Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18941 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/07/2017, (ud. 03/05/2017, dep.31/07/2017),  n. 18941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 747-2015 proposto da:

C.E., in proprio e quale legale rappresentante della

C. ASSICURAZIONI SAS DI C.E. & C, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA A. CHINOTTO 1, presso lo studio

dell’avvocato ERMANNO PRASTARO, rappresentato e difeso dall’avvocato

PAOLO MARAN, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V. A.

DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO GIANGIACOMO,

che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. G.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALDI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO GUIDONI

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

L.C., ALLIANZ SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1109/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 06/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha

concluso chiedendo l’accoglimento p.q.r. del settimo motivo di

ricorso, visto l’art. 380 ter c.p.c., con i conseguenti

provvedimenti di legge, e rigetto degli altri motivi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2002, C.E., in proprio e quale legale rappresentante della Casarin Assicurazioni S.a.s., convenne in giudizio il notaio L.C., affinchè, accertatone l’inadempimento contrattuale, fosse condannato al risarcimento dei danni subiti dalle parti attrici.

Espose che, nel dicembre 1996, aveva deciso, su suggerimento del proprio commercialista rag. M.A., di costituire con la sorella C.A. una società in accomandita semplice, per iniziare ad esercitare la propria attività di agente assicurativo in forma sociale; che l’atto costitutivo della Casarin Assicurazioni S.a.s. veniva stipulato dinanzi al notaio L. e, stante la volontà di intestare solo fiduciariamente le quote sociali alla sorella, la provvista veniva da lui interamente somministrata; che, al fine di agevolare e garantire il trasferimento della quota fiduciariamente intestata, C.A. rilasciava contestualmente una procura speciale, conferendo al fratello il potere di cedere le sue quote per il prezzo e a chi, compreso se stesso, avesse ritenuto opportuno; che, nel 2000, a seguito di dissidi insorti tra fratelli, si recava presso lo studio del notaio, chiedendo la consegna dell’originale della procura, ivi rimasta depositata fiduciarmente; che il notaio gli consegnava solo una copia fotostatica, mentre l’originale veniva consegnata a C.A., la quale, avutane la disponibilità, revocava la procura e iniziava una serie di iniziative giudiziarie dirette a rivendicare gli utili della società; che tali iniziative giudiziarie, causate dall’inadempimento del notaio L. alle obbligazioni derivanti dal contratto di deposito fiduciario, avevano procurato alle parti attrici i danni di cui si chiedeva il risarcimento.

Si costituì in giudizio il notaio L.C., eccependo la carenza di legittimazione attiva della Casarin Assicurazioni S.a.s. e chiedendo il rigetto della domanda attorea. Inoltre, chiamò in causa la compagnia assicurativa della propria responsabilità civile e il rag. M.A., quale artefice della intestazione fiduciaria, al fine di essere da loro tenuto indenne in caso di accoglimento delle domande attoree.

Si costituirono in giudizio La Nazionale Assicurazioni S.p.a., e M.A., chiedendo il rigetto delle domande formulate nei loro confronti e, quest’ultimo, chiamando a sua volta in causa la propria compagnia assicurativa, Lloyd Adriatico S.p.a., che si costituì.

Il Tribunale di Vicenza – Sezione distaccata di Schio, con sentenza n. 329/2009, accertata la carenza di legittimazione attiva della C. Assicurazioni S.a.s., rigettò la domanda di risarcimento proposta nei confronti del notaio L. e dichiarò assorbite le domande di manleva svolte dal convenuto e dal terzo chiamato M.. Condannò le parti attrice alla rifusione delle spese sostenuto dal convenuto L. e dai terzi chiamati La Nazionale Assicurazioni S.p.a., M.A. e Lloyd Adriatico S.p.a.

Il Tribunale osservò preliminarmente che era fondata la eccezione di carenza di legittimazione della Casarin Assicurazioni, avendo gli attori posto a fondamento della pretesa un titolo contrattuale e non avendo, però, nemmeno prospettato che la costituenda società fosse stata parte del contratto di deposito fiduciario.

Nel merito, il Tribunale ritenne che C.E. non avesse fornito alcuna prova dell’esistenza del suddetto contratto di deposito fiduciario e che, ad ogni modo, le pretese dell’attore sarebbero state ugualmente infondate, mancando il nesso causale tra il dedotto inadempimento e le iniziative giudiziarie introdotte da C.A. in violazione del patto fiduciario, essendo la procura un atto unilaterale revocabile a prescindere dalla disponibilità materiale del documento.

