Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18943 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. III, 16/07/2019, (ud. 03/06/2019, dep. 16/07/2019), n.18943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17405-2015 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO ALBERTELLI

1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE ROMA (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 337/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUCIA CAMPOREALE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con pronuncia conforme a quella del Giudice di prime cure, la Corte d’appello di Roma, con sentenza 19.1.2015 n. 436, ha rigettato l’appello proposto da B.C., ritenendo infondata la pretesa, dallo stesso formulata nei confronti della Azienda USL Roma C, volta ad ottenere il pagamento dei corrispettivi relativi alla esecuzione dell’incarico di “progettazione del completamento del (OMISSIS)”, conferitogli dalla soppressa USL Roma n. (OMISSIS), con Delib. n. 3363 del 1990.

La Corte distrettuale ha motivato la decisione statuendo: che a seguito della soppressione delle UU.SS.LL., istituite dalla L. n. 833 del 1978, i rapporti attivi e passivi facenti capo a queste ultime, erano da intendersi trasferiti alle regioni, giusta la interpretazione della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, e della L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 14, fornita dalla Corte nomofilattica, e dunque il professionista non poteva agire nei confronti della neocostituita Azienda USL Roma (OMISSIS), ma avrebbe dovuto rivolgersi per ottenere il compenso dovuto alla regione Lazio, ente succeduto ex lege, a titolo particolare, nei rapporti pendenti della soppressa USL; che con la Delib. n. 1176 del 1996 la nuova Azienda sanitaria, diversamente da quanto sostenuto dal B., non aveva rinnovato o prorogato l’originario incarico professionale, ma aveva ad esso fatto riferimento esclusivamente per giustificare la opportunità di assegnare al medesimo professionista, senza procedura evidenza pubblica, un nuovo e diverso incarico, pur sempre riguardante l'(OMISSIS) ma avente ad oggetto la redazione del progetto preliminare e definitivo-esecutivo, nonchè l’affidamento della direzione lavori relativi alla realizzazione del Dipartimento di Emergenza ed Accettazione-DEA di 2 livello; che alla netta distinzione tra i due incarichi si perveniva in base al riscontro tecnico delle diverse opere relative alle progettazioni, essendosi concluso il primo rapporto professionale in data 30.11.1990 con la consegna del progetto alla USL n. (OMISSIS), ed essendo invece insorta la necessità della realizzazione del nuovo lotto di lavori relativo al “DEA di 2 livello” solo in seguito alla Delib. Giunta regionale n. 1004 del 1994 che aveva organizzato secondo diversi livelli l’intervento ospedaliero urgente – nonchè alla successiva Delib. Consiglio della Regione Lazio 5 luglio 1996, n. 205 che aveva disposto i relativi stanziamenti di bilancio.

La Corte distrettuale riteneva in conseguenza assorbite le altre questioni concernenti l’accertamento della esistenza di un valido contratto d’opera stipulato tra le parti e della prescrizione del credito per corrispettivi, eccepita dalla Azienda sanitaria. Confermava, inoltre, la pronuncia di primo grado anche in punto di inammissibilità della domanda subordinata di arricchimento ingiustificato, rivolta contro l’Azienda sanitaria, in quanto, nella specie, era individuabile nella regione Lazio il soggetto tenuto ad effettuare il pagamento dei corrispettivi professionali.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata da B.C. con ricorso per cassazione affidato a sette motivi, notificato in data 14.7.2015 al domicilio eletto dalla Azienda sanitaria presso i difensori nominati in secondo grado.

L’ente pubblico intimato non ha svolto difese.

La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Primo motivo: violazione e,falsa applicazione D.Lgs. n. 502 del 1992, della L. n. 724 del 1994, art. 6, della L. n. 549 del 1995, art. 2 e della L.R. Lazio n. 19 del 11994, art. 26 (recte della L. n. 18 del 1994); violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss.; nullità della sentenza per motivazione apparente od omessa in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Sostiene il ricorrente che la Corte distrettuale avrebbe errato nel rilevare che la Delib. Azienda sanitaria n. 1176 del 1996 avesse ad oggetto un’opera diversa da quella per cui era stata chiesta la progettazione con le Delib. n. 3363 del 1990 della USL Roma (OMISSIS) e Delib. n. 177 del 1995 della Gestione stralcio della predetta USL, in quanto nella Delib. del 1996 veniva fatto espresso riferimento a queste ultime, ed alla necessità di “variare” le opere e procedere ad “uno stralcio” delle stesse per procedere allo specifico adattamento tecnico, venendo “confermata la fiducia” al professionista per l'”incarico in corso”, il che comportava che l’ente pubblico aveva inteso proseguire il precedente rapporto contrattuale, che doveva intendersi quindi unitario, tanto più considerando che con la Delib. 24 febbraio 1995, n. 177 il Direttore generale della ASL – in qualità di titolare della Gestione stralcio della soppressa USL – aveva conferito al B. l’incarico di redigere elaborati tecnici integrativi che erano stati chiesti dal Comune per procedere alla variante urbanistica, e che nel 1998 il Comune di Roma aveva rilasciato la licenza edilizia in variante al PRG.

