Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18945 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. III, 16/07/2019, (ud. 03/06/2019, dep. 16/07/2019), n.18945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1038-2018 proposto da:

M.S., F.M.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avvocato MARIO NUZZO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA MORA;

– ricorrenti –

contro

ARC EN CIEL SS, in persona del legale rappresentante

E.M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CRISOSTOMO SCIACCA,

rappresentata e difesa dagli avvocati ELENA MARIA LAURA DELLA BERTA,

CHIARA FRANCESCA G. DELLA BERTA;

– controricorrente –

e contro

DUPRAZ CONSULTANTS (OVERSEAS) LIMITED;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2310/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato MARIO NUZZO;

udito l’Avvocato CHIARA FRANCESCA G. DELLA BERTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza data 18.10.2017 n. 2310, ha rigettato gli appelli, riuniti, proposti da F.M.E. e M.S., nonchè da DUPRAZ Consultants Overseas Ltd. (società di diritto cipriota), e confermato la decisione di prime cure con la quale erano stati dichiarati inefficaci, ai sensi dell’art. 2901 c.c., nei confronti della creditrice società semplice ARC en CIEL, l’atto pubblico di donazione in data 21.8.2008, trascritto in data 1.9.2008, con il quale F.M.E. aveva ceduto al figlio M.S. la nuda proprietà di un fabbricato ad uso residenziale nonchè di altri immobili siti nel Comune di (OMISSIS), nonchè l’atto di compravendita in data 12.3.2009, trascritto il 17.3.2009, con il quale il M. aveva provveduto a trasferire la proprietà dei predetti beni a DUPRAZ Consultants Overseas Ltd..

Il Giudice distrettuale ha ritenuto infondata la eccezione di difetto della procura ad litem rilasciata da ARC en CIEL s.s. (recte di mancata costituzione in giudizio della predetta società) atteso che nell’atto introduttivo veniva riprodotta integralmente la precedente citazione – cui non era seguita la iscrizione della causa a ruolo – nella quale il M. dichiarava espressamente di agire quale amministratore della società: ogni questione risultava comunque definitivamente sanata “ex tunc” dalla produzione in giudizio, nel termine assegnato dal Tribunale ai sensi dell’art. 182 c.p.c., della procura ad litem con specifica indicazione della società ARC en CIEL quale conferente l’incarico al difensore, essendo irrilevante, in difetto di contestazioni in ordine all’effettiva titolarità dei poteri rappresentativi in capo al M., la illeggibilità della firma e la mancanza del nome del rappresentante che aveva sottoscritto la procura ad litem.

Nel merito la Corte d’appello ha accertato:

la anteriorità del credito vantato da ARC en CIEL s.s. nei confronti di F.M.L., quale socio amministratore di SIFE s.s. – ocietà istituita erede universale dal coniuge M.G. deceduto il (OMISSIS) – e con essa condannata in solido dal Tribunale di Torino, con sentenza in data 9.1.2009 n. 121, confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 10.2.2012 n. 238, al pagamento della somma di Euro 1.200.000,00 incassata dal “de cuius” in esecuzione del mandato a vendere, che gli era stato conferito da Arc en Ciel s.s., e non era stato adempiuto quanto alla obbligazione del mandatario relativa alla rimessa, delle somme da quello riscosse, alla società mandante la “scientia damni” della F., avendo questa compiuto l’atto di liberalità in favore del figlio bene essendo a conoscenza che pendeva il giudizio introdotto nei suoi confronti da ARC en CIEL s.s., successivamente definito con la predetta sentenza di condanna n. 121/2009 la consapevolezza del pregiudizio in capo alla terza sub-acquirente DUPRAZ Consultants Overseas Ltd., essendo emerso dalla istruttoria che la stessa deteneva il 95% del capitale di Lunicertifica s.r.l. – società inattiva di cui era amministratore unico M.S. -, partecipazione che le consentiva di esercitare il diretto controllo su numerose altre società, tutte facenti capo od amministrate dalla F. o dallo stesso M.; era ancora emerso dalla istruttoria che la società cipriota deteneva unitamente ad APPIA s.r.l. anche la partecipazione di controllo in Multiprogress Group s.r.l. le cui quote erano state oggetto della esecuzione del mandato a vendere conferito da ARC en Ciel s.s. al defunto M.G.. La Corte d’appello, alla stregua di tali risultanze, ha pertanto ritenuto provata la mala fede della società cipriota, sia in quanto ricollegabile alle altre società gestite dal M., sia in quanto risultava essere del tutto priva di interesse all’acquisto della nuda proprietà di immobili ad uso residenziale.