Inoltre, non esisteva alcuna prova del fatto che C.E. avrebbe effettivamente trasferito le quote qualora il notaio L. gli avesse consegnato l’originale della procura, essendo i capitoli di prova proposti a tal fine del tutto generici.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Venezia con sentenza n. 1109 del 6 maggio 2014, la quale ha tuttavia riformato il capo relativo alle spese, ponendo quelle sostenute da M.A. e, in primo grado, dalla Lloyd Adriatico S.p.a. (oggi Allianz S.p.a.) a carico del L., il quale aveva effettuato la chiamata in causa di M., per garanzia impropria o in via surrogatoria, nell’evidente e totale assenza dei relativi presupposti.

Nel merito, la Corte ha ritenuto inammissibile l’appello svolto dalla Casarin Assicurazioni S.a.s., evidenziando che nessuna censura specifica era stata mossa dagli appellanti al capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato la carenza di legittimazione attiva della società, in quanto non titolare del rapporto sostanziale oggetto di causa.

Ha ritenuto inoltre inammissibile l’appello di C.E. nella parte in cui aveva ancorato la responsabilità del notaio non ai profili individuati in primo grado (violazione delle norme sugli obblighi del depositario, per aver consegnato l’originale della procura a soggetto diverso dal depositante, violazione delle norme sul comportamento secondo correttezza e buona fede, avendo omesso di informare il depositante della richiesta della sorella, violazione delle norme relative alla diligenza nell’adempimento delle obbligazioni, avendo negligentemente consegnato a C.A. un documento che aveva la funzione di garantire il patto fiduciario) al fatto che quest’ultimo avesse omesso di predisporre una dichiarazione idonea a provare l’esistenza del patto fiduciario.

Nel merito, la Corte di Venezia, come il giudice di prime cure, ha ritenuto non dimostrata l’esistenza di un contratto di deposito fiduciario – non risultando un simile contratto nè da una prova scritta nè in base a presunzioni ed essendo i capitoli di prova all’uopo formulati dal C. inammissibili perchè in contrasto con l’art. 2721 c.c. o perchè volti a dimostrare a circostanze irrilevanti (in particolare, la natura solo fiduciaria della intestazione di quote in capo ad C.A.).

La Corte ha poi rilevato che, se anche fosse stata raggiunta la prova dell’esistenza del suddetto contratto, mancherebbe comunque il nesso causale tra il preteso adempimento e il danno, in considerazione della neutralità della condotta del notaio L. rispetto a quella di C.A., la quale avrebbe potuto revocare la procura speciale in qualsiasi momento, a prescindere dalla disponibilità materiale del documento.

La considerazione che C.E. fosse l’unico ad avere bisogno dell’originale della procura per poter trasferire le quote, secondo la Corte di Appello, non vale nè a dimostrare l’esistenza del deposito fiduciario (inutile rispetto al fine di garantire l’adempimento del patto, vista la revocabilità della procura speciale) nè a dimostrare l’esistenza del nesso causale tra consegna e danno, non essendoci la prova che il C., se avesse avuto disponibilità dell’originale, avrebbe proceduto al trasferimento di quote prima dell’intervenuta revoca e deponendo piuttosto in senso contrario l’assenza di formali contestazioni o richieste da parte dello stesso C. al notaio nell’apprezzabile intervallo di tempo intercorrente tra la scoperta di aver ricevuto una copia fotostatica e la notificazione della revoca della procura.

3. Avverso tale decisione, propongono ricorso in Cassazione C.E. e la Casarin Assicurazioni S.a.s., sulla base di sette motivi.

3.1. Resistono con controricorso Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (già La Nationale Assicurazioni S.p.a.) e Alessandro M., il quale svolge anche domanda di condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c., commi 1 o 3.

3.2. La Unipolsai, M. e C. hanno depositato memoria.

3.3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta concludendo per l’accoglimento del settimo motivo ed il rigetto degli altri.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano “la violazione dell’art. 342 c.p.c. nella sua interpretazione sostanziale”.

Secondo i ricorrenti, quando l’appello era stato proposto (prima della riforma dell’art. 342 c.p.c.), non vi era ancora l’onere di rigorosa indicazione delle parti della sentenza che si intendevano impugnare.

Nel caso, peraltro, sarebbe stato implicito, oltre che logico, che era stata messa in discussione anche la valutazione del Tribunale in ordine al difetto di legittimazione attiva della Casarin Assicurazioni S.a.s., considerato che l’atto di appello era stato proposto anche in nome e per conto della stessa società, era stata contestata la ricostruzione giudiziale della vicenda ed era stata richiesta l’integrale riforma della sentenza e l’accoglimento delle conclusioni del primo grado.

Il motivo è infondato.

