Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18937 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/07/2017, (ud. 19/04/2017, dep.31/07/2017),  n. 18937

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15932/2015 proposto da:

GENERALI ITALIA SPA, in persona dei procuratori speciali Dott.

C.P. e Dott. P.V., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CILIBERTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FERDINANDO TRIVELLATO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

VALMONT – AMBIENTE SRL, CERTOSA INVESTIMENTI SRL, IMMOBILIARE FRIULI

SRL, tutte in persona dell’Amministratrice unica legale

rappresentante Sig.ra T.T., T.T. in proprio,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA G. PISANELLI 40, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO BISCOTTO, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato EMANUELE URSO giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 339/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2017 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIUSEPPE CILIBERTI;

udito l’Avvocato FERDINANDO TRIVELLATO;

udito l’Avvocato EMANUELE URSO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., del 26.6.2013, il Tribunale di Trieste accolse la domanda proposta da T.T. – in proprio e nella qualità di procuratrice generale del figlio D.S.G., nonchè di legale rappresentante delle società Valmont-Ambiente s.r.l., Certosa Investimenti s.r.l. e Immobiliare Friuli s.r.l. – per la condanna di Assicurazioni Generali s.p.a. alla corresponsione degli indennizzi per l’intervenuta morte del marito De.Sa.Ga. in un incidente stradale, e ciò in forza di quattro polizze da questi stipulate con la Compagnia, per l’importo complessivo di Euro 4.600.000,00, oltre accessori. Sia la Compagnia che T.T., in proprio e n.q., impugnarono detta ordinanza, ma la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 22.5.2015, rigettò entrambi i gravami, confermandola.

Generali Italia s.p.a. (conferitaria del compendio aziendale di Assicurazioni Generali s.p.a.) ricorre ora per cassazione, affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso gli intimati. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, deducendo “ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), per violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 145,153 e 294 c.p.c., art. 2697 c.c. – Erronea ricognizione della fattispecie astratta sulla notificazione a persona giuridica e sull’onere probatorio inerente sull’interpretazione per la rimessione in termini di società contumace”, si rileva che la notifica del ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c., e del pedissequo decreto venne effettuata non già presso la sede legale della Compagnia in (OMISSIS), bensì presso altro ingresso dello stesso unico palazzo ove si trovava la sede legale ((OMISSIS)), con consegna a mani di una impiegata “addetta alla sede”. In proposito, si evidenzia che la sentenza impugnata dà atto del fatto che la relata sull’originale è diversa da quella sulla copia notificata: la prima recita “… a mani dell’impiegata B…. che si incarica della consegna esso destinatario o domiciliatario assenti”; la seconda “… a mani di impiegata Bu…. addetta alla sede”. Al riguardo, la ricorrente afferma non essere suo onere dimostrare alcunchè quanto alla qualità della Bu., come invece ritenuto dalla Corte territoriale: la notifica è stata effettuata in un palazzo in cui si trova la sede legale di numerose società del Gruppo Generali (tra cui l’originaria convenuta), ma non presso la sede legale, perchè la relata porta altro indirizzo, benchè di accesso al medesimo palazzo: la notifica è quindi nulla, non meramente irregolare, come invece erroneamente statuito dalla Corte del merito.

1.2 – Con il secondo motivo, deducendo “ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) – violazione o falsa applicazione di norme di diritto sull’interpretazione dei contratti artt. 1362,1363 e 1366 c.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per errata ricognizione sulla fattispecie astratta delle eccezioni in senso lato rilevabili d’ufficio e in senso stretto deducibili solamente dalla parte ex artt. 1892 e 1893 c.c.”, la Compagnia sostiene di aver sempre negato l’indennizzabilità della morte di De.Sa.Ga., per reticenza dolosa di questi circa il proprio precario stato di salute, tenuto appunto nascosto alla Compagnia all’atto della stipula delle polizze per cui è causa.

Si afferma, quindi, che il dolo o la reticenza del contraente incidono sulla volontà contrattuale sotto il profilo della stessa esistenza del consenso, potendo addirittura configurarsi la nullità (e non la semplice annullabilità, ex art. 1892 c.c.). In ogni caso, poichè il dolo risulta dalla produzione delle cartelle cliniche in appello, ciò emergerebbe ex actis, e risulterebbe applicabile l’insegnamento di Cass., Sez. Un. n. 10531/2013, ai fini del rilievo d’ufficio dell’eccezione. Avrebbe quindi errato la Corte triestina nel non rilevare ex officio la detta eccezione (utilizzando, a tal fine, detta documentazione clinica, versata in atti all’udienza del 29.1.2014), ritenendo che essa abbia natura di eccezione in senso stretto e non, invece, in senso lato.

2.1 – Il primo motivo è infondato.

