Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18940 del 16/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 16/09/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 16/09/2011), n.18940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TREIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO

20, presso lo studio dell’avvocato PERSICHELLI CESARE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAPOMACCHIA SALVATORE,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 45/2006 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 22/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PERSICHELLI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

il 23.6.2008 è stato notificato al Ministero dell’economia delle Finanze nonchè all’Agenzia delle Entrate un ricorso di C. C. per la cassazione della sentenza della CTR di Trieste descritta in epigrafe (depositata il 27.11.2006), che ha respinto l’appello proposto dalla parte contribuente contro la sentenza della CTP di Udine n. 61/06/2002 che aveva a sua volta respinto il ricorso della medesima parte contribuente contro avviso di accertamento relativo ad IRPEF-ILOR e contributo SSN per l’anno 1994.

L’Agenzia si è difesa con controricorso.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 5.5.2011, in cui il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con il predetto avviso di accertamento l’Agenzia aveva determinato maggiori imposte a carico di C.C. per effetto di PVC di data 19.12.1997 della GdF di Cervignano adottato a seguito di ispezione ed accesso presso lo studio professionale del C., effettuati previa autorizzazione della Procura di Udine. Il provvedimento era stato impugnato dal contribuente che – preliminarmente ed oltre a contestazioni di merito – aveva eccepito l’inutilizzabilità della documentazione rinvenuta in sede di accesso, perchè individuata nello studio di altro professionista, sito in un ambiente posto all’interno dell’immobile in cui il C. aveva abitazione e studio professionale ed a lui concesso in comodato dal C. stesso. L’adita CTP aveva integralmente disatteso il ricorso e Ca. interposto dal contribuente contro la sentenza di primo grado è stato respinto dalla Commissione Tributaria Regionale di Trieste.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata (per quanto qui rileva ai fini dell’esame delle censure proposte dalla parte ricorrente), nel senso della totale incongruità dell’eccezione preliminare del C. di illegittimità dell’accesso da parte della GdF, atteso che gli elementi di fatto acquisiti in causa dimostravano che l’attribuzione di alcuni spazi dell’unità immobiliare del C. ad altro professionista aveva costituito uno stratagemma finalizzato ad impedire il reperimento della documentazione fiscalmente rilevante, che infatti era stata rinvenuta proprio nell’ambiente in cui – asseritamente – esercitava detto diverso professionista. Detti assorbenti elementi di fatto non avrebbero potuto trovare idonea smentita nel rinvenimento del “contratto di comodato”, la cui genuinità era messa decisamente in dubbio dai numerosi atteggiamenti artificiosi tenuti da C..

Quanto al merito, poi, e circa l’omessa dichiarazione di redditi diversi per L. 30.000.000, non risultava credibile la giustificazione del C. sostenuta sull’assunto di un “prestito” restituito gradualmente dal mutuatario, alla luce del fatto che la documentazione reperita dalla GdF attestava l’una più intensa compromissione” del C. nella gestione dell’azienda dell’asserito mutuatario, “anche se sotto il profilo eminentemente finanziario”. D’altronde, il mutuatario – dichiarandolo ai verificatori – aveva fatto riferimento ad un mutuo di L. 30.000.000 ma aveva anche precisato di averlo rimborsato nel giro di pochi mesi, mentre gli accrediti da cui i verificatori avevano tratto l’esistenza di redditi “diversi” (ed in specie la compartecipazione al reddito d’impresa altrui) si erano riprodotti nell’arco dell’intero esercizio.

Infine, circa la omessa dichiarazione di plusvalenze per L. 47.000.000, il giudice di appello ha evidenziato che la contestazione circa l’insufficienza della prova addotta dall’Agenzia (e cioè tre ricevute rilasciate dal C. stesso) non appariva condivisibile, atteso che le ricevute in questione erano state correttamente poste in correlazione con un contratto preliminare di compravendita rinvenuto presso il contribuente e con il contratto definitivo, raffronto dal quale emergeva il dato decisivo per la soluzione della questione.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con tre distinti motivi d’impugnazione e – previa indicazione del valore della lite in Euro 37.042,00 – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con vittoria delle spese di lite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

a) Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2729 c.c., al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1 e al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1. Contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5″.

Nel contesto di un unico motivo di impugnazione intestato a due differenti tipologie di vizi ma confusamente trattato, con ricorrente sovrapposizione dell’uno profilo sull’altro e conseguente inestricabilità delle concrete ragioni di censura, la parte ricorrente ha formulato i seguenti quesiti sul vizio di diritto ed indicazione riassuntivo-sintetica sul vizio motivazionale:

a) se il giudice, qualora l’esistenza di un rapporto contrattuale di comodato risulti da contratto scritto e da altre prove documentali, possa escludere resistenza di detto rapporto in base a ragionamento presuntivo che si fonda sul mero comportamento della parte anzicchè su distinti elementi documentali; e se in tal caso sia comunque tenuto a giustificare in motivazione la coerenza logica e ragionevolezza delle proprie conclusioni anche alla luce degli elementi volutamente trascurati o non coerentemente esaminati”; b) “si indica il fatto controverso sul quale la motivazione appare illogica: la sussistenza in (OMISSIS) di distinti locali adibiti dal dott. K. a studio professionale”; c) “se il giudice tributario possa o meno utilizzare per la decisione elementi o atti probatori illegittimamente acquisiti”.

Tanto i quesiti che la indicazione riassuntivo-sintetica sono inidoneamente formulati e rendono inammissibile il motivo di impugnazione.

