Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18930 del 17/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18930 Anno 2018
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE

ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 9984/2013 R.G. proposto da

Linea Azzurra Trading Sri,

rappresentata e difesa dall’Avv.

Pierluigi Muccari, presso il quale è elettivamente domiciliata, in
Roma via Po n. 9, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

Agenzia delle dogane,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
– con troricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del
Lazio n. 139/29/12, depositata il 22 maggio 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 marzo
2018 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Letta la memoria depositata dall’Avv. Pierluigi Muccari per la
società contribuente.

RILEVATO CHE
– a seguito di verifica presso il deposito doganale gestito dalla
società RCT Spa emergeva che la società Linea Azzurra Trading Srl
aveva omesso il versamento dell’Iva all’importazione attesa

Data pubblicazione: 17/07/2018

l’immissione solo virtuale di merce extra UE nel detto deposito, così
avvalendosi indebitamente del trattamento agevolativo della
sospensione del pagamento dell’Iva, ragion per cui l’Agenzia delle
dogane notificava avviso di rettifica per l’imposta non versata,
avverso il quale la società proponeva ricorso;
– l’impugnazione era respinta, decisione poi confermata dal giudice

– Linea Azzurra Trading Srl propone ricorso per cassazione con
cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso;
CONSIDERATO CHE
– il primo motivo denuncia violazione dell’art. 11, comma 5 bis,
d.lgs. n. 374 del 1990 e l’illegittimità dell’avviso di accertamento
per difetto di motivazione attesa l’omessa allegazione del verbale di
verifica ordinaria effettuato nei confronti del gestore del deposito;
– il motivo è inammissibile;
– l’obbligo della motivazione degli atti tributari può essere assolto
anche per relationem, “ovvero mediante il riferimento ad elementi
di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati
all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto
essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e
destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per
sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui
indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di
eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici
dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che
formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (v. da
ultimo Cass. n. 9323 del 11/04/2017);
– il giudice d’appello nell’affermare che “quanto alla motivazione
dell’avviso di accertamento, questa risulta sufficientemente indicata
nell’atto della ripresa Iva dovuta, come espressa negli avvisi di
rettifica emessi dall’Ufficio delle Dogane di Civitavecchia”,

ha

chiaramente ritenuto, in termini sintetici ma univoci, che l’atto

d’appello;

riproduceva il contenuto essenziale degli atti richiamati e dunque
sussisteva il presupposto di cui all’art. 11, comma 5 bis, cit. che
afferma la congruità della motivazione, e la legittimità dell’avviso,
ove quest’ultimo “ne riproduca il contenuto essenziale ai fini della
difesa”;
– la censura, a fronte di ciò, è carente per autosufficienza: la

integrità, non ha elencato dettagliatamente i fatti relativi alla
motivazione dell’atto che non sarebbero stati adeguatamente presi
in considerazione dalla CTR, né, infine, ha fornito elementi circa la
loro decisività, fermo restando che la porzione dell’avviso riportata
nel corpo del ricorso (pag. 43) evidenzia che la motivazione dello
stesso “si richiama a quella del processo verbale di revisione
dell’accertamento elevato nei confronti della società” “nel quale si legge quanto segue: “come da processo
verbale di constatazione prot. n. 2506 del 14/02/2007 le merci non
venivano scaricate all’interno del deposito, né subivano alcun tipo
di manipolazione, atteso che i container che trasportavano dette
merci, senza essere aperti, sostavano solo alcuni minuti sui relativi
mezzi di trasporto all’esterno del deposito”, ossia gli esatti termini
in fatto della questione in giudizio;
– il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.,
violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. per non aver la
CTR valutato tutte le risultanze di causa, avendo affermato che le
merci sono state tenute all’esterno del deposito mentre il veicolo
che le trasportava si era introdotto all’interno dello stesso;
– il motivo è inammissibile;
– la contestazione, pur articolata come violazione di legge, investe,
in realtà, il ragionamento e la valutazione dei singoli elementi di
fatto operata dal giudice di merito, doglianza che, quindi, integra
una censura motivazionale;

ricorrente non ha riprodotto l’avviso di accertamento nella sua

- la censura, in ogni caso, è del tutto carente di decisività, non
ponendo minimamente in questione la circostanza, effettivamente
rilevante ed accertata dal giudice d’appello, che la merce
trasportata non è stata né scaricata, né stoccata in magazzino, ma
è rimasta per tutto il (breve) tempo sul mezzo di trasporto, senza
essere sottoposta ad alcuna verifica o controllo, ed è stata, subito

