cass. SS.UU. n. 12067 del 2007; Cass. n. 22103 del 2007; Cass. n. 4776 del 2012; Cass. n. 26924 del 2013).

23.3. Ciò premesso, non reputa questo Collegio che le articolate difese delle istanti introducano nuovi elementi di valutazione, pertinenti alla materia del contendere, tali da giustificare un rinvio alla Corte di Giustizia che già si è espressa, più volte, sulle problematiche di diritto sottese alle enunciate richieste ex art. 267 TFUE.

Invero, la istanza di cui al punto 2) delle richieste della Banca Monte dei Paschi di Siena spa e quella di cui al punto 3) delle richieste della Fruendo srl attengono, in sostanza, entrambe al concetto di preesistenza di una attività economica organizzata in occasione del trasferimento: in particolare, se la preesistenza debba rapportata ad un profilo strutturale o funzionale; se essa possa essere individuata come tale dai contraenti al momento della cessione e se ai lavoratori sia consentito fornire la prova contraria volta all’esclusione dell’applicazione degli effetti previsti dall’art. 3 della Direttiva. Le altre istanze si riferiscono, invece, alla nozione di identità della azienda dopo il trasferimento, con riguardo all’aspetto della tutela della libertà di iniziativa del cessionario e alla possibilità (quomodo) di utilizzazione del ramo ceduto (personale e mezzi) nell’ambito della propria struttura organizzativa.

23.4. Orbene, deve osservarsi che in passato la giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, C24/85, Spijkers, punti 11 e 12) ha adottato un concetto di entità economica per delineare la cd. “unità minima di impresa” funzionale alla nozione di trasferimento d’azienda, giudicando come criterio decisivo il “mantenimento dell’identità economica trasferita”, al fine di non determinare una mera cessione di elementi patrimoniali con l’esclusione del passaggio dei rapporti di lavoro, ma successivamente (v. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C 13/95, Scizen, punto 14) ha iniziato a valorizzare – come si è detto – una valutazione sistematico-complessiva di indici da cui desumere l’esistenza di una entità economica organizzata (mezzi di gestione, organizzazione del lavoro, personale).

Tale scelta giurisprudenziale fu adottata dal legislatore comunitario, in modo sistematico ed organico, appunto nella direttiva 2001/23/CE, e va qui ribadito che per l’ordinamento comunitario il trasferimento deve riguardare una entità economica organizzata in modo stabile (la cui attività non si limiti all’esercizio di un’opera determinata) la quale sia costituita da qualsiasi complesso organizzato di persone e di elementi, che consenta l’esercizio di una attività economica che sia finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo e sia sufficientemente strutturata ed autonoma, di talchè l’entità economica deve, in particolare, godere, anteriormente al trasferimento, di una autonomia funzionale sufficiente (v., per tutte, Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punto 34).

Il requisito della preesistenza (secondo la CGUE) sta, quindi, ad indicare che il complesso organizzativo deve essere già concretamente preordinato presso il cedente all’esercizio dell’attività economica, in una sintesi tra elemento strutturale e profilo funzionale.

Per la Corte di Giustizia è escluso che il legame tra autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto e la materialità dello stesso possa derivare (soggettivamente) solo dalla qualificazione fattane dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento, consentendo ai soggetti stipulanti il negozio traslativo la libera definizione della fattispecie cui la norma inderogabile si applica, perchè ciò sarebbe in contrasto con la disciplina comunitaria sulla inderogabilità dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda.

L’atto di identificazione da parte del cedente – coerentemente con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Corte deve, quindi, avere un contenuto accertativo e non costitutivo, nel senso che la cessione presuppone l’individuazione del ramo nel contesto aziendale, ma non la sua creazione.

23.5. Con riguardo, poi, alla possibilità per i lavoratori di fornire prova contraria volta all’esclusione dell’applicazione degli effetti previsti dall’art. 3 della Direttiva 2001/23/CE, va ribadito l’assunto secondo cui l’attività dei giudici interni nell’applicazione del diritto dell’Unione si informa al principio dell’autonomia procedurale, in virtù del quale in assenza di provvedimenti di armonizzazione, i diritti attribuiti dalle norme comunitarie devono essere esercitati, innanzi ai giudici nazionali, secondo le modalità stabilite dalle norme interne, nel rispetto dei principi di effettività e di equivalenza.

In tema di trasferimento di azienda, secondo l’ordinamento processuale italiano, il lavoratore ben può fare accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e, quindi, l’inefficacia di questo nei suoi confronti in difetto del suo consenso, per l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., e l’operatività della regola generale di cui all’art. 1406 c.c., (cfr. Cass. n. 11832 del 2014).

23.6. Relativamente, poi, alla tematica dell’identità dell’azienda, dopo il trasferimento (oggetto anche essa delle altre richieste di rinvio pregiudiziale), è opportuno evidenziare che la questione, così come prospettata, non risulta direttamente pertinente rispetto alla ragione fondante il decisum della Corte territoriale, che è radicata sull’assenza di autonomia funzionale del ramo ceduto piuttosto che sull’utilizzazione del compendio da parte del cessionario in modo diverso, nell’ambito della propria struttura organizzativa.