La sentenza di appello, notifica in via telematica, in data 2.11.2017, è stata ritualmente impugnata da M.S. e da F.M.E. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso ARC en Ciel s.s.

Non ha svolto difese DUPRAZ Consultants Overseas Ltd. cui il ricorso è stato ritualmente notificato in via telematica in data 29.12.2017 all’indirizzo PEC del difensore nominato in grado di appello.

Le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: nullità della sentenza per violazione degli artt. 2267 e 484 c.c., e dell’art. 2901 c.c.

I ricorrenti vengono a mettere in discussione la esistenza del credito vantato da ARC en CIEL s.s. nei confronti della F., assumendo che:

SIFE s.s. era stata istituita unica erede universale ed aveva accettato la eredità con beneficio di inventario, mentre i coeredi legittimari aveva prestato acquiescenza alla disposizione testamentaria, rinunciando all’esercizio della azione di riduzione ai sensi dell’art. 490 c.c., comma 2 l’erede con accettazione di beneficio di inventario poteva rispondere esclusivamente entro i limiti dell’asse ereditario attivo: la separazione dei patrimoni societario ed ereditario impediva la estensione ai soci, e quindi alla F., socia amministratrice (cfr. ricorso pag. 4, 13 e 14), della responsabilità personale e solidale per i debiti ereditari.

Il motivo deve ritenersi inammissibile qualora con esso si intenda rimettere in discussione, nel giudizio di legittimità, l’accertamento in fatto compiuto dal Tribunale di Torino, con la sentenza definitiva in data 19.1.2009 n. 121, con la quale è stato riconosciuto il credito di Euro 1.200.000,00 di ARC en CIEL s.s. e la F. è stata condannata in solido con SIFE s.s. al pagamento della corrispondente somma. Al riguardo appare del tutto irrilevante, poi, verificare se tale sentenza – confermata dalla Corte d’appello con sentenza n. 238/2012 – sia o meno passata in giudicato, non essendo dubitabile che la pronuncia giudiziale di merito, accertativa del credito, anche se non ancora divenuta irrevocabile, è sufficiente ad integrare il presupposto della “ragione di credito”, anche solo eventuale, richiesto dall’art. 2901 c.c. per concedere la tutela della declaratoria di inefficacia relativa dell’atto dispositivo pregiudizievole, in quanto diminutivo della garanzia patrimoniale generica apprestata dal debitore.

L’assunto difensivo è da ritenere privo di pregio in diritto, in quanto dalla premessa – corretta – della “separazione” dei patrimoni societario ed ereditario a favore della prelazione dei creditori ereditarie legatari rispetto ai creditori dell’erede (art. 490 c.c., comma 2, n. 3), operata dalla accettazione dell’erede con beneficio di inventario, da un lato, viene tratta una conclusione del tutto ovvia -la società ed i soci non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti gravanti sull’asse ereditario nei quali l’erede beneficiato succede nei limiti dell’attivo ereditario-, ma, dall’altro lato, si vuole affermare un ulteriore corollario che, invece, non è affatto scontato: e cioè che, in tesi, non possa essere ravvisata mai alcuna responsabilità personale e solidale dei singoli soci oltre di quelli che hanno agito in nome e per conto della società – ex art. 2267 c.c., comma 1- per gli atti inerenti la procedura beneficiata compiuti dalla società-erede, dalla amministrazione dei beni ereditari di cui sia entrata in possesso (artt. 485 e 491 c.c.), alla tempestiva (artt. 485 c.c., comma 1 e art. 487 c.c., comma 2) e corretta redazione dell’inventario (art. 494 c.c.), alla prestazione delle eventuali garanzie richieste dai creditori ereditari (art. 492 c.c.), ed alla liquidazione delle attività ereditarie ed al pagamento dei creditori secondo l’ordine di graduazione divenuto definitivo (artt. 495 c.c. ovvero ex artt. 499505 c.c.).

