Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18936 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 11/09/2020), n.18936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

u sul ricorso 13517-2019 proposto da:

A.P., in proprio e quale legale rappresentante della

A. COSTRUZIONI S.R.L., rappresentati e difesi dall’Avvocato

GIORGIO POLVERINO, presso il cui studio in Salerno, corso Vittorio

Emanuele 58, elettivamente domiciliano, per procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AB.LU. e AB.VI., rappresentati e difesi dall’Avvocato

CESARE DEGLI ESPOSTI e dall’Avvocato GIUSEPPE MAZZOTTA, per procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la SENTENZA n. 331/2018 della CORTE D’APPELLO DI SALERNO,

depositata il 14/3/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE

DONGIACOMO nella camera di consiglio non partecipata del 3/7/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Artesistem & C. s.n.c. ha convenuto in giudizio A.P., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della A. Costruzioni s.p.a., chiedendone la condanna al pagamento del corrispettivo dovuto per l’esecuzione dei lavori di pitturazione eseguiti nell’anno 2000 nell’abitazione del convenuto in Salerno.

A.P., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della A. Costruzioni s.p.a., si è costituito in giudizio ed ha resistito alla domanda proposta.

Il tribunale, con sentenza del 2010, per quanto ancora rileva, ha rigettato la domanda proposta dall’attrice.

Ab.Lu. e Ab.Vi., nella qualità di cessionari del credito vantato dalla società Artesistem in forza di atto di cessione del 2/8/2007, hanno proposto appello avverso la sentenza del tribunale chiedendo l’accoglimento della domanda così come proposta in primo grado.

L’appellato, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della A. Costruzioni s.r.l., ha resistito al gravame, deducendo, in via preliminare, la carenza di legittimazione attiva degli appellanti e, nel merito, l’infondatezza dell’appello.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello proposto e, in totale riforma della sentenza impugnata, ha condannato il convenuto, in proprio, al pagamento, in favore degli appellanti, della somma complessiva di Euro 28.808,34, oltre interessi e spese di lite.

La corte, in particolare, ha ritenuto, innanzitutto, che gli appellanti erano legittimati ad agire in giudizio in ragione del fatto che gli stessi erano già soci, ognuno per il 50% dell’intero “ed il primo anche amministratore” della società attrice, nonchè successori della stessa in quanto cessionari del credito vantato dalla Artesistem s.n.c. nei confronti di A.P. in forza di atto di cessione del 2/8/2007, “documento idoneo a fornire adeguata prova dell’avvenuta cessione”.

La corte, poi, quanto al merito della vertenza, ha ritenuto la fondatezza della domanda proposta dall’attrice così come avanzata nel giudizio di primo grado.

La corte, sul punto, dopo aver stabilito che la domanda dell’Artesistem doveva ritenersi proposta unicamente nei confronti di A.P. in proprio, con esclusione, quindi, di ogni pretesa nei confronti della A. Costruzioni s.p.a., ha ritenuto che il tribunale avesse erroneamente affermato, in accoglimento dell’eccezione avversa, che l’obbligazione di pagamento di A.P. era stata estinta dalla A. Costruzioni s.p.a..

Secondo la corte, al contrario, non solo il fatto non risulta provato ma la stessa eccezione deve ritenersi inammissibile “essendo inammissibile la relativa domanda riconvenzionale così come formulata e successivamente modificata nel corso del giudizio di primo grado”: “… sia perchè la società non era il soggetto convenuto in giudizio, sia perchè la domanda non dipendeva, ex art. 36 c.p.c., dal titolo dedotto in giudizio dall’odierna appellante e sia perchè frutto di un tardivo ed inammissibile mutamento avvenuto in dispregio delle norme procedurali” per cui “la domanda riconvenzionale, proposta dalla A. Costruzioni Spa andava dichiarata inammissibile, posta la carenza di legittimazione della stessa, nonchè il diverso titolo posto a fondamento della pretesa, del tutto estraneo e differente rispetto al petitum ed alla causa petendi della domanda principale”.

La corte, quindi, ha accolto il gravame spiegato e, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato A.P., in proprio, al pagamento della somma dovuta per l’esecuzione dei lavori, così come accertati e quantificati dalla Ric. 2019 n. 13517 – Sez. 6-2 – c.c. 3 luglio 2020 consulenza tecnica d’ufficio, pari ad Euro 28.800, 34, oltre interessi e spese.

A.P., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della A. Costruzioni s.r.l., con ricorso notificato il 15/4/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza pronunciata dalla corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

Ab.Lu. e Ab.Vi. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 c.c. nonchè dell’art. 2704 e degli artt. 1260 e ss. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha riconosciuto agli appellanti la legittimazione all’impugnazione della sentenza che ha rigettato la domanda proposta dalla società attrice la quale, nel corso del giudizio di primo grado, e precisamente in data 7/11/2007, è stata cancellata dal registro delle imprese.

1.2. Ed infatti, ha osservato il ricorrente, escluso ogni rilievo al fatto che Ab.Lu. era l’amministratore della società attrice, avendo perduto il potere di rappresentanza di una società ormai estinta, trova applicazione, relativamente ai crediti già vantati dalla stessa, il principio per cui, in caso di cancellazione volontaria di una società dal registro delle imprese in pendenza di un giudizio introdotto dalla società medesima, si presume che quest’ultima abbia rinunziato alla pretesa relativa al credito.

1.3. Nè, ha aggiunto il ricorrente, rileva l’atto di cessione volontaria del credito da parte della società attrice in favore dei suoi soci. La relativa scrittura privata, infatti, come da subito eccepito innanzi alla corte d’appello, essendo priva di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c., è inidonea a dimostrare che la società cedente abbia trasferito il diritto vantato prima della sua estinzione.

2. Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata, infatti, non risulta aver in alcun modo trattato la questione concernente la sussistenza, o meno, nella scrittura privata di cessione del credito della società in favore dei suoi soci, di una data certa anteriore all’estinzione della società cedente. Il ricorrente, dal suo canto, ad onta di quanto affermato in ricorso (cfr. p. 4, primo rigo, p. 9, primo rigo, del ricorso), non ha in alcun modo sollevato, nella comparsa di costituzione nel giudizio d’appello quale risulta depositata tra gli atti del giudizio di merito, la questione dell’inopponibilità dell’atto di cessione del credito controverso per difetto di data certa. Ed è, invece, noto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001).

3. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha accolto la domanda già proposta dalla società attrice ritenendo che il versamento del corrispettivo da parte della A. Costruzioni non è stato provato, senza fornire, tuttavia, alcuna motivazione.

4. Il motivo è inammissibile. Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti con la conseguenza che, ove la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 4293 del 2016). Nel caso in esame, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, per carenza assoluta di motivazione, esclusivamente nella parte in cui ha ritenuto che il pagamento non era stato provato in giudizio: ma non anche, con la dovuta specificità, lì dove la stessa sentenza ha ritenuto (non importa, ai fini in esame, se a torto o a ragione) che l’eccezione di intervenuto pagamento da parte della A. Costruzioni era inammissibile.

5. Il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese processuali, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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