Al riguardo si deve richiamare l’orientamento di questa Corte secondo cui la specificità dei motivi – richiesta dall’art. 342 c.p.c., nella formulazione ratione ternporis applicabile, per la rituale proposizione dell’atto di appello – esige, anche quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico – giuridico delle prime, alla parte volitiva dell’appello dovendosi sempre accompagnare una parte argomentativa – nella specie del tutto carente – che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

La tesi sostenuta dai ricorrenti contrasta, quindi, con il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame, consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass., 13 aprile 2010, n. 8771; Cass., 18 aprile 2007, n. 9244).

4.2. Con il secondo ed il terzo motivo i ricorrenti denunciano, rispettivamente la “violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2697,2729 e 1771 c.c. – in punto di prova dell’esistenza di un contratto di deposito fiduciario tra C.E. e Notaio L., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: necessità di indagare la reale volontà delle parti a carico del Notaio e consapevolezza del notaio circa la natura fiduciaria dell’intestazione” (secondo motivo) e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: procura speciale e qualificazione contrattuale” (terzo motivo).

L’esistenza del deposito fiduciario emergerebbe dalla semplice circostanza che nel caso di specie la procura speciale – la quale è un atto che il notaio non tiene a raccolta (in quanto lo rilascia in originale alle parti)- era rimasta depositata presso lo studio del notaio L., e che quindi doveva esservi stata una richiesta in tale senso, che il notaio aveva accettato.

Del resto, il contratto di deposito non richiederebbe per la sua validità ed efficacia la forma scritta, potendosi desumere da fatti concludenti, come, nel caso di specie, il fatto che la procura, quattro anni dopo la sottoscrizione, fosse ancora in mano al notaio.

Il L. non avrebbe potuto restituire la procura ad C.A. senza il consenso di C.E., il quale, nel contratto di deposito de quo non sarebbe stato solo terzo interessato, ma reale depositante.

Il notaio, avendo stipulato sia l’atto di costituzione di società, sia la procura speciale, sarebbe stato al corrente del fatto che lo scopo della medesima procura era quello di garanzia di un’intestazione fiduciaria. Quindi, lo stesso notaio doveva conoscere la ragione del deposito presso se stesso della procura e sapere quale poteva essere la conseguenza della consegna ad C.A., senza la preventiva informazione del fratello.

Il fatto che il C. fosse l’unico ad avere la necessità dell’originale della procura, confermerebbe che tale procura era stata depositata presso il notaio nell’interesse esclusivo del medesimo C..

I motivi sono inammissibili.

Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi. dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. civ. Sez. 2, Sent., 25-10-2016, n. 21543; Cass. n. 27197/11).

In ordine alla valutazione delle prove adottata dai giudici di merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato ricostruttivo in sè che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito. La valutazione delle circostanze riferite dai ricorrenti – ovvero, nella specie, il fatto che la procura fosse rimasta depositata presso il notaio e che questi fosse l’unico soggetto interessato all’originale della procura – costituisce valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici.

La motivazione della sentenza della Corte di Appello è congrua e scevra da vizi logico giuridici sotto il profilo motivazionale, avendo ritenuto non dimostrata l’esistenza del deposito fiduciario non solo per mancanza di prova scritta, ma anche per la non configurabilità di una simile prova in via presuntiva.

La Corte infatti rileva correttamente che la considerazione che C.E. fosse l’unico ad avere bisogno dell’originale della procura per poter trasferire le quote non vale a dimostrare l’esistenza del deposito fiduciario, il quale sarebbe stato inutile rispetto al fine di garantire l’adempimento del patto, vista la libera revocabilità della procura speciale anche in assenza della materiale disponibilità della stessa.

4.3. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la “violazione dell’art. 116 in relazione all’art. 2697 c.c., all’art. 2721 e all’art. 1771 c.c.”.

Nel caso di specie, l’ammissione dei capitoli di prova testimoniali diretti a provare l’esistenza del patto fiduciario in deroga ai limiti di cui all’art. 2721 c.c. sarebbe stata giustificata in considerazione dell’affidamento, da parte del C., sulla professionalità del notaio.

Infatti, in considerazione della qualità della controparte, la mancata predisposizione di un atto scritto quale prova del deposito, non avrebbe impensierito il C., anche in considerazione dei continui rapporti contrattuali che questi avrebbe intrattenuto con il notaio L..

In ogni caso, la mancanza di un simile atto scritto sarebbe unicamente riconducibile alla negligenza del notaio, costituendo inadempimento.

Il motivo è inammissibile.

La censura contenuta nel ricorso per Cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente non provveda a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali gli stessi sarebbero qualificati a testimoniare, trattandosi di elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto; e ciò in quanto, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di cassazione deve essere posta in grado di compiere tale valutazione in base alle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. civ. Sez. 2, 09/11/2011, n. 23348).

