Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18942 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. III, 16/07/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 16/07/2019), n.18942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26142-2017 R.G. proposto da:

CONSORZIO UNISAN SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE – ONLUS, in persona del

Presidente del Consiglio d’Amministrazione, V.R.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Emilio Ricci, con domicilio eletto

in Roma presso il suo Studio, via Premuda, n. 18;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE ANNI VERDI ONLUS IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Commissario liquidatore, M.P., rappresentata e difesa

dall’Avv. Simonetta Paradisi, con domicilio eletto in Roma presso lo

Studio di quest’ultima;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

SOCIETA’ RIABILITAZIONE E REINSERIMENTO RI.REI. CONSORZIO DI

COOPERATIVE SOCIALI, SOCIETA’ COOPERATIVA ONLUS IN LIQUIDAZIONE;

– resistente –

PATRIMONIO DESTINATO DELLA SOCIETA’ RIABILITAZIONE E RESINSERIMENTO

RI. REI. CONSORZIO DI COOPERATIVE SOCIALI – SOCIETA’ COOPERATIVA

ONLUS;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1600/17 della Corte d’Appello di Roma,

depositata il 31/03/2017;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza dal Consigliere

Dott. Marilena Gorgoni;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha chiesto il rigetto

del ricorso principale e di quello incidentale;

Udito l’Avv. Rosa Sciatta, per delega, per il Consorzio Unisan;

Udito l’Avv. Simonetta Paradisi, per l’Associazione Anni Verdi Onlus

in liquidazione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Consorzio UNISAN Società Cooperativa sociale – Onlus ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1600/2017, pubblicata il 31/03/2017, affidandosi a tre motivi, illustrati con memoria.

Resiste e propone ricorso incidentale, fondato su un solo motivo, l’Associazione Anni Verdi Onlus in liquidazione.

Il Consorzio ricorrente espone quanto segue.

L’Associazione Anni Verdi Onlus concedeva in locazione, per l’esclusivo svolgimento di attività di assistenza sanitaria, al Patrimonio destinato dalla Società Riabilitazione e Reinserimento RI.REI. – Consorzio di cooperative sociali società cooperativa Onlus (d’ora innanzi indicato come Consorzio RI.REI.) due immobili in (OMISSIS), siti in (OMISSIS), con decorrenza dall’1/08/2008 e fino al 31/07/2010, per il canone di Euro 14.166,67; con altro contratto locava un altro immobile in (OMISSIS), con decorrenza dall’1/12/2008 e fino al 31/07/2010, per il canone mensile di Euro 1.931,67.

Alla scadenza di entrambi i contratti il Consorzio RI.REI. non riconsegnava gli immobili; anzi, con scrittura privata del 3 maggio 2011 concedeva in affitto al Consorzio UNISAN tra Cooperative sociali – Società cooperativa sociale Onlus (d’ora in avanti indicato come Consorzio UNISAN) il ramo d’azienda comprensivo delle attività assistenziali svolte negli immobili locati, determinando il subentro del Consorzio UNISAN nella disponibilità dei suddetti immobili.

Con ricorso al Tribunale di Roma, ex art. 447 bis c.p.c., l’Associazione Anni verdi Onlus in liquidazione denunciava la mancata riconsegna degli immobili concessi in godimento alla scadenza dei contratti di locazione; deduceva il mancato pagamento dei canoni, prima, e delle indennità di occupazione, successivamente, nonchè la mancata registrazione dei contratti. Rilevata la concessione in affitto del ramo di azienda al Consorzio UNISAN, quando i contratti di locazione risultavano scaduti, denunciava l’occupazione senza titolo degli immobili da parte del Consorzio UNISAN e la reiterata morosità di quest’ultimo relativamente alla corresponsione dei canoni di locazione e/o delle indennità di occupazione.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 10443/2014, accoglieva la domanda attorea, dichiarava risolti per inadempimento i contratti di locazione e, per l’effetto, condannava il Consorzio RI.REI e il Consorzio UNISAN al rilascio degli immobili; condannava il Consorzio RI.REI. al pagamento di Euro 240.210,67 per canoni scaduti e non pagati fino al 2 maggio 2011 e di Euro 16.446,68 per imposte di registrazione, al netto degli interessi; condannava in solido il Consorzio RI.REI e il Consorzio UNISAN al pagamento di Euro 434.655,09 per indennità di occupazione dal 3 maggio 2011 alla data del ricorso, di Euro 16.098,34 mensili per indennità di occupazione sino al rilascio dei beni, al netto degli interessi legali, e poneva a carico di entrambi le spese di lite.

La decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, in via principale, dal Consorzio UNISAN e, in via incidentale, dall’Associazione Anni Verdi Onlus.

Entrambi gli appelli venivano rigettati dalla Corte territoriale con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione che, dopo aver respinto la richiesta di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., ritenuti assenti i presupposti normativi e la pregiudizialità, consequenzialità e dipendenza tra le questioni oggetto del giudizio in corso e quelle oggetto della sentenza del Tribunale di Roma n. 20374/2016, confermava integralmente la decisione del giudice di prime cure e compensava parzialmente le spese di lite tra le parti, condannando il Consorzio UNISAN al pagamento della metà del loro ammontare.

I quattro motivi formulati dall’appellante principale – 1) nullità del contratto per mancata registrazione; 2) erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto inopponibile il contratto di locazione per mancata comunicazione L. n. 392 del 1978, ex art. 36; 3) mancata considerazione del particolare contesto in cui si era svolta la controversia; 4) mancato scomputo dal dovuto della somma di Euro 415.349,00 per i lavori di ristrutturazione eseguiti sugli immobili locati – venivano rigettati con le seguenti motivazioni: la registrazione tardiva aveva avuto effetto sanante ex tunc, ai sensi dell’art. 1360 c.c., costituendo la registrazione non un requisito di validità del contratto, bensì di efficacia; l’inopponibilità al terzo cessionario del contratto di locazione, la mancata considerazione del contesto della controversia e la richiesta di scomputo delle somme spese per la ristrutturazione dei beni locati erano da ritenersi questioni nuove, in precedenza non dedotte.

Le censure formulate dall’Associazione Anni Verdi – violazione della L. n. 431 del 1998, art. 5 in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 27 ed errata valutazione circa la natura transitoria del contratto; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002; violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c. e dell’art. 191 c.p.c. – venivano rigettate perchè: a) la durata minima contrattuale prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 27 doveva considerarsi applicabile al caso di specie, residuando la possibilità di una durata inferiore a sei anni per la documentata transitorietà delle esigenze locatizie del conduttore, mentre i contratti in oggetto avevano avuto una durata biennale per esigenze del locatore, perciò il giudice di prime cure che aveva sostituito alla durata pattizia quella minima legale non era incorso in errore; b) correttamente il giudice di primo grado aveva dichiarato risolti i contratti per inadempimento e non per scadenza della locazione ed aveva concluso per l’inesigibilità della richiesta di risarcimento del danno, ex art. 1591 c.c.; c) il D.Lgs. n. 231 del 2002 non poteva applicarsi al caso di specie, data l’inestensibilità alle attività assistenziali svolte da una onlus della normativa ivi contenuta, riferibile esclusivamente allo svolgimento di attività di impresa ed alla P.A.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale del Consorzio UNISAN.

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi in relazione alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi del Consorzio UNISAN è che la soluzione adottata da entrambi i giudici di merito quanto all’efficacia sanante retroattiva della tardiva registrazione contrasti con il tenore letterale della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, e con le ordinanze n. 420/2007, n. 398/2008 e n. 110/2009 della Corte Costituzionale, secondo le quali la violazione dell’obbligo di registrazione comporta la nullità del contratto, essendo la registrazione una condizione di validità del contratto di locazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omessa pronuncia su un fatto decisivo.

La Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul difetto di legittimazione dell’Associazione Anni Verdi, eccepito nel corso del giudizio d’appello, e rilevabile, a suo avviso, in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio.

In sostanza, il Consorzio UNISAN sostiene che l’Associazione Anni Verdi in liquidazione, soggetta a pignoramento, non fosse legittimata, avendo perso la legittimazione sostanziale a favore del custode fino al decreto di trasferimento dei beni, nè a pretendere nè a ricevere i canoni di locazione, i quali, invece, avrebbero dovuto essere acquisiti dalla procedura esecutiva perchè destinati a soddisfare i creditori.

3. Con il terzo ed ultimo motivo il Consorzio ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dall’istanza di sospensione del processo, nonchè la violazione e la falsa applicazione degli artt. 295 e 337 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’Associazione Anni Verdi ritiene che la motivazione con cui la Corte d’Appello aveva rigettato l’istanza di sospensione del giudizio – insussistenza dei presupposti normativi o del vincolo di consequenzialità dipendenza e pregiudizialità tra le questioni pendenti – sia solo apparente, in mancanza di esplicitazione dell’iter logico seguito e per l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione inter partes.