Ritiene infatti il Collegio che, nella specie, non si tratti di nullità della notifica, ma di sua mera irregolarità, come correttamente statuito dal giudice d’appello: è sostanzialmente accaduto che, nel notificare il ricorso introduttivo, l’ufficiale giudiziario ebbe accesso al palazzo del Gruppo Generali, in Trieste, da altro ingresso rispetto a quello della sede legale della società destinataria, e consegnò l’atto all’impiegata Bu., ma pur sempre presso la sede legale, conformemente al disposto dell’art. 145 c.p.c.; la Corte giuliana ha infatti accertato – e tali statuizioni non sono state oggetto di specifiche censure – che la notifica è “avvenuta nel luogo fisico (palazzo) in cui si trova la sede sociale dell’appellante ed a persona legittimata a riceverla”: pertanto, è ormai indiscutibile, perchè le questioni sono coperte dal giudicato, che la notifica è avvenuta nel palazzo avente ingresso sia da (OMISSIS), che da (OMISSIS), ed in cui si trova la sede legale dell’originaria convenuta, e che la Bu. era persona idonea a ricevere gli atti per suo conto, in quanto addetta alla sede. Ora, a parte la questione dell’individuazione della sede (che a ben vedere la ricorrente neanche discute), la Compagnia avrebbe comunque potuto agevolmente dimostrare che detta impiegata non era sua dipendente, nè incaricata alla ricezione degli atti, ma non l’ha fatto, nè nella fase di merito, nè censurando la relativa statuizione in questa sede, come già evidenziato (sull’onere della prova in discorso, v. da ultimo Cass. n. 2885/2017).

E’ poi chiaro che, come accertato dai giudici di merito, il fatto che l’impiegata non abbia consegnato il plico contenente il ricorso al funzionario deputato alla relativa trattazione è un problema di (dis)organizzazione interna di Generali; nè può qui discutersi di caso fortuito, o di forza maggiore, perchè la consegna è avvenuta a soggetto idoneo a ricevere gli atti e presso la sede legale.

Quanto poi alla questione della diversità del tenore della relata riportata sull’originale dell’atto, rispetto alla copia notificata, la ricorrente rileva che la parte mancante nella copia (ossia, quella concernente l’impegno della Bu. a consegnarla al destinatario) è dirimente ai fini del discrimen tra validità e invalidità della notifica; a ben vedere, però, le due dizioni non si discostano, perchè non rileva tanto la dichiarazione sul detto impegno assunto dal ricevente, bensì il fatto che la notifica sia stata effettuata presso la sede legale, con consegna a mani di un’impiegata addetta alla ricezione atti per conto della destinataria, il che è indiscutibilmente avvenuto nella fattispecie (si veda, sulla stessa irrilevanza della mancanza della relata sulla copia del destinatario, ove la consegna sia effettivamente avvenuta, come nella specie, Cass. n. 15327/2014).

In definitiva, può qui ribadirsi il seguente principio di diritto: “Qualora l’atto da notificare rechi un indirizzo errato del destinatario della notifica, ma l’atto venga ugualmente consegnato all’effettivo destinatario (nel caso di specie, una società) presso la sua sede, la notifica deve ritenersi valida e l’erronea indicazione del destinatario costituisce una semplice irregolarità” (così, Cass. n. 11066/2003).

3.1 – Anche il secondo motivo è infondato.

L’art. 1892 c.c., concede all’assicuratore l’azione di annullamento riguardo alle dichiarazioni inesatte o reticenti del contraente e relative a circostanze tali che, ove conosciute, l’avrebbero indotto a non prestare il consenso, ovvero a prestarlo a condizioni diverse; essa può pacificamente essere fatta valere in via di eccezione (v. da ultimo Cass. n. 16406/2010).Che si tratti di eccezione in senso stretto – da sollevare, quindi, a pena di decadenza, entro i termini di cui all’art. 702 bis c.p.c., comma 4, avuto riguardo al procedimento sommario di cognizione – non può esservi dubbio, proprio perchè è un fatto certamente impeditivo del diritto dell’assicurato, ma che l’assicuratore può far valere autonomamente con azione costitutiva (annullamento), come peraltro evidenziato da Cass., Sez. Un. n. 10531/2013, invocata dalla stessa ricorrente. Non si tratta quindi di nullità del contratto, nè può esservi spazio per una produzione tardiva in appello, tanto più che i controricorrenti negano (v. controricorso, p. 23) che la Corte d’appello abbia ammesso la produzione; del resto, di tale produzione la Corte giuliana non fa alcun cenno nella sentenza impugnata.

Pertanto, la decisione impugnata è esente da qualsiasi critica sul punto.

4.1 – In definitiva, il ricorso va rigettato perchè infondato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 25.000,00 per compensi, oltre alle spese generali forfetarie in misura del 15%, ad Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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