1.1. Le diverse censure dedotte con il primo motivo sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

1.1.2. E’ palesemente infondata la censura di nullità della sentenza per omessa od apparente motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).

La Corte territoriale ha, infatti, interamente imperniato la argomentazione logica a supporto della decisione sulla continuità o novità del rapporto contrattuale d’opera professionale instaurato dal B. originariamente con la USL Roma n. (OMISSIS). Il Giudice di appello in base all’esame delle delibere prodotte in giudizio è pervenuto al convincimento che il B. avesse ricevuto distinti incarichi professionali – il primo commissionato dalla USL Roma (OMISSIS), successivamente soppressa; il secondo commissionato dalla Azienda sanitaria Roma (OMISSIS) – traendo quindi la coerente conseguenza che soggetto passivo della pretesa, relativamente al diritto vantato dal professionista per corrispettivi inerenti al primo incarico, fosse esclusivamente la regione Lazio.

Orbene è affermazione pacifica che la motivazione è solo “apparente”, ovvero “perplessa” o “incomprensibile”, e la sentenza è quindi nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture: “in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. se:. un. 5 agosto 2016 n. 16599: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009)…. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017).

Ora, indipendentemente dal rilievo che la censura non rispetta il canone di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendo stata omessa la trascrizione delle proposizioni testuali tratte dalla sentenza impugnata e tali per cui non potrebbe in alcun modo individuarsi la ratio decidendi su cui è fondata la decisione di rigetto della domanda risarcitoria (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012), risultano ampiamente esposte nella motivazione della sentenza e chiaramente individuabili le ragioni in diritto sulle quali il Giudice di appello ha inteso fondare la propria decisione, dovendo pertanto ritenersi esente, la sentenza impugnata, dal vizio di legittimità denunciato.

1.2. La censura relativa alla dedotta violazione delle norme di diritto concernenti la vicenda successoria verificatasi in seguito alla soppressione delle UU.SS.LL. è inammissibile, per difetto di supporto argomentativo critico ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

1.2.1 Occorre brevemente ripercorrere la vicenda normativa che si articola nei seguenti momenti determinanti.

Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (emanato sulla base della L. 23 ottobre 1992, n. 421, di delega per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego e di finanza territoriale) ha realizzato il riordinamento della disciplina in materia sanitaria, con la soppressione delle USL e l’istituzione delle Aziende unità sanitarie locali, aventi natura di “enti strumentali della Regione, dotati di personalità giuridica pubblica di autonomia organizzativa amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica” (art. 3).

La L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 1, ha disposto, tra l’altro, che “in nessun caso è consentito alle regioni far gravare sulle aziende di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, nè direttamente, nè indirettamente, i debiti e i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle unità sanitarie locali. A tal fine le regioni dispongono apposite gestioni a stralcio, individuando l’ufficio responsabile delle medesime”.

La L. 23 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 14, ha disposto che “per l’accertamento della situazione debitoria delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere al 31 dicembre 1994, le regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende unità sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie locali comprese nell’ambito delle rispettive aziende. Le gestioni a stralcio di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, sono trasformate in gestioni liquidatorie.”

Tale complesso normativo è stato interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte con pronunce aventi valore nomofilattico, i cui argomenti neppure vengono scalfiti nella esposizione del motivo dal ricorrente- come una successione “ex lege”, a titolo particolare, della regione nei rapporti obbligatori già di pertinenza delle USL, attraverso la creazione di apposite gestioni stralcio, fruenti della soggettività dell’ente soppresso (prolungata durante la fase liquidatoria) e rappresentate dal direttore generale delle neo costituite AUSL, che, in veste di commissario liquidatore, agisce nell’interesse della regione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 1989 del 06/03/1997; id. Sez. U, Sentenza n. 1237 del 30/11/2000; id. Sez. U, Sentenza n. 23022 del 15/11/2005: seguite da orientamento conforme delle sezioni semplici, cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 1819 del 29/01/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 1532 del 26/01/2010; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4392 del 2110212017 che ha ritenuto inefficace l’atto interruttivo della prescrizione del credito maturato anteriormente verso la soppressa USL, notificato alla neocostituita Azienda sanitaria), soluzione interpretativa che ha ricevuto conferma nel principio affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui: “La L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6,comma 1, a norma del quale in nessun caso le regioni possono far gravare, direttamente o indirettamente, sulle neocostituite Asl i debiti facenti capo alle preesistenti USL, dovendo a tal fine le regioni stesse predisporre apposite “gestioni stralcio”, con individuazione dell’ufficio responsabile, sebbene sia norma a contenuto specifico e dettagliato, costituisce principio fondamentale della legislazione nazionale, vincolante l’autonomia finanziaria regionale in materia sanitaria, in quanto inserito in un’azione complessiva, a carattere generalizzato, volta a contenere il disavanzo pubblico” (cfr. Corte Cost. Ord., 31/03/2000, n. 89).