La sentenza del Tribunale di Roma n. 20374/2016, riconoscendo la legittimazione attiva dell’Associazione Anni Verdi Onlus e dei precedenti amministratori e soci e dichiarando la legittimità della delibera di revoca della messa in liquidazione dell’Associazione, ove confermata, priverebbe con effetti ex tunc, gli attuali liquidatori dei poteri di rappresentanza dell’Associazione Anni Verdi.

Pertanto, ad avviso di parte ricorrente, che invoca, per illustrare le proprie argomentazioni, la giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un., 19/06/2012, n. 10027 e Cass. 29/08/2008, n. 21924), la sentenza gravata, non ravvisando ragione per sospendere il giudizio avrebbe violato non solo l’art. 295 c.p.c., ma anche l’art. 337 c.p.c.

Ricorso incidentale dell’Associazione Anni Verdi in liquidazione.

4. La ricorrente incidentale denuncia la violazione della L. n. 431 del 1998, art. 5 e la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Riproponendo il motivo di appello incidentale, già disatteso dal giudice a quo, l’Associazione Anni Verdi censura la sentenza impugnata per avere escluso la possibilità di stipulare contratti di locazione di durata transitoria per esigenze del locatore. la L. n. 431 del 1998, art. 5 contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, consentirebbe che il contratto di locazione abbia una durata inferiore a quella minima disposta per legge al fine di “soddisfare particolari esigenze delle parti”, quindi di entrambe le parti, e non solo di quelle del conduttore.

La Corte territoriale, violando il canone di interpretazione espresso dall’art. 1362 c.c., non avrebbe ricercato la comune intenzione dei paciscenti, omettendo di considerare che l’art. 3 del contratto, riportato nel controricorso, che fissava il termine ultimo del contratto al compimento delle attività di alienazione dei beni e che, per consentire alla conduttrice di programmare la propria attività, fissava una durata minima del rapporto locativo di 22 mesi, con possibilità di proroga da convenire espressamente, ove le operazioni di liquidazione avessero avuto una durata maggiore, avrebbe dovuto essere inteso come indicativo della volontà delle parti di stabilire una durata minima per dare certezza al rapporto.

Non solo: il giudice a quo avrebbe omesso di esaminare la premessa del contratto, anche questa riportata nel ricorso, da cui avrebbe dovuto evincere che il Consorzio RI.REI. era stato edotto della necessità della locatrice di liquidare il proprio patrimonio, che si era reso disponibile a prendere in locazione l’immobile per una durata inferiore a quella legale, che il canone di locazione era stato determinato proprio in ragione della durata transitoria del contratto, che la transitorietà era stata indicata come motivo determinante del contratto, così incorrendo, per di più, nella violazione del canone di interpretazione sistematica, di cui all’art. 1363 c.c.

E non avrebbe tenuto neppure conto del comportamento complessivo delle parti adottato anche dopo la conclusione del contratto, incappando nella violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2; l’Associazione Anni Verdi aveva chiesto prontamente la restituzione degli immobili e, riscontrata l’inerzia del conduttore, aveva agito prima stragiudizialmente e poi giudizialmente per ottenerne il rilascio; la conduttrice, dal canto suo, non aveva mai eccepito la vigenza del contratto di locazione.

5. L’eventuale accoglimento del motivo numero due del ricorso principale renderebbe superfluo l’esame dei restanti motivi e del ricorso incidentale, perciò è opportuno procedere al suo esame in via prioritaria.

La questione posta è se il custode e/o i proprietari assegnatari e non il proprietario-locatore, essendo il bene, dopo il pignoramento, a lui sottratto per tutelare le ragioni del terzo creditore, fossero i soli soggetti legittimati a riscuotere i canoni di locazione del bene pignorato.

Costituisce ius receptum che solo il custode abbia la legittimazione sostanziale a richiedere tanto il pagamento dei canoni, quanto ad esercitare ogni altra azione; essa scaturisce dai poteri di amministrazione e di gestione del bene e, correlativamente, dalla titolarità delle azioni che discendono da quel potere, non collegata ad un titolo convenzionale o unilaterale (la proprietà del bene e/o il contratto di locazione), bensì ad una relazione con il bene pignorato, qualificata come “custodia” in forza dell’investitura del giudice (Cass. 28/03/2018, n. 7748; Cass. 03/10/2005, n. 19323).