via con lo stesso mezzo;
– il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 50
bis, lett. b, dl. n. 331 del 1993, conv. nella I. n. 427 del 1993, e
dell’art. 4, d.m. 20 ottobre 1997, n. 419; nell’articolazione del
motivo, inoltre, la ricorrente deduce la propria buona fede;
– il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 50 bis, comma 4,
lett. b, d.l. n. 331 del 1993, conv. dalla I. n. 427 del 1993, 4, d.m.
20 ottobre 1997, n. 419, in relazione allo ius superveniens, ossia
all’art. 16, comma 5 bis, dl. n. 185 del 2008, conv. in I. n. 2 del
2009, come modificato dall’art. 8, comma 21 bis, d.l. n. 12 del
2012, conv. dalla I. n. 44 del 2012 e dall’art. 34, comma 44, dl. n.
179 del 2012, conv. dalla I. n. 221 del 2012;
– il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del
1972

per

l’illegittima

duplicazione

dell’imposta,

soddisfatta

mediante autofattura;

i motivi che precedono, da esaminare unitariamente per

connessione logica, sono fondati;
– la questione, relativa al regime del cd. deposito doganale, è stata
oggetto di ampia elaborazione da parte sia della Corte di Giustizia,
più volte intervenuta (v. Corte di Giustizia, 18 dicembre 2008,
Sopropé, C-349/07, e, da ultimo, Corte di Giustizia, 17 luglio 2014,
Equoland, C-272/13), che della Suprema Corte (v. Cass. n. 15988
del 29/07/2015; Cass. n. 16109 del 29/07/2015; Cass. n. 17815
del 08/09/2015; Cass. n. 10911 del 26/05/2016; da ultimo v.
Cass. n. 12231 del 17/05/2017);

4

dopo lo svolgimento delle operazioni di mera registrazione, portata

- la sentenza Equoland,

in particolare, ha confermato la piena

compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in
tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel
deposito Iva, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di
determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del
deposito fiscale da cui derivare il beneficio dell’esenzione del

direttiva CEE, poiché “… spetta agli Stati membri determinare le

formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter
beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA in base alla
suddetta disposizione …”;
– con riguardo, specificamente, alla normativa nazionale, ha poi
aggiunto che “… il legislatore italiano ha previsto che, al fine di

poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA
all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre
fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poiché si
presume che tale presenza fisica garantisca la successiva
riscossione dell’imposta”, obbligo che ha carattere formale ma è
rilevante in quanto “…

è atto a permettere di conseguire

efficacemente gli obiettivi perseguiti”,

senza eccedere

“quanto

necessario per conseguire i suddetti obiettivi”;

diversa

valutazione,

invece,

è

stata

operata

quanto

all’assolvimento dell’Iva nell’ambito del meccanismo dell’inversione
contabile mediante autofatturazione che – secondo la Corte di
Giustizia, a prescindere dai profili strettamente sanzionatori ivi
specificamente considerati, qui non rilevanti – “…

consente di

contrastare l’evasione e l’elusione fiscale” sicché la richiesta “di un
nuovo pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo
pagamento conferisca un diritto di detrazione, non può considerarsi
conforme al principio di neutralità dell’IVA”;
– l’introduzione solo virtuale della merce importata nel deposito
fiscale comporta, quindi, che l’Iva era dovuta al momento

pagamento dell’Iva ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della sesta

dell’importazione sicché il pagamento mediante il meccanismo
dell’inversione contabile costituisce un adempimento tardivo
dell’imposta sul valore aggiunto; tale versamento tardivo, tuttavia,
in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello
Stato, è suscettibile di integrare solo una violazione formale che
non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto

– ne deriva, secondo la Corte di Giustizia, che, in considerazione del
ruolo preponderante del diritto a detrazione nel sistema comune
dell’imposta sul valore aggiunto, diretto a garantire la perfetta
neutralità fiscale di tale imposta rispetto a tutte le attività
economiche, una sanzione tale da tradursi in un diniego del diritto
a detrazione non è conforme alla sesta direttiva in mancanza di
frode o danno per il bilancio dello Stato;
– i principi sopra esposti sono sicuramente rilevanti nella vicenda in
esame, in cui si controverte della rettifica relativa all’Iva
all’importazione a carico dell’importatore che si era limitato ad
inserire virtualmente la merce immessa in libera pratica nel
deposito Iva;
– orbene, in applicazione degli enunziati principi:
a) è conforme a legge la statuizione che ha ribadito la necessità
dell’effettivo inserimento della merce nel deposito Iva; l’art. 50 bis
cit., infatti, postula una introduzione effettiva – irrilevante
l’effettività del contratto di deposito ai fini civilistici – e ciò si ricava
da una pluralità di elementi univoci:
– la necessità dell’esistenza di appositi spazi destinati alla custodia
dei beni si desume, anzitutto, dall’esplicito riferimento ai locali
contenuto nel comma 1 dell’art. 50 bis, nonché dalla necessità ivi
prevista – comma 4, lett. a) – che i beni vengano materialmente
introdotti nel deposito;
– anche il comma 6, laddove descrive le operazioni di “estrazione”
dei beni dal deposito Iva ai fini della loro utilizzazione presuppone

passivo;

ineludibilmente il materiale inserimento della merce in deposito,
potendosi interpretare solo in tal senso la norma ove considera gli
acquisiti operati sui beni prima dell’estrazione “durante la giacenza
fino al momento dell’estrazione”;
– il comma 5, infine, prevede che i controlli doganali si effettuino
attraverso la “vigilanza dell’impianto”;

gestire il deposito devono previamente individuare i locali di cui
hanno la disponibilità destinati alla custodia dei beni loro affidati
(art. 2, comma 3, del d.m. n. 419/1997) e l’art. 4, lett. h) dello
stesso d.m. ha previsto la possibilità di eseguire le eventuali
manipolazioni usuali necessarie ad assicurare la conservazione dei
beni medesimi nei locali limitrofi a quelli ordinariamente impiegati
per la custodia delle merci in regime di deposito IVA, considerando
dunque indispensabili i primi;
– le modalità attuate ed accertate dalla CTR, e sopra evidenziate,
sono meramente cartolari ed assolvono, dunque, ad un deposito
virtuale e non ad un deposito effettivo;
b) in mancanza della regolare introduzione nel deposito IVA, la
merce non

poteva che considerarsi come oggetto di

un’importazione definitiva ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 633 del
1972, giustificando, pertanto, ai sensi dell’art. 78 del Regolamento
CEE n. 2913/1992 e dell’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990,
l’operato

dell’Ufficio

doganale

in

punto

di

rettifica

della

dichiarazione di immissione;
c) non è poi persuasivo – come già rilevato da questa Corte (Cass.
n. 17815 del 08/09/2015) – il richiamo agli ulteriori interventi
normativi che si sono susseguiti rispetto allo ius superveniens di cui
all’art. 16, comma 5-bis, d.l. n. 185 del 2008, conv. dalla I. n. 2 del
2009, all’art. 8, comma 21 bis, dl. n. 16 del 2012, inserito dalla
legge di conversione n. 44 del 2012 e all’art. 34, comma 44, dl. n.
179 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 221 del 2012,

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– nell’istanza di autorizzazione, del resto, i soggetti legittimati a

neppure avendo la società dedotto di avere svolto prestazioni di
servizi alle quali si riferisce la lett. h) dell’art. 50 bis, comma 4, e
venendo in discussione unicamente la mancata osservanza della
previsione di cui alla lett. b) del comma 4 dell’art. 50 bis cit;
d)

quanto,

infine,

all’assolvimento

dell’Iva

interna

con

il

meccanismo del reverse charge sull’omesso versamento dell’Iva

esposti, avendo la Corte di Giustizia affermato costituire modalità
idonea a soddisfare l’obbligo impositivo;
– ne deriva che, nella vicenda in esame, l’avvenuto pagamento
dell’imposta mediante l’autofatturazione comporta l’assolvimento,
ancorché con modalità non regolari, dell’obbligazione tributaria,
risolvendosi l’utilizzo meramente virtuale del deposito fiscale in una
violazione solo formale, non rilevante nel presente giudizio;
– il ricorso va dunque accolto e la sentenza cassata; non essendovi
necessità di ulteriori accertamenti di merito, va accolto l’originario
ricorso del contribuente;
– la peculiarità della fattispecie e l’intervento, nelle more del
giudizio di cassazione, della decisione della Corte di Giustizia,
risolutiva delle questioni in diritto, giustifica la compensazione delle
spese dell’intero giudizio;
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso e
dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della
contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 22 marzo 2018

all’importazione, la questione va risolta alla luce dei principi sopra

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