1.2.2. Alcuna critica è rivolta dal ricorrente a tale ricostruzione che individua nella regione l’ente succeduto alla soppressa USL nei rapporti obbligatori pendenti facenti capo a quest’ultima e nelle relative posizioni creditorie e debitorie maturate, essendo meramente anapodittica -oltre che fondata su una interpretazione delle legge regionale manifestamente confliggente con i vincoli ad essa assegnati dall’indicato principio fondamentale stabilito dalla legge nazionale – l’affermazione secondo cui con la L.R. Lazio 16 giugno 1994, n. 18 (recante “Disposizioni per il riordino del servizio sanitario regionale ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere”), modificata dalla L.R. 16 giugno 1994, n. 19, i rapporti obbligatori preesistenti e le relative passività potevano essere assunti dalle nuove Aziende sanitarie, non trovando riscontro tale assunto nel disposto di legge, atteso che la L. n. 18 del 1994, art. 26, comma 1, subordinava l’adozione da parte dei direttori generali, nominati ai sensi della presente legge, dei provvedimenti diretti a “realizzare la progressiva trasformazione e riorganizzazione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere”, alle apposite direttive impartite dalla Giunta regionale, tra l’altro, anche per “…c) la successione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, secondo le rispettive competenze, nei rapporti giuridici ed economici facenti capo alle unità sanitarie locali preesistenti;”, laddove tale previsione – in relazione alla quale il ricorrente neppure indica le eventuali direttive di Giunta adottate- non può che riferirsi, secondo una interpretazione conforme agli artt. 117 e 118 Cost., ai rapporti concernenti le competenze istituzionali delle Aziende in materia di erogazione delle prestazioni sanitarie, onde impedire rischi di soluzione di continuità del servizio sanitario pubblico determinata dalla vicenda successoria, fermo in ogni caso il divieto assoluto di far gravare sulle nuove Aziende i debiti pregressi.

1.3. Inammissibile è anche la censura volta a contestare la applicazione dei criteri ermeneutici ex artt. 1362 c.c. e ss..

Al riguardo occorre ribadire che, qualora la parte ricorrente intenda impugnare la sentenza per violazione od errata applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., è suo preciso onere dedurre tale vizio in modo specifico. Ed infatti la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente ed indifferentemente tutte le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed il punto ed il modo in cui il Giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22889 del 25/10/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013).

1.3.1. Orbene indipendentemente dal dirimente rilievo di inammissibilità del motivo che: a) riferendosi agli artt. 1362 c.c.e ss non specifica il criterio interpretativo violato, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4); b) non trascrive -come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) – il contenuto delle diverse delibere relative al conferimento degli incarichi progettuali, adottate dalla USL Roma n. (OMISSIS), dal Direttore generale della nuova Azienda ma in qualità di titolare della Gestione stralcio, prima, e quindi di quella liquidatoria, e dalla Azienda USL Roma (OMISSIS), impedendo quindi a questa Corte di svolgere un esame comparativo del contenuto delle stesse e verificare l’eventuale errore commesso dal Giudice di appello nel considerare che ad esse corrispondessero altrettanti distinti rapporti d’opera professionale, ebbene a prescindere da tali rilievi, quando anche si circoscrivesse l’esame della censura alla contestazione del criterio ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c. e si ritenesse di esaurire la verifica nel contenuto della Delib. n. 1176 del 1996 della Azienda USL Roma (OMISSIS) appare evidente come gli elementi testuali oggetto della critica del ricorrente si riferiscano a quegli stessi esaminati dalla Corte d’appello, venendosi ad incentrare la censura su una diversa attribuzione del significato da assegnare nel contesto dell’atto ad espressioni quali in particolare quelle -riportate anche nella sentenza impugnata- che evidenziavano: a) la esigenza di dare corso alla esecuzione degli atti progettuali per la realizzazione del Dipartimento di Emergenza ed Accettazione 2 livello dell'(OMISSIS), prevista dalla Delib. Consiglio regionale n. 205 del 1996, disponendo “uno stralcio (con variante)” dei precedenti interventi previsti per il “Completamento del (OMISSIS)”; b) la opportunità di affidare l’incarico della progettazione delle opere stralciate allo stesso professionista, già incaricato del precedente progetto, in tal modo “trattandosi della prosecuzione di un incarico in corso” secondo l’Azienda sarebbe stato possibile evitare la procedura ad evidenza pubblica.

Mentre la Corte territoriale ha ritenuto che tali espressioni contenute nella Delib. n. 1176 del 1996 fossero esclusivamente strumentali a giustificare le ragioni per cui l’ente pubblico non riteneva di dover dare pubblicità alla richiesta di una nuova progettazione (cfr. L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 17, comma 12 nel testo vigente al tempo, non essendo stato ancora approvato il regolamento volto a disciplinare le modalità di aggiudicazione per l’affidamento degli incarichi: art. 17, comma 11), e preferiva affidare l’incarico della progettazione del DEA 2 livello allo stesso professionista, già precedentemente incaricato del progetto del “Completamento del (OMISSIS)”, rimanendo quindi del tutto distinti il rapporto professionale affidato con Delib. 26 aprile 1990, n. 3363 della vecchia USL (ai sensi del D.M. 29 agosto 1989, n. 321 e della DCR Lazio 25 gennaio 1990, n. 1108: rapporto proseguito, secondo quanto afferma il ricorrente, fino alla Delib. di approvazione n. 47 del 1993 ed alla liquidazione disposta con Delib. 28 gennaio 1994, n. 56 – ricorso pag. 18 -) ed il nuovo rapporto professionale instaurato con la Delib. n. 1176 del 1996 (ai sensi della DCR Lazio 11 maggio 1994, n. 1004 e della DCR Lazio 5 luglio 1996, n. 2015), il ricorrente afferma che il nuovo progetto si inseriva “confermandolo” nel medesimo contratto d’opera risalente al 1990.