Nondimeno, tale premessa in iure pur invocata correttamente, non consente, nel caso di specie, l’accoglimento del mezzo impugnatorio.

Oltre a rilevare che la censura rivolta alla sentenza impugnata risulta erroneamente sussunta sotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con cui può denunciarsi l’omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato discusso tra le parti e abbia carattere decisivo, ma non anche il difetto di pronuncia che è quanto in sostanza viene rimproverato alla sentenza gravata, il motivo di ricorso non soddisfa il principio di autosufficienza e non consente di accertare la ricorrenza dei presupposti per applicare il prefato orientamento.

A p. 13 del ricorso, il Consorzio ricorrente adduce che nel corso del giudizio d’appello “essendo intervenuti rispetto alla notificazione del ricorso” fatti nuovi veniva sollevata eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’Associazione Anni Verdi. I fatti nuovi erano rappresentati, per quanto qui interessa, da due procedimenti esecutivi immobiliari – l’uno pendente dinanzi al Tribunale di Roma, instaurato da Aspra Finance S.p.A., relativo all’immobile sito in (OMISSIS), oggetto di uno dei contratti di locazione, l’altro, pendente dinanzi al Tribunale di Civitavecchia, instaurato da Aspra Finance S.p.A., relativo agli immobili siti in (OMISSIS), oggetto dell’altro contratto di locazione.-

Il ricorrente aggiunge (p. 17) che l’istanza cautelare fondata essenzialmente sull’eccepito difetto di legittimazione passiva dapprima veniva accolta inaudita altera parte, poi, a seguito delle produzioni avversarie, veniva dichiarata inammissibile, con ordinanza dell’8/07/2016 che riteneva che il Consorzio UNISAN, fin da epoca precedente alla proposizione del giudizio d’appello, era stato informato della sussistenza delle procedure espropriative e che, comunque, visto l’accordo transattivo del 5/05/2016 tra le parti in causa, alcun nocumento per la parte istante poteva derivare dall’efficacia esecutiva della sentenza. L’ordinanza non veniva impugnata in quanto l’accordo transattivo era in effetti intervenuto e quindi era venuto meno l’interesse a chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva, ma il difetto di legittimazione attiva veniva riproposto nelle note illustrative.

Sempre nella parte relativa alla rappresentazione dei fatti di causa il Consorzio ricorrente nega di essere stato a conoscenza dei procedimenti esecutivi immobiliari, in quanto non vi sarebbe prova che le lettere prodotte dall’Associazione Anni Verdi del 31/08/2001 e del 18/03/2014 fossero state ricevute.

L’incompiutezza espositiva dei fatti di causa rilevanti, soprattutto quanto allo svolgersi della vicenda processuale in tutte le sue articolazioni, è tale da precludere a questa Corte l’esercizio dello scrutinio di legittimità.

Infatti le argomentazioni svoltevi, anche in connessione con quanto esposto alle pp. 13-15 nella parte del ricorso dedicata all’esposizione sommaria dei fatti di causa, sono articolate con la pressochè totale omissione della indicazione specifica delle risultanze processuali e degli atti su cui si fondano, essendo stato tralasciato sia di riprodurne direttamente il contenuto, sia di rappresentarlo indirettamente (con precisazione della parte alla quale l’indiretta riproduzione si riferisse). Il ricorrente neppure si è fatto carico della loro localizzazione nel giudizio di merito ed in questo giudizio di legittimità (non risulta che sia stato allegato al ricorso un elenco della produzione documentale).

Non si conosce il contenuto delle lettere inviate dall’Associazione Anni Verdi con cui l’odierno ricorrente sarebbe stato messo al corrente della pendenza di una procedura esecutiva; tantomeno si è al corrente del contenuto della transazione del 5/05/2016 che, secondo la Corte d’Appello e per ammissione dello stesso ricorrente, avrebbe reso irrilevante l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, provocando la pronuncia di inammissibilità dell’istanza cautelare, asseritamente fondata sul difetto di legittimazione passiva; per finire, questa Corte non è stata resa edotta dei termini dell’ordinanza del giudice a quo dell’8/07/2016 che aveva respinto, dopo le produzioni avversarie, anch’esse del tutto pretermesse, dichiarandola inammissibile, la prefata istanza cautelare.