4.4. Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano la “violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 1175- 1375 c.c. circa la responsabilità del notaio per violazione delle norme sul comportamento in correttezza e buona fede e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio: permanenza della procura presso il notaio per un lungo tempo” (quinto motivo).

I ricorrenti criticano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto mancante la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento del notaio ed il danno.

Il notaio sarebbe venuto meno alla diligenza qualificata richiesta al prestatore d’opera professionale ed avrebbe così cagionato il danno, impedendo al C. di procedere al trasferimento delle quote a se stesso o ad un terzo in modo da delegittimare le pretese della sorella.

Il motivo è inammissibile.

L’accertamento del rapporto eziologico tra la condotta e l’evento dannoso rappresenta un’indagine di fatto devoluta al giudice di merito, incensurabile in Cassazione se sorretta da adeguata motivazione.

Nella specie, la sentenza impugnata, con motivazione adeguata e immune da vizi logico-giuridici, ha rigettato la domanda di risarcimento (anche) escludendo la sussistenza del nesso di causalità tra, da un lato, il preteso inadempimento da parte del notaio al contratto di deposito asseritamente stipulato tra questi e C.E. con ad oggetto la procura speciale conferita da C.A. al fratello (contratto la cui esistenza non è stata dimostrata) e, dall’altro, il pregiudizio economico conseguente alle iniziative giudiziarie intraprese da C.A. in violazione del patto fiduciario con il fratello.

Ha osservato infatti la Corte di appello che la condotta del L. sarebbe neutrale rispetto a quella tenuta da C.A., la quale avrebbe potuto revocare la procura speciale in qualsiasi momento, a prescindere dalla consegna del documento da parte del notaio.

Inoltre, la Corte veneziana ha rilevato la mancanza di prova circa il fatto che il C., se avesse avuto disponibilità dell’originale della procura, avrebbe proceduto al trasferimento di quote prima della revoca della medesima procura da parte della sorella, deponendo piuttosto in senso contrario l’assenza di formali contestazioni o richieste da parte dello stesso C. al notaio nell’apprezzabile intervallo di tempo intercorrente tra la scoperta di aver ricevuto una copia fotostatica e la notificazione della revoca della procura.

4.5. Con il sesto motivo, i ricorrenti censurano la “violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione alla dichiarazione sottesa al patto fiduciario”.

Il profilo di responsabilità del notaio per non aver redatto per iscritto il patto di deposito fiduciario sarebbe stato evidenziato già in primo grado e comunque non avrebbe costituito modifica della causa petendi, ma semplice argomentazione al fine di censurare la sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva dichiarato l’inammissibilità dei capitoli di prova testimoniale sul rilievo che sarebbe stato “insostenibile che le parti non abbiano curato di predisporre un documento scritto nel quale fossero indicate le persone a favore delle quali il deposito veniva effettuato, la durata dello stesso, le modalità della consegna del documento e del corrispettivo pattuito in favore del notaio”.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Infatti, l’eventuale accoglimento del suddetto motivo porterebbe ad una pronuncia priva di rilevanza pratica, rimanendo ferma la pronuncia di inammissibilità dei capitoli di prova testimoniale in ragione di quanto enunciato in relazione al terzo motivo di ricorso.

4.6. Con il settimo motivo, i ricorrenti lamentano la “violazione degli artt. 112 e 91 c.p.c. in relazione all’art. 2041 c.c.”.

La Corte di Appello avrebbe errato nell’annullare la condanna alle spese degli attori nei confronti di M.A. e Allianz S.p.a. senza disporre un ordine di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre a non statuire per la rifusione delle spese di primo e secondo grado nei confronti degli odierni ricorrenti, avendo accolto parzialmente l’appello.

Anche tale motivo è inammissibile.

Infatti il ricorrente non prova dove abbia richiesto la restituzione delle spese in appello. In materia di spese processuali, la domanda di rimborso delle spese processuali liquidate nella sentenza di primo grado può essere proposta in grado di appello, giacchè il diritto alla restituzione di quanto è stato pagato in esecuzione della sentenza riformata, sebbene possa essere fatto valere in un giudizio autonomo (come si ricava argomentando dall’art. 389 c.p.c.), ha il suo proprio giudice in quello investito dell’impugnazione della sentenza, dalla cui riforma o cassazione il diritto deriva (art. 336 c.p.c.), come risulta confermato dalla circostanza che, in caso di cassazione con rinvio, la domanda in questione può essere proposta al giudice di rinvio (Cass. 6731/2002).

5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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