Ne segue che, nella specie, il ricorrente si è limitato a prospettare un possibile significato alternativo, delle disposizioni negoziali, diverso da quello accolto dalla Corte territoriale, come tale inidoneo ad inficiare la applicazione dei criteri ermeneutici utilizzati dal Giudice di merito, atteso che – ribadendo il principio di diritto costantemente affermato da questa Corte – “l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 3644 del 16/02/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 15604 del 12/07/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009; id. Sez. 2, Sentenza n. 19044 del 03/09/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; id. Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014).

1.3.2. Può aggiungersi, ancora, che, anche a prescindere dalla formulazione di una corretta censura diretta a veicolare la critica formulata in relazione alla asserita violazione dei criteri ermeneutici (mancando del tutto la indicazione di ulteriori elementi dirimenti idonei a suffragare la tesi difensiva, in relazione al significato da attribuire alle espressioni letterali utilizzate nella Delib. n. 1176 del 1996, sopra riportate), l’assunto del ricorrente non fornisce alcuna spiegazione del perchè la ipotizzata “prosecuzione sine die” dell’unico incarico conferito nel 1990 farebbe gravare sulla nuova Azienda sanitaria – in palese contrasto con il disposto della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1 – anche i debiti pregressi, maturati dal professionista in relazione alla progettazione del “Completamento del nuovo (OMISSIS)”, atteso che l’obbligazione relativa al pagamento del relativo corrispettivo era stata assunta dalla USL Roma n. (OMISSIS) e lo stesso ricorrente ha riferito che proprio tale USL aveva provveduto ad approvare il progetto e liquidare le relative competenze (anteriormente alla entrata in vigore della L. n. 724 del 1994), circostanza questa che connota il motivo di ricorso anche da incertezza sulle pretesa per corrispettivi fatta valere con il ricorso monitorio – con inevitabile conseguenze sull’accesso al sindacato di legittimità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 -, non essendo affatto chiaro, invero, a quali precedenti attività professionali debba riferirsi la pretesa fatta valere nel presente giudizio.

Non è pertinente, al riguardo, non essendo dimostrativo della unicità del rapporto obbligatorio, il richiamo alla Delib. titolare della Gestione stralcio 24 febbraio 1995, n. 177, con la quale era stata richiesta la redazione di ulteriori elaborati tecnici necessari ad ottenere la concessione edilizia, nè la circostanza che in base a tali elaborati il Comune di Roma aveva assentito, con provvedimento in data 2.4.1998 n. 48, la concessione in variante al PRG, intestandola alla Azienda USL Roma (OMISSIS). Ed infatti, non pare dubbio come anche tale attività – qualora da ritenere inserita nell’originario contratto d’opera professionale – ricadesse nel rapporto obbligatorio trasferito alla regione Lazio, esclusivamente “per conto” della quale operava il titolare della gestione a stralcio e poi della Gestione liquidatoria.

Neppure è idoneo a sostenere la tesi difensiva l’argomento secondo cui la Delib. nel 1990 prevedeva anche il compimento di “tutti gli atti necessari per la esecuzione dei lavori in base alle vigenti normative”: tale rilievo non scalfisce, infatti, la motivazione addotta sul punto dalla Corte d’appello secondo cui il predetto impegno, poteva riferirsi a varianti tecniche – imposte da eventuali disposizioni cogenti di leggi sopravvenute – che si fossero rese “necessarie” per la redazione del progetto relativo al “Completamento del nuovo (OMISSIS)”, ma non anche ad un ampliamento della progettazione da riferirsi ad una “nuova” opera che neppure poteva essere prevista al tempo del conferimento dell’originario incarico.

Osserva in proposito il Collegio che, quando anche, in astratta e non condivisa ipotesi, si ritenesse che la progettazione affidata con la Delib. 29 agosto 1996, n. 1176 dovesse riferirsi (come sembra prospettato nel ricorso a pag. 18, al punto 2 lett. b) ad un preesistente vincolo obbligatorio – di durata ed oggetto per di più indeterminati – assunto dalla vecchia USL concernente la esecuzione di “qualsiasi futuro progetto” relativo all'(OMISSIS), anche se al tempo non ancora programmato (la Delib. Consiglio regionale che prevede la differenziazione per livelli delle prestazioni sanitarie di urgenza è dell’anno 1994) e non ancora finanziato (le relativa Delib. è del 1996 a valere sui fondi del “Giubileo”), e neppure astrattamente preventivato, non potrebbe egualmente comprendersi il fondamento giuridico della pretesa avanzata nei confronti della Azienda USL Roma (OMISSIS), per una attività progettuale svolta in attuazione di obbligazioni già precedentemente assunte nei confronti della vecchia USL e da intendersi, quindi, trasferite quali posizioni passive del rapporto in capo alla regione Lazio – e per essa, dapprima alla gestione a stralcio e quindi alla Gestione liquidatoria -, così come non avrebbe alcuna giustificazione la necessità della adozione da parte della Azienda sanitaria Roma (OMISSIS) di una nuova Delib. nel 1996 volta a “confermare” un incarico che, secondo l’assunto del ricorrente, era stato – asseritamente – già conferito al professionista.