Ne consegue che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 6, non è stata rispettata, avuto riguardo alla consolidata giurisprudenza che individua il contenuto precettivo del requisito di cui ad essa nei termini indicati.

Per mera completezza, va chiarito che non ricorrono i presupposti affinchè questa Corte d’ufficio rilevi il difetto di legittimazione dell’Associazione Anni Verdi, perchè la censura formulata non riveste i caratteri dell’eccezione processuale rilevabile dal giudice, come adombrato dal ricorrente. Soltanto in tal caso, infatti, essendo il regime delle eccezioni posto in funzione del valore primario del processo e dato che esso risulterebbe sviato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e di prova previsti per le eccezioni in senso stretto, si potrebbe non solo prescindere dalle preclusioni processuali, ammettendo il convenuto a formulare l’eccezione per la prima volta in appello, ma anche ammettere la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione, indipendentemente dalla specifica e tempestiva allegazione di parte, bastando, allo scopo, la documentazione fattuale dell’eccezione (Cass. 31/10/2018, n. 20902).

Il ricorrente non ha colto la differenza tra carenza della titolarità sostanziale del diritto fatto valere in giudizio e legittimazione processuale, cioè la titolarità del potere di promuovere o resistere in giudizio, ed i corrispondenti regimi processuali.

La prima attiene al merito della controversia, cioè riguarda la fondatezza della domanda, giacchè implica la verifica del se chi vanta in diritto in giudizio ne sia effettivamente titolare, e va riconosciuta a chi nel processo si affermi titolare del diritto sostanziale ed espliciti le ragioni giuridiche che collegano il diritto alla sua persona, a prescindere dall’effettiva appartenenza del medesimo, atteso che l’effettiva appartenenza risulterà tale solo all’esito dell’accertamento giudiziale.

La seconda, e solo la seconda, invece, costituendo una condizione dell’azione, preclusiva della trattazione del merito della controversia, può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento: ove emerga dall’atto L introduttivo del giudizio la mancata indicazione, anche solo implicita, dell’attore come titolare del diritto di cui si chiede l’affermazione e del convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l’azione sarà dichiarata inammissibile. Nel caso di specie, l’Associazione Anni Verdi aveva allegato di essere proprietaria degli immobili e di averli locati con diritto di pretendere il pagamento delle somme richieste.

L’eccezione formulata dall’odierno ricorrente riguarda in tutta evidenza la titolarità del diritto sostanziale da parte dell’Associazione Anni Verdi: la censura ripetutamente rivolta alla resistente è, infatti, quella di avere fatto valere in giudizio un diritto altrui, perchè non più a essa appartenente. Tale eccezione rientra, anche secondo l’intervento chiarificatore di cui si sono fatte carico le Sezioni unite di questa Corte, n. 2951 del 16/11/2016, nell’ambito delle eccezioni in senso stretto, sottoposte, come tali, ai principi di cui all’art. 115 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 2, in quanto devono essere dedotte nei tempi e nei modi per esse prescritti: “Rilevano a tal fine la norma per cui “(il giudice) non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti” (art. 112 c.p.c., seconda parte), alla quale si ricollega la previsione per cui il convenuto, nella comparsa di rispostàa pena di decadenza deve proporre (…) le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio” (art. 167 c.p.c., comma 2″ (Cass., Sez. Un., n. 295/2016, cit.).

Il Consorzio UNISAN non si è limitato a contestare i fatti dedotti dall’attrice, offrendo una narrazione dei fatti di causa diversa ed alternativa – “La difesa con la quale il convenuto si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi) che l’attore non è titolare del diritto azionato, è una mera difesa. Non è un’eccezione, con la quale si contrappone un fatto impeditivo, estintivo o modificativo, nè quindi, un’eccezione in senso stretto, proponibile, a pena di decadenza, solo in sede di costituzione in giudizio e non rilevabile d’ufficio: Cass., Sez. Un., 2951/2016, cir – ma ha introdotto uno dei fatti “qualificati”, di cui all’art. 2697, comma 2, c.c., i quali hanno allargato il thema decidendum, in quanto ricollegati dalla legge a degli effetti impeditivi, modificativi oppure estintivi, sottoposti al regime processuale dianzi descritto circa la rilevabilità d’ufficio e le preclusioni processuali.