I ricorrenti vengono a configurare, infatti, un impedimento o comunque una limitazione all’applicazione dell’art. 2267 c.c.che non trova riscontro in alcuna norma specifica od altra norma di sistema della disciplina della responsabilità delle società di persone.

Invero la circostanza che la istituzione di erede sia effettuata a favore di persona fisica o invece di ente collettivo (per i cui atti compiuti dai singoli soci, questi rispondono personalmente e solidalmente), non è elemento discretivo nella applicazione della disciplina normativa della responsabilità verso i terzi creditori derivante dagli atti della procedura ereditaria compiuti dall’erede beneficiato, trasferendosi tale responsabilità – se è istituita erede una società di persone – non soltanto ai soci che, nel compimento di tali atti, hanno agito spendendo il nome della società, ma anche a tutti gli altri soci (in difetto di patto contrario), in virtù dell’ordinaria previsione di cui all’art. 2267 c.c., comma 1.

I creditori dell’eredità beneficiata, pertanto, bene possono agire a tutela delle proprie ragioni – sia pure nei limiti della misura dell’attivo ereditario – nei confronti dei singoli soci in relazione alla responsabilità da questi assunta per l’adempimento dei rapporti obbligatori nei quali la società di persone è succeduta per disposizione “mortis causa”.

E’ stato, infatti, riconosciuto da questa Corte che il “beneficium excussionis” concesso ai soci illimitatamente responsabili di una società di persone ex art. 2268 c.c., in base al quale il creditore sociale non può pretendere il pagamento da uno di essi se non dopo l’escussione del patrimonio sociale, opera esclusivamente in sede esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo aver agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce al predetto creditore di agire direttamente nei suoi confronti in sede di cognizione ordinaria: la responsabilità del socio si configura, infatti, come personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo di escussione del patrimonio sociale, sicchè egli non può essere considerato terzo rispetto all’obbligazione sociale, ma debitore al pari della società per il solo fatto di essere socio (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 15713 del 12/08/2004; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 279 del 10/01/2017).

Dunque nei limiti del patrimonio ereditato da SIFE s.s. anche la F. bene può essere chiamata a rispondere personalmente e solidalmente per gli atti della società concernenti la corretta liquidazione dei debiti ricadenti nell’asse ereditario. Ed infatti, in seguito alla devoluzione ereditaria, l’accettazione con beneficio di inventario non impedisce la successione del chiamato – che abbia accettato – nei rapporti passivi del “de cuius”, producendo il beneficio di inventario quale unico effetto quello previsto dall’art. 490 c.c., comma 2, n. 2), che è di limitare l’impegno solutorio del successore entro “il valore dei beni a lui pervenuti”. Ne segue che l’assunto difensivo secondo cui la domanda revocatoria proposta contro la F. avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, in quanto la stessa non aveva mai assunto alcuna obbligazione nei confronti di ARC en CIEL s.s. e dunque non avrebbe potuto danneggiare tale società attraverso l’atto di liberalità compiuto a favore del figlio, risulta del tutto destituito di fondamento. Ed infatti, ritenuta infondata la ipotesi difensiva secondo cui alcun debito ereditario avrebbe potuto gravare sulla F., il credito azionato in revocatoria da ARC en CIEL s.s. – insorto nell’anno 2001 – era confluito nel passivo della eredità di M.G., trovando titolo nell’originario inadempimento del “de cuius” alla obbligazione del mandatario, avente od oggetto la rimessa alla predetta società mandante delle somme che aveva riscosse, debito del quale i ricorrenti neppure hanno allegato la parziale estinzione o novazione. Al proposito si osserva che la censura si palesa del tutto insufficiente, quanto alla parte espositiva del fatto, in ordine alla attuale persistenza del credito ereditario vantato da ARC en CIEL, non essendo stato neppure allegato dai ricorrenti se e quando sia stata eseguita la redazione dell’inventario (e dunque la società non sia decaduta dal beneficio e non debba essere chiamata a rispondere, unitamente ai soci, quale semplice erede), quale fosse la consistenza dell’attivo ereditario, e se e quando siano stati liquidati i beni pervenuti nell’asse, ed ancora se e quando sia stato eseguito in tuto od in parte il pagamento del debito ereditario avuto riguardo all’importo del credito azionato in revocatoria da ARC en CIEL s.s. (nella memoria illustrativa i ricorrenti riferiscono soltanto che il verbale di accettazione della eredità con beneficio di inventario ed il verbale di inventario sarebbero stati trascritti nel registro successioni del Tribunale di Ivrea).