Vero è invece che, se, da un lato, lo “stralcio” della realizzazione del DEA 2 livello, che richiedeva un progetto “in variante” rispetto a quello originariamente previsto per il – Completamento del nuovo ospedale”, già ex se denota la esigenza di provvedere separatamente – e dunque secondo un nuovo assetto negoziale che definisca anche i nuovi e maggiori costi – in ordine alla redazione del progetto dell’opera stralciata, venendo in rilievo una attività di progettazione ulteriore e diversa da quella originariamente programmata ed eseguita, dall’altro lato, il lessema “conferma” non sembra utilizzato con significato giuridico pertinente dal ricorrente, non ricorrendo alcuna ipotesi di “sanatoria” di un vizio negoziale, tanto meno di una nullità per cui una espressa previsione di legge consenta la “convalida” ex art. 1423 c.c., nè tanto meno una ipotesi di “riproduzione” del contratto volta a modificarne la forma, o ancora una ipotesi di “rinnovazione” o “proroga” di efficacia dell’originario contratto, che (indipendentemente dai requisiti formali essenziali dell’atto negoziale di rinnovazione o di proroga) in ogni caso potrebbe al più determinare in capo alla Azienda sanitaria Roma (OMISSIS) la assunzione di “nuove” obbligazioni, ma non certo a determinare l’accollo di obbligazioni e debiti pregressi, già assunti dalla vecchia USL o dalla Gestione a stralcio o liquidatoria, stante l’espresso divieto posto dalla L. n. 724 del 1994, art. 6,comma 1.

Pertanto la censura – da ritenere inammissibile – si paleserebbe, comunque, anche infondata.

p. 2. Secondo motivo: violazione D.Lgs. n. 502 del 1992; L. n. 724 del 1994, art. 6,L. n. 549 del 1995, art. 2; violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.c., degli artt. 1325c.c. e ss e dell’art. 112 c.p.c..

Terzo motivo: insussistenza della prescrizione del credito; giudicato interno sul punto.

Il ricorrente censura la sentenza di appello per avere omesso di esaminare i motivi di gravame con i quali veniva impugnata la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto comunque affetto da nullità per vizio di forma il contratto d’opera professionale, e veniva dedotta la insussistenza della prescrizione del diritto al corrispettivo.

2.1. I motivi sono inammissibili in quanto non rispondono alla prescrizione di esaustività della esposizione dei fatti ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e non colgono la “ratio decidendi”.

2.1.2 La Corte d’appello ha esplicitamente dichiarato assorbito l’esame dei motivi di gravame in questione (motivo 2: esistenza di un valido contratto; motivo 3: prescrizione del credito) attesa la prevalenza rivestita dalla statuizione che accertava la inesistenza in capo alla Azienda USL Roma (OMISSIS) della posizione debitoria nel rapporto d’opera professionale instaurato con la USL Roma n. 7 e nel quale era succeduta, dal lato passivo, la regione Lazio. In tal senso il Giudice di merito di seconde cure ha ritenuto che l’oggetto del giudizio, fin dal primo grado, fosse circoscritto alla pretesa per corrispettivi relativi alla attività progettuale concernente il “Completamento del (OMISSIS)”, avendo considerato la Delib. n. 1176 del 1996 esclusivamente come parametro alla stregua del quale condurre la indagine ermeneutica sulla ricostruzione della unicità o pluralità dei rapporti d’opera professionale, in quanto -secondo l’assunto dell’appellante B.- tale delibera dimostrava che gravava sulla Azienda sanitaria USL Roma (OMISSIS) la obbligazione di pagamento “anche” dei compensi maturati in relazione alla esecuzione degli incarichi progettuali conferiti con le Delib. n. 3363 del 1990 dalla USL RM n. (OMISSIS) e Delib. n. 177 del 1995 del titolare della Gestione liquidatoria: secondo la Corte d’appello, pertanto, non veniva in questione quindi nell’oggetto della controversia la richiesta di pagamento dei corrispettivi inerenti la successiva attività svolta dal professionista, in esecuzione dell’incarico di progettazione del DEA 2 livello di cui alla Delib. n. 1176 del 1996, il pagamento dei quali gravava pacificamente sulla neocostituita Azienda sanitaria (cfr. motivazione sentenza appello: “Pertanto, e conclusivamente, la Delib. del 1996 non giova all’appellante per poter far sì che del suo compenso (come preteso con il ricorso per decreto ingiuntivo) dovesse rispondere la nuova AUSL Roma (OMISSIS), poichè quest’ultima era obbligata a corrispondergli unicamente le somme a compenso del distinto incarico più volte sopra indicato (derivante dalla Delib. n. 1176 del 1996), mentre il compenso per le opere relative all’incarico del 1990 incombeva alla regione Lazio (quale ente cui facevano riferimento le Gestioni stralcio delle soppresse USL)….”).