Perciò, nessun errore può essere imputato alla Corte d’Appello per non aver rilevato d’ufficio il difetto, in capo all’odierna resistente, della titolarità sostanziale del diritto controverso, nè per aver ritenuto non nuovi i fatti allegati, con una valutazione insuscettibile di sindacato di legittimità degli elementi fattuali, come si è detto, su cui si fondava la richiesta del Consorzio.

6. Data l’inaccoglibilità del secondo motivo di ricorso, si può passare allo scrutinio dei seguenti.

7. Il motivo numero uno è infondato.

Questa Corte, a Sezioni unite, 09/10/2017, n. 23601, ha stabilito che il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, contenente “ab origine” l’indicazione del canone realmente pattuito (e, dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, ma, in caso di tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, atteso che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” all’obbligo di registrazione.

8. Pur correggendone l’errore di sussunzione, non essendo stata la censura ricondotta alla corretta categoria logica dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., anche il motivo numero tre risulta infondato.

La Corte territoriale ha negato che vi fossero i presupposti per la sospensione ex art. 295 c.p.c. in assenza del vincolo di conseguenzialità, dipendenza e pregiudizialità che devono sussistere tra le due questioni pendenti.

La connessione per pregiudizialità-dipendenza è disciplinata dall’art. 34 c.p.c. e, in merito alla sospensione dei giudizi, trova espressione negli artt. 295 e 337 c.p.c. La regola generale consente al giudice della causa dipendente di conoscere della causa o della questione pregiudiziale incidenter tantum, con efficacia limitata al processo relativo alla causa dipendente.

In merito alla sospensione, questa Corte ammette, quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato ai sensi dell’art. 337 c.p.c., disponendo che non operi la sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c. in quanto essa può essere invocata solo quando la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica, dovendosi attendere che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato (Cass. 04/01/2019, n. 80).

Pertanto, non ricorrendone nel caso di specie i presupposti, correttamente la Corte territoriale non ha provveduto ex art. 295 c.p.c. alla sospensione del giudizio in corso (Cass. 09/07/2018, n. 17936).

Diversamente da quanto reputato dal ricorrente, la sentenza gravata non si è posta in contrasto con quanto precisato da questa Corte, nella decisione a Sezioni unite, 19/06/2012, n. 10027, che infatti ha fatto propria un’interpretazione restrittiva dei casi in cui opera la sospensione necessaria, limitandoli a quelli in cui la causa pregiudicante e quella pregiudicata siano entrambe pendenti in primo grado, quindi, quando sul giudizio pregiudicante non sia intervenuta una sentenza, ancorchè suscettibile di impugnazione.

Una volta intervenuta la sentenza di primo grado nel processo pregiudicante la sospensione può essere disposta solo ai sensi dell’art. 337 c.p.c., perchè l’istituto della sospensione necessaria ha esaurito la sua funzione e l’esigenza che il sistema giudiziario non sia gravato dalla duplicazione dell’attività di cognizione nei due processi pendenti – che avrebbe imposto la sospensione -assume carattere recessivo rispetto all’altra esigenza, la possibilità che il processo sulla causa dipendente riprenda, assumendo a suo fondamento la decisione, ancorchè suscettibile di impugnazione, che si è avuta sulla causa pregiudicante.

Per questa Corte regolatrice l’istituto della sospensione necessaria è costruito sui seguenti presupposti: la rilevazione del rapporto di dipendenza che si effettua ponendo a raffronto gli elementi fondanti delle due cause, quella pregiudicante e quella in tesi pregiudicata; la conseguente necessità che i fatti siano conosciuti e giudicati secondo diritto nello stesso modo; lo stato di incertezza in cui il giudizio su quei fatti versa, perchè controversi tra le parti.

Nè giova al ricorrente il richiamo dell’art. 337 c.p.c., giacchè come il Consorzio stesso riconosce (p. 28 del ricorso), tale norma non impone affatto la sospensione del giudizio, ma rimette al giudice del giudizio sulla lite pregiudicata il potere di sospenderlo.

Ricorso incidentale dell’Associazione Anni Verdi.

9. Il motivo è infondato.

La nozione di locazione non abitativa di natura transitoria, prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 27, riferisce la transitorietà all’attività esercitata o da esercitare nell’immobile da parte del locatario senza altro riferimento alle esigenze di eguale natura del locatore; a differenza, invece, di quanto è previsto per le locazioni ad uso abitativo dalla L. n. 431 del 1998, art. 5, comma 1, che, modificando la disciplina dettata dalla legge dell’equo canone, rapporta la transitorietà alle particolari esigenze delle parti, escludendo la rilevanza di una sfera predeterminata di interessi, allo scopo di rendere conveniente da parte dei locatori immettere nel mercato locatizio i propri immobili, senza preoccuparsi dei limiti minimi di durata stabiliti ex lege.