Appare pertanto totalmente destituita di fondamento la critica mossa dai ricorrenti alla sentenza di appello, nella parte in cui la Corte territoriale ha statuito che il credito ereditario della società semplice ARC en CIEL verso (la SIFE s.s. e) la F. – quale socia amministratrice – era insorto anteriormente all’atto di donazione stipulato da quest’ultima in data 21.8.2008, sussistendo tale anteriorità cronologica tanto in riferimento alla obbligazione del mandatario ex art. 1713 c.c., quanto in relazione alla vicenda successoria (2004), essendo appena il caso di aggiungere che, qualora poi i ricorrenti come sembra desumersi dalla memoria illustrativa – abbiano invece inteso riferirsi alla data 19.1.2009 di pubblicazione della sentenza definitiva del Tribunale di Torino – che ha condannato SIFE s.s. e F.M.E., in solido, al pagamento della somma di Euro 1.200.000,00 – vale osservare come, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la verifica della anteriorità cronologica del credito rispetto all’atto dispositivo deve essere compiuta riguardo al momento della insorgenza (nella specie al momento della accettazione della eredità con beneficio di inventario) e non a quello dell’accertamento giudiziale o della liquidazione del credito (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 8013 del 02/09/1996; id. Sez. 2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2005).

Secondo motivo: nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe del tutto omesso di motivare sul presupposto del “consilium fraudis” (recte: scientia damni) in capo alla donante F., essendosi limitata a fare riferimento alla sentenza definitiva del Tribunale di Torino in data 9.1.2009 n. 121, e così non tenendo conto che la F., al momento della stipula della donazione il 21.8.2008, neppure poteva ritenersi a conoscenza delle ragioni creditorie di ARC en CIEL S.S..

Il motivo è inammissibile e comunque palesemente infondato alla stregua delle considerazioni svolte nell’esame del precedente motivo.

E’ inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha espressamente pronunciato sul punto, rilevando che il “consilium fraudis” dell’acquirente-donatario non era richiesto, vertendosi in tema di atto a titolo gratuito, e che la conoscenza del processo pendente per l’accertamento del credito conduceva a dimostrare la “scientia damni” della F.: ne segue che alcuna omissione di pronuncia sull’elemento soggettivo della fattispecie può essere imputata alla Corte territoriale che, sulla scorta dei principi di diritto enunciati in relazione alla verifica della anteriorità cronologica del credito (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 8013 del 02/09/1996; id. Sez. 2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2005), correttamente ha ritenuto di desumere la consapevolezza della F. di arrecare pregiudizio alla garanzia del credito dalla circostanza che “pendeva già da alcuni anni davanti il tribunale di Torino la causa diretta ad ottenere la condanna” della stessa della società SIFE al pagamento del credito vantato da ARC en CIEL s.s..

Terzo motivo: in subordine, omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I ricorrenti riproducono la medesima censura svolta nel precedente motivo, sotto il diverso paradigma del vizio di legittimità dell'”errore di fatto”, affermando – in modo del tutto anapodittico – che, poichè la sentenza non definitiva del Tribunale di Torino – che accertava la legittimazione passiva della F. all’azione di condanna proposta da ARC en CIEL s.s. – era intervenuta in data 11.7.2007, la stipula della donazione avvenuta circa un anno dopo, in data 21.8.2008, era dimostrativa della sua buona fede.