2.1.3. Tale essendo l’oggetto della controversia deciso dalla Corte territoriale, appare dunque del tutto coerente la statuizione di assorbimento dei motivi di gravame concernenti la nullità del contratto e la prescrizione del diritto, in quanto questioni il cui esame si palesava superfluo non potendo avere accesso la pretesa monitoria per compensi relativi al periodo 1990-1995, nei confronti della ingiunta Azienda sanitaria Roma (OMISSIS).

2.1.4. Orbene con il ricorso per cassazione il B. non censura l’errore asseritamente commesso dalla Corte d’appello nella delimitazione dell’oggetto del giudizio (ai compensi relativi alle Delib. n. 3363 del 1990 e Delib. n. 177 del 1995), nè affronta la questione della erroneità della statuizione che ha dichiarato assorbite le questioni dedotte con i motivi 2 e 3 del gravame, limitandosi, invece, a dedurre il vizio di “omessa pronuncia” ex art. 112 c.p.c. su entrambi i motivi di gravame ed a rivolgere inammissibilmente, in sede di legittimità, le critiche alla decisione di prime cure del Tribunale che, quanto alle attività progettuali svolte dal professionista successivamente all’anno 1996 (senza tuttavia individuarle) aveva ravvisato la infondatezza della pretesa per mancanza della forma scritta “ad substantiam” del contratto d’opera, ritenendo – implicitamente – assorbita la eccezione di prescrizione del diritto, formulata in primo grado dalla Azienda sanitaria.

2.1.5. Le censure così svolte, difettano del tutto delle premesse espositive in fatto necessarie ad individuare se la controversia si estendesse o meno anche ai compensi relativi alla Delib. n. 1176 del 1996 o se, invece, fosse limitata, così come pare emergere dalla sentenza di appello, ai soli compensi maturati in relazione alle precedenti Delib. del 1990 e del 1995, ipotesi quest’ultima che sembrerebbe confermata dallo stesso ricorrente nella esposizione del quinto motivo di ricorso per cassazione, ove viene specificato che l’incarico ricevuto nel 1990 concerneva la redazione dello “Studio di Fattibilità” ed era stato liquidato dalla USL RM n. (OMISSIS) con la Delib. n. 56 del 1994 e che “il presente giudizio ha invece ad oggetto la diversa richiesta….del pagamento di un acconto sulla progettazione relativa al “Completamento del (OMISSIS) con ristrutturazione del corpo principale della vecchia sede”, non essendo, pertanto, fatto alcun riferimento alla progettazione “a stralcio ed in variante” concernente il DEA 2 livello, relativo alla Delib. n. 1176 del 1996. Indicativa al riguardo appare la condotta processuale tenuta dal B.: la Corte d’appello, nella motivazione della sentenza, pur dopo aver incidentalmente accertato che l’Azienda sanitaria Roma (OMISSIS) era tenuta al pagamento dei compensi relativi alle attività svolte dal professionista in esecuzione della Delib. n. 1176 del 1996, ha poi definito il giudizio rigettando l’appello e, conseguentemente, l’intera domanda di condanna originariamente proposta con il ricorso monitorio. Questa statuizione non è stata impugnata per cassazione dal B. per illogicità o per errore materiale, nella parte in cui avrebbe omesso di condannare l’Azienda sanitaria Roma (OMISSIS) al pagamento dei compensi relativi alla Delib. n. 1176 del 1996, in tal senso ricevendo conferma l’ipotesi che tale questione risultava estranea all’oggetto del giudizio circoscritto ai compensi maturati per le attività progettuali svolte in dipendenza delle precedenti Delib. del 1990 e del 1995.

2.2. Indipendentemente dalla dirimente osservazione per cui spettava al ricorrente contestare la eventuale errata delimitazione dell’oggetto del giudizio in primo grado, compiuta dalla Corte d’appello, deducendo che nell’importo iscritto nel decreto ingiuntivo pari ad Euro 799.219,48 oltre interessi, richiesto a titolo di corrispettivo per la progettazione relativa al “Completamento del (OMISSIS)”, era compreso anche il compenso concernente il progetto del DEA 2 livello, oggetto della Delib. n. 1176 del 1996 – eventualmente scorporando anche il corrispondente importo dalla somma complessiva ingiunta -, osserva il Collegio che, nella ipotesi in cui si dovesse intendere implicitamente investito dal ricorrente, con i motivi di ricorso per cassazione, l’asserito errore commesso dalla Corte territoriale con la pronuncia di assorbimento, i motivi di ricorso per cassazione non potrebbero, comunque, trovare accoglimento, dovendo ritenersi il secondo motivo infondato ed il terzo motivo inammissibile.

2.2.1. Occorre premettere che il Tribunale aveva pronunciato (vedi ricorso pag. 6) “anche” in ordine ai compensi inerenti le attività progettuali riferite alle Delib. del 1995 (Gestione stralcio – liquidatoria) e Delib. del 1996 (Azienda USL Roma (OMISSIS)), ritenendoli comunque non spettanti, in quanto il contratto professionale risultava affetto da nullità per vizio di forma.