La locazione ad uso non abitativo di carattere transitorio è, dunque, sottoposta alla L. n. 392 del 1978, artt. 27 e 35.

La L. n. 392 del 1978, art. 27 prescrive per le locazioni di immobili destinati allo svolgimento di attività di impresa o di lavoro autonomo considerate nei primi tre commi (attività industriali, commerciali, artigianali, di interesse turistico, di lavoro autonomo, alberghiere e, comunque, tutte quelle rientranti nella definizione di cui all’art. 2195 c.c.: attività di produzione di beni e servizi, intermediazione nella circolazione dei beni, trasporto per terra, per acqua o per aria, bancaria o assicurativa, ausiliaria alle precedenti) una durata minima di sei anni (nove per gli immobili a destinazione alberghiera); niente è stabilito quanto alla durata massima, ma è da ritenere che, in applicazione dell’art. 1573 c.c., a mente del quale, ove non vi sia una diversa prescrizione di legge, la locazione non può eccedere la durata di trent’anni, tale, trent’anni sia la durata massima di tale tipologia di contratto.

La durata minima è presidiata dalla legge in duplice senso: con la sostituzione automatica ex art. 1339 c.c. della diversa volontà delle parti; con l’eterointegrazione del contratto, là dove le parti del contratto abbiano omesso di pattuirne la durata minima.

La disposizione ammette, nondimeno, una deroga, al comma 5, quando la locazione è riferita ad un’attività che per sua natura abbia carattere transitorio.

Che si tratti di una deroga alla durata minima stabilita ex lege e non di una categoria ontologica di contratti di locazione è stato chiarito da questa Corte regolatrice, con la pronuncia n. 3663 del 18/04/1996, la quale, pur stigmatizzandone l’imperfetta formulazione, restringe il suo ambito applicativo all’ipotesi della locazione di immobile da destinare all’esercizio di una delle attività indicate dai primi tre commi dell’art. 27 che presenti caratteri di transitorietà, puntualizzando che nella realtà economica è possibile riscontrare l’espletamento di attività non necessariamente caratterizzato da stabilità, ma destinate a “soddisfare esigenze occasionali ed effimere” quali, a titolo esemplificativo: “la vendita degli arredi di un immobile di prestigio, o di un compendio ereditario, destinata a cessare con l’esaurimento dei beni, ovvero all’esercizio di attività collegate ad avvenimenti particolari (manifestazioni sportive o culturali, solennità civili o religiose, ecc.) di durata contenuta”.

Proprio l’esigenza di contenere nel tempo la durata della locazione in ragione della natura effimera dell’interesse da esso destinato a soddisfare giustifica che, con altra prescrizione normativa, l’art. 35, il legislatore abbia dichiarato inapplicabili nei loro confronti le disposizioni in materia di indennità di avviamento previste, per le locazioni di cui alla L. n. 392 del 1978, artt. 27 e 34 e le disposizioni in materia di prelazione e riscatto in forza del richiamo all’art. 35 operato dalla L. n. 392 del 1978, art. 41: la transitorietà non radica aspettative di unificazione della titolarità dell’attività e della proprietà del locale o di preferenza nel caso di nuova locazione.

Sul punto questa Corte regolatrice ha avuto occasione di chiarire che la facoltà per le parti di stipulare un contratto per un periodo più breve di quello previsto dalla legge è collegata al carattere transitorio dell’attività esercitata o da esercitare nell’immobile locato, precisando che la transitorietà deve trovare giustificazione non in eventuali vicende temporali, bensì nella natura dell’attività professionale o commerciale, escludendo specificamente il rilievo che l’attività sia in fase di avviamento (Cass. 11/08/1987, n. 6896).

Per sottrarre il contratto alla sanzione della nullità L. n. 392 del 1978, ex art. 79 o all’eterointegrazione normativa di cui all’art. 1339 c.c., la transitorietà deve essere espressamente enunciata facendo riferimento a ragioni oggettive oltre che effettive, per non incorrere in una fattispecie simulatoria (Cass. 20/08/1990, n. 8489; Cass. 08/07/2010, n. 16117).