Indipendentemente dalla illogicità di tale asserzione – proprio la anteriorità del processo nel quale veniva fatto valere il credito azionato poi in revocatoria, evidenzia al contrario un sintomo della consapevolezza della donante di sottrarre i beni destinati alla garanzia del credito “sub judice” -, il motivo è inammissibile, in quanto difetta del tutto la indicazione del “fatto storico decisivo” che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare.

Gli errori in fatto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012applicabile ratione temporis – come interpretato da questa Corte, consente di sindacare in sede di legittimità sono infatti circoscritti all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: l’ambito in cui opera il vizio motivazionale deve individuarsi, pertanto, nella sola omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un “fatto storico”, principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere “decisivo” in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Quarto motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 4, dell’art. 2652c.c., n. 5) e dell’art. 2729c.c., nonchè degli artt. 115 e 166 c.p.c. (errata e/o omessa valutazione dei documenti di causa).

I ricorrenti contestano la valutazione degli elementi sintomatici che hanno condotto la Corte d’appello ad affermare l'”animus nocendi” del terzo acquirente DUPRA Consultants Overseas Ltd., in relazione alla compravendita stipulata, in data 12.3.2009, con l’alienate M.S., sostenendo che gli elementi indiziari non erano conducenti e che la Corte territoriale aveva omesso di considerare che il prezzo pagato era economicamente congruo. Secondo i ricorrenti, sussistendo pertanto la buona fede della società cipriota, il Giudice di merito avrebbe dovuto risolvere la controversia revocatoria riconoscendo la prevalenza, rispetto al diritto del creditore, del diritto del terzo acquirente primo trascrivente ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 4.

Il motivo è inammissibile.

Osserva il Collegio che il vizio di violazione delle norme di diritto in materia di “presunzione” rimane circoscritto alla sola ipotesi in cui il Giudice di merito abbia fatto ricorso alla prova presuntiva semplice nei casi in cui la legge non consentiva l’utilizzo di tale prova, ovvero richiedeva per la dimostrazione del fatto un diverso mezzo di prova, o ancora se il Giudice abbia ritenuto priva di efficacia probatoria una presunzione legale.

La violazione dello schema normativo della presunzione semplice che dà luogo al vizio di violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., infatti, non concerne il convincimento finale che il Giudice trae dalla valutazione del complesso indiziario, ma la divergenza – nel procedimento di rilevazione e selezione dei fatti seguito dal Giudice – dai criteri di logica formale che presiedono alla “modalità di interrogazione” di tale materiale eterogeneo, che, come noto, debbono avere come riferimento la prova dei fatti principali costitutivi del diritto controverso e che si sviluppano attraverso: 1-la delimitazione del materiale di esame ai soli fatti “certi” che non risultino contraddetti da altri fatti (precisione); 2 – l’esame atomistico di ciascun elemento indiziario (fatto secondario) e quindi l’esame globale del complesso indiziario unitariamente considerato in funzione della sua o della loro capacità dimostrativa (gravità); 3 – la efficacia conoscitiva del fatto ignorato che il singolo indizio o complesso di indizi è idoneo a produrre, in base alla applicazione di criteri logici di tipo probabilistico-inferenziale tratti dai dati della esperienza (id quod plerumque accidit), ovvero da dati scientifici o statistici (inferenza cognitiva); 4 – la controprova o verifica di consistenza, intesa come inidoneità dell’elemento o del complesso indiziario a fornire una diversa inferenza tale da condurre alla conoscenza di un altro fatto ignorato, che risulti alternativo ed incompatibile con quello precedentemente presunto (concludenza).

