Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18940 del 31/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 31/08/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 31/08/2010), n.18940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

M.V., elettivamente domiciliato in Roma, via Prestinari n.

13, presso lo studio dell’avv. Ramadori Giuseppe, rappresentato e

difeso dall’avv. D’Arrigo Domenico;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, sez. 63^, n. 296, depositata il 12.2.2008;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore dott.

Cappabianca Aurelio;

constatata la regolarita’ delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che il contribuente propose ricorso avverso avviso, con il quale l’Agenzia – con metodo induttivo e sulla base dei “parametri”, di cui ai D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e D.P.C.M. 27 marzo 1997, emessi ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 e segg. – aveva accertato a suo carico, per l’anno 2000, maggiori irpef, addizionale regionale e addizionale comunale;

che il contribuente lamentava, in particolare, che l’accertamento era del tutto genericamente motivato esclusivamente in funzione delle risultanze degli “parametri” e, peraltro, non considerava minimamente le dedotte peculiarita’ dell’attivita’ espletata sia quale attivita’ di agente monomandatario sia quale attivita’ tesa all’instaurazione di rapporti creditizi la cui utile conclusione non e’ suscettibile di automatico collegamento all’intensita’ delle visite alla clientela;

– che – sull’opposizione dell’Agenzia, che faceva, in particolare rilevare come il contribuente avesse rifiutato anche la proposta di definizione prospettata in sede di contraddittorio – l’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con sentenza confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla Commissione regionale;

– che, nel suo nucleo essenziale la motivazione dei giudici di appello e’ affidata alla considerazione che le risultanze degli studi di settore esprimono delle mere presunzioni semplici che non conducono automaticamente all’inversione dell’onere della prova a favore dell’Amministrazione fiscale;

rilevato:

– che, avverso la sentenza di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, deducendo violazione di legge (il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181) nonche’ vizio di motivazione, censurando la decisione impugnata per non aver considerato che le risultanze dei “parametri” assumono, di per se’, valenza di presunzioni legali, idonee a giustificare l’accertamento in assenza di prova contraria del contribuente;

osservato:

– che il ricorso e’ infondato;

– che le SS.UU. di questa Corte hanno, di recente, aderito all’impostazione secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, le risultanze dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 181 a 187, (come quelle degli studi di settore) non costituendo fatto concreto noto e certo, specificamente inerente al contribuente, suscettibile di evidenziare in termini di rilevante probabilita’ l’entita’ del suo reddito, ma rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralita’ di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni – rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico – induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) ma, ove siano contestati sulla base di allegazioni specifiche, sono inidonei a supportare l’accertamento medesimo, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realta’ economica dell’impresa che devono essere provati e non semplicemente enunciati nella motivazione dell’accertamento;

che, piu’ specificamente, le SS.UU. hanno affermato il principio che:

“la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravita’, precisione e concordanza non e’ ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in se’ considerati (meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditivita’), ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullita’ dell’accertamento, con il contribuente; che, in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realta’ dell’attivita’ economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non puo’ esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilita’ in concreto dello standard prescelto e con le ragioni, per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente; che l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilita’ dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilita’ degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente il quale, al riguardo, non e’ vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della piu’ ampia facolta’, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, tuttavia, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’ufficio puo’ motivare l’accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilita’ di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice puo’ valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. sent. 26635/09);

considerato:

– che, tanto premesso, la decisione impugnata si rivela incensurabile per aver, in conformita’ con i principi sopra richiamati, negato legittimita’ ad accertamento esclusivamente fondato su dati parametri ci, non solo specificamente contestati dal contribuente, ma, altresi’, riconosciuti inidonei dallo stesso ufficio finanziario seppure ai fini di un accertamento adesivo non andato a buon fine, e, peraltro, in assenza di qualsiasi motivazione in merito alla reiezione dei rilievi specificamente svolti dal contribuente in sede di contraddittorio;

ritenuto:

– che, pertanto, il ricorso dell’Agenzia si rivela manifestamente infondato, sicche’ va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

ritenuto:

– che il ricorso dell’Agenzia si rivela, pertanto, manifestamente infondato, sicche’ va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

che, per la natura della controversia e le pregresse incertezze interpretative, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE respinge il ricorso; compensa le spese.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010

 

 

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