Ed invero, in merito al tema dei requisiti di contenuto del quesito che il ricorrente ha onere di formulare ai sensi dell’art. 366 – bis c.p.c., questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il quesito di diritto consiste non già in un’affermazione di diritto astratta ed avulsa dal caso concreto, ma deve consistere in un interrogativo che deve necessariamente contenere, sia pure sintetizzandola, l’indicazione della questione di diritto controversa e a formulazione del diverso principio di diritto rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato, di cui il ricorrente, in relazione a caso concreto, chiede l’applicazione al fine di ottenere la pronuncia di cassazione, in modo da circoscrivere l’oggetto di quest’ultima nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito stesso (Cass. S.U. n. 23732 del 2007; Cass. S.U. n. 20360 e n. 36 del 2007; Cass. n. 14682 del 2007).

Nella specie di causa, nulla di tutto ciò, alla luce del fatto che – per quanto pare di capire – la censura avente ad oggetto il vizio di legittimità attiene all’art. 2729 c.c. ed alla “struttura normativa astratta della presunzione” ed alla consistenza di “fatti noti” quanto a quelli in relazione ai quali il giudicante avrebbe ordinato il proprio convincimento deduttivo.

Non solo non si ravvisa dunque alcuna “personalizzazione” del quesito rispetto alla concreta fattispecie di causa (tanto che il quesito appare ricondotto ad una astratta affermazione di diritto) ma neppure si ravvisa coerenza alcuna tra il quesito e gli assunti argomentativi che lo sorreggono, sicchè la risposta al quesito non potrebbe in alcun modo identificare una regula iuris per il concreto caso sottoposto all’esame.

In merito al tema della indicazione riassuntivo-sintetica, poi, non è neppure il caso di passare ad un esame dell’idoneità di quella proposta con il motivo di impugnazione ora in parola, atteso che non se ne ravvisano neppure i caratteri essenziali, ridotta essa coni “è alla mera identificazione del “fatto controverso”.

6. Il secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2729 c.c.;

del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81 nella formulazione all’epoca vigente. Omessa o insufficiente motivazione della sentenza su un fatto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Valgono per il motivo di impugnazione qui in esame non solo le considerazioni relative al motivo precedente concernenti la confusa commistione delle due differenti tipologie di vizio denunciato (con conseguente difficoltà di identificazione delle concrete ragioni di censura) ma anche le identiche considerazioni concernenti l’inidoneità del quesito e della indicazione riassuntivo-sintetica, donde si genera l’inammissibilità del motivo di impugnazione.

La formulazione è infatti la seguente:

a) se è legittimo, in presenza di mere movimentazioni finanziarie correnti tra soggetti appartenenti a categorie professionali distinte, ed in assenza di ulteriori specifici elementi gravi, precisi e concordanti, desumere un reddito da compartecipazione nell’altrui attività di impresa; e se è legittimo inquadrare tale asserito reddito nella categoria dei redditi diversi”;

b) si indica quale fatto controverso sul quale vi è insufficiente motivazione la sussistenza dì un rapporto di partecipazione da parte del C. agli utili dell’impresa facente capo al sig. Go.”.

Orbene, omessa qualsivoglia considerazione per ciò che concerne l’indicazione riassuntivo-sintetica afferente il denunciato vizio motivazionale (per la quale valgono esattamente le considerazioni già fatte in ordine al motivo che precede), ciò che solo mette conto qui evidenziare è che appare totalmente pretermesso nel quesito ogni preciso riferimento alla fattispecie di causa (quale riassunta nella parte descrittiva della presente decisione), cui il ricorrente non riserva alcuna attenzione. Egli muove infatti dall’assunto che si sia avuto riferimento a mere movimentazioni finanziarie e che abbiano fatto difetto “ulteriori specifici elementi”, senza considerare che – come si è detto – il giudicante ha fatto riferimento non solo alla documentazione reperita dalla GdF, ma anche alle dichiarazioni rese dall’asserito mutuatario, per giustificare il proprio convincimento.

Emerge già da questo solo rilievo che il quesito è del tutto inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata – come sopra riassunta – che si fonda esclusivamente sulla valutazione del materiale istruttorio di causa. E’ invece giurisprudenza costante di questa Corte che il quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., è inidoneo -con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso, dovendosi assimilare un tale quesito alla mancanza di quesito – allorchè la risposta, anche se positiva per l’istante, risulta comunque priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidonea a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass., Sez. un.,n. 11650 del 2008).

7. Il terzo motivo d’impugnazione.

Il terzo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38; all’art. 2729 c.c.. Insufficiente motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in merito alla sussistenza di elementi che comprovino una maggiore plusvalenza immobiliare in relazione alla vendita dell’immobile al sig. Br.

P.”.

Nel totale difetto di indicazione riassuntivo-sintetica per ciò che concerne il profilo afferente al difetto motivazionale, la parte ricorrente ha formulato soltanto il seguente quesito:

a) se è legittimo, in presenza di ricevute di danaro di epoca notevolmente antecedente alla vendita di un immobile ed in assenza di ulteriori specifici elementi gravi, precisi e concordanti, desumere l’esistenza di una plusvalenza tassabile”.

Nel quesito dianzi indicato è totalmente incomprensibile quale sia la correlazione tra i fatti identificati e le norme di diritto che si assumono violate, non avendo la parte ricorrente speso un verbo per identificare la questione di diritto controversa, e perciò la diversa soluzione da dare alla questione intepretativo-applicativa della norma di diritto, rispetto a quella offerta dal giudice del merito.

Nel totale difetto dei requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., non resta che dichiarare inammissibile anche il presente motivo di impugnazione.

La regolazione delle spese di lite è informata al criterio della soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 2.600,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

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