Il B. aveva impugnato, con specifico motivo di appello tale statuizione, nonchè la omessa pronuncia sulla “eccezione di prescrizione”, e la Corte d’appello – secondo la assunta ipotesi – “avrebbe” quindi erroneamente ritenute assorbite tali questioni anche in relazione alla pretesa di compensi relativa al periodo successivo al 1996 (la dichiarazione di assorbimento doveva, infatti, ritenersi corretta solo se riferita alla precedente attività svolta nel periodo 1990-1995, in relazione alla quale soltanto la Corte d’appello aveva individuato nella regione, e non nella Azienda sanitaria, il soggetto tenuto al pagamento).

2.2.2. L’errore del Giudice di appello sulla dichiarazione di assorbimento si traduce in un vizio di omessa pronuncia sui predetti motivi di gravame che tuttavia, nella specie, non determina la cassazione della sentenza con rinvio, in quanto:

il terzo motivo di ricorso per cassazione, concernente la omessa pronuncia sulla “inesistenza” della prescrizione del diritto, è inammissibile per carenza di interesse, atteso che la mancata pronuncia, tanto del Tribunale, quanto della Corte d’appello, avrebbe eventualmente dovuto essere censurata dalla Azienda sanitaria che aveva proposto la eccezione e non certo dalla controparte. Relativamente alla statuizione di primo grado, non è dato, peraltro, individuare una omissione di pronuncia, quanto piuttosto un implicito assorbimento, essendo risultata pienamente vittoriosa l’Azienda sanitaria, con la conseguenza che la stessa, correttamente, si è limitata a riproporre la eccezione in senso stretto con la comparsa di risposta in grado di appello ex art. 346 c.p.c. (come riferito dallo stesso ricorrente: ricorso pag. 9), giusta i principi enunciati da questa Corte cass. Se:. U -, Sentenza n. 11799 del 12/05/2017 e Corte cass. Se:. ti -, Sentenza n. 7940 del 21/03/2019. Diversamente, l’omessa pronuncia sulla questione “riproposta”, in cui è incorsa la Corte d’appello con la pronuncia esplicita di assorbimento, avrebbe dovuto essere impugnato dalla Azienda sanitaria con ricorso incidentale per cassazione, sicchè in mancanza di tale impugnazione, non avendo svolto difese la Azienda intimata nel giudizio di legittimità, la questione relativa alla eccezione di prescrizione deve ritenersi ormai espunta dal processo, non potendo essere nuovamente proposta nell’eventuale giudizio di rinvio e su di essa non può quindi formarsi alcun giudicato, potendo -eventualmente- essere soltanto riformulata in un separato giudizio (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15461 del 11/06/2008). Non sussiste, dunque, alcun interesse del B. ad impugnare l’errata pronuncia di assorbimento, in quanto il mancato esame della eccezione di prescrizione avrebbe potuto essere fatto valere soltanto dalla parte eccipiente, in quanto soccombente in ordine alla omessa pronuncia (la assoluta mancanza di interesse ad impugnare del B. ex art. 100 c.p.c. risulta poi conclamata dalla affermazione contenuta nella sentenza di appello secondo cui il la Azienda sanitaria era obbligata al pagamento dei compensi relativi alla Delib. del 1996, in tal modo avendo il Giudice di appello ritenuto implicitamente infondata la eccezione di estinzione del relativo diritto).

il secondo motivo di ricorso per cassazione, pur sussistendo la omessa pronuncia della Corte d’appello sul motivo di gravame concernente la nullità contrattuale, non determina tuttavia la cassazione della sentenza impugnata. Il motivo di gravame pretermesso dalla Corte d’appello, concernente la non rilevabilità ex officio da parte del Tribunale della nullità del contratto per vizio di forma, involgendo una questione meramente processuale, può infatti essere deciso direttamente da questa Corte di legittimità, senza disporre il rinvio della causa al Giudice di appello, non occorrendo provvedere ad ulteriori accertamenti in fatto, trovando fondamento tale conclusione nell’esercizio dei poteri conferiti alla Corte in funzione nomofilattica secondo una interpretazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2 costituzionalmente orientata ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. (cfr. Corte cass. Il sez. 1.2.2010 n. 2313; id. I sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav. 3.3.2011 n. 5139; id. Sez. 3, Sentenza n. 15112 del 17/06/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013; Sez. 6 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014; id. Sez. L, Sentenza n. 23989 del 11/11/2014 che estende l’intervento correttivo ex art. 384 c.p.c., u.c. finanche al vizio di nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente). Orbene la tesi sostenuta con il motivo di gravame, intesa a circoscrivere il potere di rilevazione della nullità da parte del Giudice alla sola iniziativa della parte “convenuta” volta a formulare eccezioni di merito che presuppongano la invalidità ed inefficacia del contratto, si fonda su una affermazione contraria ad una consolidata giurisprudenza, peraltro richiamata dallo stesso ricorrente, e dallo stesso evidente fraintesa, secondo cui il rilievo “ex officio” di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito, semprechè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 26243 del 12/12/2014; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 21418 del 30/08/2018), sicchè nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il Giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 26243 del 12/12/2014; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19251 del 19/07/2018).

p. 3. Quarto motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 183 c.p.c..