La transitorietà, dunque, non solo deve essere espressamente pattuita, ma deve essere anche esplicitamente giustificata. E tale giustificazione, per non incorrere nella sanzione della nullità di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 79 deve riferirsi a ragioni obiettive – non sono tali le esigenze del conduttore, sicchè sulla eventuale dichiarazione di quest’ultimo di voler esercitare l’attività per un ridotto periodo di temo si abbatterebbe la scure della nullità; devono ricorrere invece oggettive caratteristiche di transitorietà dell’attività dipendenti dalla sua essenza o dal suo collegamento con specifici eventi – ricorrenti al momento della conclusione del contratto e non sopravvenute secondo un giudizio “ex ante” affidato ad un criterio di normale prevedibilità senza che rilevino i mutamenti successivi da qualunque causa dipendano (Cass. 31/01/2006, n. 2147; Cass. 23/10/1989, n. 4291).

Applicando tali principi al caso di specie, non vi sono ragioni per non confermare la sentenza impugnata perchè si è uniformata alla pacifica giurisprudenza di legittimità, a mente della quale è ravvisabile “una locazione non abitativa transitoria qualora la transitorietà sia stata espressamente enunciata con specifico riferimento alle ragioni che la determinino, in modo da consentirne la verifica in sede giudiziale e sempre che risulti, in seguito ad essa, che le ragioni dedotte, delle quali si postula la effettività, siano di natura tale da giustificare la sottrazione del rapporto al regime ordinario”: Cass. 08/07/2010, n. 16117.

Tali ragioni richiedono che la transitorietà sia riferibile alla natura dell’attività esercitata nell’immobile locato come desumibile dalla volontà delle parti: nel senso che una locazione non è ontologicamente non transitoria perchè nell’immobile locato si svolge un’attività commerciale, industriale, artigianale, turistica o professionale, ma è tale – transitoria, appunto – ove quella specifica attività sia stata pattiziamente contenuta entro limiti temporali precisi, in ragione della ricorrenza di particolari e speciali circostanze, indagabili secondo i normali criteri dell’ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., che ad essa si riferiscano. In altri termini, non basta che la locazione sia destinata ad uso non abitativo, ma è indispensabile che la specifica attività commerciale esercitata nell’immobile locato, per ragioni ad essa attinenti, debba essere temporalmente contenuta.

Prendendo per esatte tali premesse, è da escludere che nel caso di specie vi fossero ragioni capaci di giustificare, data la natura dell’attività esercitata, una minore durata e stabilità del rapporto locativo. In questo senso va intesa l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui le emergenze istruttorie risultavano aver legato la transitorietà della locazione alle esigenze del locatore e, non come sarebbe stato necessario per giustificare l’eccezione alla regola della durata minima, alla ricorrenza di circostanze particolari correlate alla attività svolta nell’immobile locato che comportassero una limitazione temporale del godimento dell’immobile (Cass. 18/04/1996, n. 3663; Cass. 23/06/1993, n. 6935; Cass. 20/08/1990, n. 8489).

Ad abundantiam, val la pena di mettere in risalto il tipo di attività che veniva esercitata nell’immobile locato, attività sanitaria assistenziale, quindi un’attività riconducibile all’art. 27 direttamente o indirettamente tramite la L. n. 392 del 1978, art. 42. Quest’ultima disposizione prende in considerazione una serie di attività non abitative, connotate da un’evidente rilevanza sociale dello scopo perseguito o della particolare natura dei soggetti che vi esplicano l’attività, meritevoli come tali di particolare tutela. Ad essi è assicurata, ai fini che qui interessano, la durata minima del contratto.

La giurisprudenza esclude che le locuzioni adoperate dall’art. 42 siano tali da fornire una elencazione tassativa delle attività da prendere in considerazione, privilegiando un’analisi sostanziale che superi il mero dato letterale (Cass., Sez. Un., 09/07/1997, n. 6627). Nel caso di specie, dovendosi apprestare una sistemazione anche di tipo alberghiero delle persone ricoverate, nell’attività svolta sarebbe stato possibile persino ravvisare una tipizzazione alberghiera, con i conseguenti riflessi sulla durata minima del contratto stabilita per legge.

In ogni caso, ciò che conta è che non vi fossero i presupposti per sottrarre i contratti in oggetto alla disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 27, comma 5.

10. Ne consegue il rigetto di entrambi i ricorsi.

11. Le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate in ragione della reciproca soccombenza.

12. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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