Appare dunque del tutto evidente come la verifica di conformità rispetto allo schema normativo indicato si ponga all’esterno rispetto al contenuto di merito della valutazione (nel che si estrinseca il “convincimento” del Giudice ex art. 116 c.p.c., comma 1), non essendo quindi sufficiente contestare le conclusioni raggiunte nella sentenza impugnata in ordine alla sussistenza o meno della prova dei fatti costitutivi della domanda o della eccezione, per assolvere al requisito di specificità del motivo con il quale si deduce il vizio di violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c..

Al proposito occorre precisare che il livello di certezza richiesto dagli artt. 2727 e 2729 c.c. non può evidentemente essere quello -tipico dei fenomeni rilevati con metodo di verifica scientifica- della “necessità assoluta ed esclusiva” della derivazione causale: vertendosi, infatti, in tema di prova logica, il nesso di derivazione causale tra fatto noto e fatto ignorato non può che essere fondato su un giudizio probabilistico basato sull'”id quod plerumque accidit”, non potendo escludersi, quindi, che dallo stesso fatto noto possano derivare in ipotesi anche conseguenze diverse che, tuttavia, o verranno ad assumere rispetto al procedimento inferenziale “preferito” una collocazione meramente recessiva (situazione che si verifica qualora tali conseguenze, pur se possibili, risultino però in concreto verificabili in casi eccezionali o addirittura statisticamente mai rilevate, rimanendo in tal caso confinate nell’ambito delle mere ed astratte ipotesi), oppure verranno a collocarsi sullo stesso piano ed allo stesso grado di inferenza logica degli altri esiti, tutti quindi egualmente “probabili”, venendo allora in rilievo ai fini del controllo di legittimità del procedimento logico l’accertamento del carattere compatibile e non interferente di detti risultati con quello idoneo a fornire la prova del fatto ignorato (ossia dalla medesima premessa indiziaria possono derivarsi plurime presunzioni di diversi fatti ignorati che tuttavia si pongono tra essi in relazione di indifferenza e di non esclusione), o invece la oggettiva “inconciliabilità” di tali risultati, preclusiva della prova presuntiva del fatto ignorato, ipotesi che si verifica laddove sussista una pari plausibilità degli esiti oggettivamente discordanti ed incompatibili cui si perviene dalla medesima premessa indiziaria con il procedimento inferenziale. Il ragionamento del Giudice di merito in ordine alla prova presuntiva dotata dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. è dunque censurabile in sede di legittimità soltanto “allorchè difetti la inferenza probabilistica, tutte le volte in cui sussistano inferenze probabilistiche plurime (ndr. che risultino tra loro logicamente inconciliabili in quanto poste in relazione di esclusione reciproca)…” (cfr. Corte cass. V sez. 2.3.2012 n. 3281).

Nella specie, una tale pluralità di inferenze oggettivamente incompatibili, ostativa alla prova del fatto ignorato tratta dal fatto noto, non è stata neppure allegata dalla parte ricorrente che non ha individuato alcuna conseguenza alternativa, fondata su una identica “normalità probabilistica”, assolutamente incompatibile con la ricostruzione del fatto operata dal Giudice di appello sulla base dei medesimi elementi indiziari.

E’ appena il caso di osservare, in proposito, come l’elemento circostanziale della congruità del prezzo di vendita, oltre che indimostrato, è del tutto inconferente, vertendo la causa sul pregiudizio arrecato al credito altrui e non sulla natura simulata o meno della operazione negoziale di compravendita che anzi, l’azione revocatoria, presuppone come valida e reale.

Per il resto, la approfondita disamina dei controlli societari a catena illustrati nella sentenza impugnata, consente ampiamente di non ritenere del tutto implausibile il convincimento maturato dal Giudice di appello in ordine alla presunzione della effettiva conoscenza, da parte della società cipriota, della situazione patrimoniale e processuale della F. e della esposizione debitoria di quella, attesi gli stretti legami tra le diverse società tutte gestite dalla F. e dal figlio M.S. e poste sotto il controllo indirettamente esercitato da DUPRAZ attraverso la società inattiva Lunicertifica s.r.l. di cui il M. risulta essere l’amministratore.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed i ricorrenti condannati alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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