In ogni caso, con la sentenza del 12 febbraio 2009 (Corte di Giustizia, causa C-466/07, Klarenberg, punti da 45 a 48) è stato precisato che l’art. 1 n. 1 lett. b) della direttiva 2001/23/CE definisce esso stesso l’identità di una entità economica facendo riferimento a un “insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” ponendo, così l’accento non solo sull’elemento organizzativo dell’entità trasferita, ma anche su quello del proseguimento della sua attività economica.

E’ stato affermato che la condizione relativa al mantenimento dell’identità di una entità economica ai sensi della Direttiva 2001/23 va interpretata prendendo in considerazione i due elementi, quali previsti dall’art. 1, n. 1, lett. b), della direttiva 2001/23 che, considerati nel loro insieme, costituiscono tale identità nonchè l’obiettivo della protezione dei lavoratori contemplato da tale direttiva. Il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una nuova diversa struttura organizzativa al fine di continuare un’attività economica identica o analoga.

Parimenti, in altra sentenza (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2020, causa C-298/18, Grafe, punto 26) è stato ribadito che il fatto, per una entità economica, di rilevare l’attività economica di un’altra entità economica, non consente di concludere nel senso che sia stata conservata l’identità di quest’ultima, non potendo l’identità di siffatta entità essere ridotta all’attività che le è affidata. L’identità emerge, secondo la CGUE, da una pluralità di elementi inscindibili tra loro, quali il personale che la compone, i suoi quadri direttivi, la sua organizzazione del lavoro, i suoi metodi di gestione ed anche, eventualmente, i mezzi di gestione a sua disposizione (cfr. anche Corte di Giustizia, 20 luglio 2017, causa C-416/16, Piscarreta Ricardo, punto 43), nonchè il trasferimento o meno della clientela, il grado di somiglianza delle attività esercitate prima e dopo il trasferimento e la durata di una eventuale sospensione di queste ultime. Il tutto in un’ottica secondo la quale tali elementi costituiscono soltanto aspetti parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerati isolatamente (Corte di Giustizia, 26 novembre 2015, causa C509/14, Administrador de Infraestructuras Ferroviarias, punto 32).

La Corte di Giustizia ha, quindi, sottolineato che spetta sempre al giudice del rinvio valutare se, all’esito dell’accertamento del procedimento principale, l’identità dell’entità trasferita sia stata conservata (per tutte Corte di Giustizia, 20 luglio 2017, causa C416/16, Piscarreta Ricardo, punto 45; Corte di Giustizia, 27 febbraio 2020, causa C-298/18, Grafe, punto 36), in virtù, come dinanzi più volte evidenziato, di un giudizio globale del complesso delle circostanze che caratterizzano l’operazione.

23.7. Dato atto degli orientamenti della Corte di Giustizia in materia (che devono ritenersi idonei – per la loro chiarezza – a risolvere i quesiti di compatibilità avanzati dalle società ricorrenti) e non essendo ravvisabili ulteriori elementi che impongano l’attivazione di un nuovo rinvio pregiudiziale, perchè le problematiche di diritto prospettate non si pongono in contrasto con la normativa comunitaria ma richiedono unicamente una valutazione di fatto degli elementi da parte del giudice nazionale, vanno disattese tutte le richieste di rinvio alla Corte di Giustizia, “non esistendo alcun diritto della parte all’automatico rinvio pregiudiziale ogni qualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, bastando che le ragioni del diniego siano espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek c. Belgio) ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind Telecomunicazioni vs. Italia, p.36)” (in termini: Cassa Sez. Un. 14042 del 2016; conf. Cass. n. 14828 del 2018).

24. Quanto alla formulazione di istanza di rimessione alla Corte Costituzionale per la valutazione della sussistenza di un eccesso di delega da parte del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, valgono le osservazioni di seguito esposte.

24.1. La L. 14 febbraio 2003, n. 30, con riferimento all’esercizio della delega conferita al Governo all’art. 1, comma 2, lett. p), ha previsto la revisione del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, che aveva modificato l’art. 2112 del c.c., in tema di trasferimento d’azienda, al fine di armonizzarlo con la disciplina contenuta nella stessa delega, basata sui seguenti criteri direttivi:

1) completo adeguamento della disciplina vigente alla normativa comunitaria, anche alla luce del necessario coordinamento con la L. 10 marzo 2002, n. 39, che dispone il recepimento della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti;

2) previsione del requisito dell’autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del suo trasferimento;

3) previsione di un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore, nei limiti di cui all’art. 1676 c.c., per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una cessione di ramo di azienda;

Il D.Lgs. delegato 10 settembre 2003, n. 276, art. 32, ha riscritto parzialmente l’art. 2112 c.c., comma 5, nei seguenti termini “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compreso l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

E’ stato, poi, introdotto un nuovo ultimo comma che prevede: “Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’art. 1676”.