Il ricorrente sostiene di avere arrecato un vantaggio patrimoniale alla Azienda sanitaria attraverso la esecuzione delle prestazioni eseguite in base alle delibere del 1990 e del 1995, avendo consentito il rilascio della concessione edilizia nel 1998. Sostiene ancora che la utilità dovrebbe essere parametrata ai compensi indicati nella specifica vistata dal Consiglio dell’Ordine. Errata è, inoltre, la pronuncia del Tribunale che aveva ritenuto inammissibile per novità la domanda di arricchimento ingiustificato formulata dal B. la prima volta con la memoria ex art. 183 c.p.c.

3.1 Anche in questo caso il motivo difetta della chiara esposizione dei fatti, non essendo specificato a quali delibere siano riferibili le attività di progettazione per le quali era stata proposta in via subordinata domanda ex art. 2041 c.c..

3.2. Il motivo di ricorso è in ogni caso infondato.

3.2.1. La Corte d’appello ha, da un lato, confermato la statuizione del Tribunale di inammissibilità della domanda per novità; dall’altro, ha ritenuto che la domanda fosse stata erroneamente proposta nei confronti della Azienda sanitaria in causa, in quanto difettava il presupposto della assoluta assenza di tutela contrattuale e comunque avrebbe dovuto, eventualmente, essere proposta nei confronti dell’ente regionale succeduto ex lege nel rapporto.

3.2.2. Indipendentemente dalla correttezza del modo di procedere del Giudice di appello che ha statuito in rito e poi ha egualmente preso in esame il merito della questione, osserva il Collegio che è errata l’affermazione per cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la domanda di arricchimento ingiustificato formulata dall’opposto alla udienza ex art. 183 c.p.c. integra domanda nuova inammissibile, atteso che come statuito da questa Corte la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e sempre che si atteggi in relazione di incompatibilità con la domanda originaria così da non cumularsi ma da sostituirsi ad essa, anche se in via subordinata (cfr. Corte cass. Se:. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015). Tale vicenda ricorre nello specifico caso in esame dovendo ribadirsi, quindi, il principio secondo cui, nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (cfr. Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 22404 del 13/09/2018).

3.2.3. Tanto premesso la impugnata statuizione della Corte di appello va esente da censura in quanto, come rilevato da quel Giudice, difetta nella specie il presupposto della inesistenza di una causa giustificativa della attribuzione del vantaggio patrimoniale, atteso che la pretesa azionata in via monitoria trovava titolo nel contratto d’opera professionale stipulato con la USL RM n. (OMISSIS), e dunque legittimava il professionista ad agire “ex contractu” per l’adempimento nei confronti dell’ente regionale che era succeduto ex lege nel rapporto obbligatorio (relativamente ai compensi maturati per la esecuzione delle prestazioni oggetto delle Delib. 1990 e del 1995).

La statuizione della Corte distrettuale è conforme a diritto evidenziando il carattere residuale dell’azione ex art. 2041 c.c., in quanto fondata sul presupposto della mancanza di una azione tipica, per tale dovendosi intendere o quella che deriva da un contratto, o quella che sia prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11461 del 17/05/2007 -con riferimento all’annullamento di un contratto d’opera professionale-; id. Sez. 2, Sentenza n. 4620 del 22/03/2012; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 27827 del 22/11/2017. Vedi: Corte cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 15496 del 13/06/2018). Nella specie, infatti, la Corte territoriale non ha escluso la tutela giudiziale della pretesa, ma ha semplicemente affermato che il soggetto nei cui confronti doveva essere proposta la domanda contrattuale di adempimento era la regione Lazio e non la Azienda sanitaria: con la conseguenza che difetta il presupposto legale ex art. 2042 c.c. richiesto per l’esperimento dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della Azienda USL Roma C, in relazione ai vantaggi patrimoniali da quest’ultima conseguiti attraverso la elaborazione dei progetti relativi al completamento del (OMISSIS)” oggetto delle Delib. n. 3363 del 1990 della USL RM n. (OMISSIS) e Delib. n. 177 del 1995 del titolare della Gestione a stralcio.

p. 4. Quinto motivo: estraneità del pagamento eseguito dalla Gestione stralcio in favore dell’Ing. B. nel 1996 rispetto all’oggetto del contendere. Giudicato interno sul punto.

Sesto motivo: sul quantum da riconoscere all’Ing. B. alla luce della istruttoria svolta in prime cure.

I motivi sono inammissibili, difettando il requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto interamente rivolti a contestare alcune risultanze delle indagini tecniche svolte in primo grado dal CTU, che non hanno trovato alcuna rispondenza nelle statuizioni della sentenza di appello.

p. 5. Settimo motivo: spese di lite.

Non sussiste obbligo di pronuncia per questa Corte, difettando del tutto gli elementi strutturali minimi del motivo di ricorso per cassazione, in quanto il ricorrente viene a richiedere, sull’assunto della ritenuta fondatezza dei precedenti motivi di ricorso, che vengano riliquidate le spese dell’intero giudizio.

p. 6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, non dovendosi provvedere sul regolamento delle spese di lite, non avendo svolto difese la parte intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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