Le modificazioni sostanziali sono quindi riassumibili nei seguenti punti:

a) limitazione della fattispecie alla cessione contrattuale o alla fusione;

b) eliminazione del riferimento alla produzione o allo scambio di beni e servizi;

c) identificazione del ramo di azienda, inteso come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività organizzata, da parte del cedente e del cessionario al momento del trasferimento;

d) previsione del regime di solidarietà di cui all’art. 1676 c.c..

24.2. Quanto ai rilievi di costituzionalità con riguardo alla intervenuta modifica di cui alla precedente lett. c), è vero che la L. n. 30 del 2003, si riferisce unicamente all’autonomia funzionale quale requisito imprescindibile per una legittima cessione del ramo di azienda e che la soppressione nel decreto legislativo delegato dell’espressione della preesistenza del ramo potrebbe indurre a ritenere realizzatasi una ipotesi di “eccesso di delega” per avere il decreto legislativo delegato esorbitato dai limiti stabiliti per la corretta esplicazione del potere normativo delegato. Tuttavia, proprio la intrinseca contraddittorietà individuabile nel testo della normativa emanata in virtù della suddetta delega ne impone una interpretazione conforme a quella fornita dalla CGUE (cfr. CGUE 6.3.2014 C-458/12/EU) con riguardo alla Direttiva al cui adempimento era stato funzionale l’intervento del legislatore nazionale, in caso contrario delineandosi un contrasto anche con la normativa Europea.

Infatti, le Direttive 98/50 e 2001/23 dispongono che l’entità trasferita deve conservare, a seguito del trasferimento, la propria identità: ciò evidentemente sta ad indicare che quell’entità deve essere considerata alla stregua di un ramo d’azienda anche prima del trasferimento, giacchè non si può conservare una caratteristica prima non posseduta. Pertanto, la norma che ha novellato il testo dell’art. 2112 c.c., non potendo essere interpretata nella maniera sopra indicata, in quanto sarebbe contraddittoria, incostituzionale e contrastante con la normativa Europea, può significare solamente che a cedente e cessionario sia attribuito il potere di individuare la parte di impresa oggetto di cessione, fermo restando che questa porzione già possegga di per sè le caratteristiche di ramo d’azienda (autonomia funzionale).

Del resto, la Corte di cassazione, con sentenza del 17/10/05 n. 20012, ha escluso che il ramo d’azienda possa essere identificato come tale solo al momento della cessione, altrimenti all’imprenditore sarebbe di fatto consentita l’estromissione di lavoratori, senza le garanzie che al riguardo sono previste dalla legge.

La nozione giuridica non è stata, dunque, mutata dalla richiamata novellazione dell’art. 2112 c.c., ad opera del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, cit., dovendosi per ramo d’azienda intendere ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità (come, del resto, previsto dalla prima parte dell’art. 32 D.Lgs. cit.), sul presupposto di una preesistenza, potendo conservarsi solo qualcosa che già esista, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità (cfr. Cass. 24.1.2018 n. 1769 con richiamo a Cass. 26 luglio 2016, n. 15438; Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901; Cass. 15 aprile 2014 n. 8757; Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711; Cass. 8 giugno 2009 n. 13171; Cass. 9 ottobre 2009 n. 21481). Non si configura un ramo d’azienda suscettibile di cessione in difetto di preesistenza di una realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, qualora sia stata creata ad hoc una struttura produttiva in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio. Nè la correttezza di una tale interpretazione appare inficiata da un supposto contrasto con la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia (in causa C-458/12, Amatori e altri), per le ragioni già espresse da questa Corte (Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901).

24.3. Tali conclusioni non contravvengono nemmeno ai principi enunciati da CGUE 27 febbraio 2020, C-298/18, p.ti 37 – 40, da CGUE 13 giugno 2019, C- 664/17, p.ti 62 – 68, e da CGUE 9 settembre 2015, C-160/2014, che, nel ribadire quelli precedentemente affermati, aggiungono soltanto che una valida operazione di trasferimento di un ramo non postula che i mezzi siano trasmessi dalla parte cedente, ben potendo esserne acquisita la disponibilità in virtù di contratti che ne consentano la fruizione da parte del cessionario, ciò non incidendo nella configurazione della cessione del ramo nei termini delineati.

25. Alla stregua di tutte le argomentazioni esposte, deve essere ribadito il rigetto dei motivi di ricorso in scrutinio.

26. Conclusivamente, alla declaratoria di cessazione della materia del contendere per alcuni dei controricorrenti – con compensazione delle relative spese di lite – segue, dunque, il rigetto dei ricorsi per tutti gli altri.

27. Le spese del presente giudizio in relazione a questi ultimi seguono la soccombenza delle ricorrenti e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

28. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 per la ricorrente principale e per quella incidentale.

PQM

La Corte dichiara la cessazione della materia del contendere nei confronti dei controricorrenti che hanno concluso accordi di conciliazione con le ricorrenti e dichiara compensate tra le suddette parti le spese di lite.

Rigetta entrambi i ricorsi e condanna ciascuna società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 12500,00″ per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfettarie in misura del 15%, in favore dei restanti controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2021

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