Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18930 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. II, 11/09/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 11/09/2020), n.18930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19619-2015 proposto da:

O.M., O.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

LARGO LUIGI ANTONELLI, 10, presso lo studio dell’avvocato CATERINA

DE GAETANO, rappresentati e difesi dall’avvocato NUNZIO CURRAO;

– ricorrenti –

contro

O.P.A., O.R., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA VENTI SETTEMBRE 98/G, presso lo studio dell’avvocato

GUIDO GUIDI BUFFARINI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANDREA NICATORE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 535/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 16/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Chiavari in accoglimento della domanda di risarcimento danni di O.P., O.R. e C.M. in relazione alla violazione da parte di O.M. e O.G. del verbale di conciliazione giudiziale relativo all’esecuzione di lavori di rifacimento della copertura dell’edificio sito in (OMISSIS), li condannava al pagamento della somma di Euro 4256 e alla corresponsione della somma di Euro 480 per ogni mese a decorrere dal 5 marzo 2009, sino al saldo. Il Tribunale viceversa respingeva le domande svolte in via riconvenzionale dai convenuti, i quali proponevano appello.

2. La Corte d’Appello di Genova respingeva l’appello proposto da O.M. e O.G. e confermava la sentenza del Tribunale di Chiavari.

In particolare, il giudice del gravame rilevava la responsabilità degli appellanti in relazione al tentativo di sottrarsi a quanto stabilito nel verbale di conciliazione giudiziale, perchè la questione della copertura a falde inclinate, anzichè piana, del tetto il cui rifacimento era oggetto della controversia sfociata nella suddetta conciliazione, poteva e doveva essere posta in quella sede. Risultava, invece, che perfino un anno dopo la suddetta conciliazione, il difensore degli appellanti aveva scritto al difensore delle controparti che una volta conclusa la ristrutturazione del fabbricato, i suoi assistiti avrebbero dato corso alla pratica per la realizzazione del terrazzo sul corpo di fabbrica di loro proprietà. Dunque, gli stessi appellanti, anche dopo un anno e mezzo dalla conciliazione, non qualificavano la trasformazione da copertura a falde inclinate a copertura piana, come condizione indispensabile per addivenire alla comune ristrutturazione del fabbricato, in conformità agli impegni assunti con la conciliazione giudiziale del 2006. La controversia conciliata, peraltro, non aveva ad oggetto la questione della conformazione a falda piana della copertura del corpo superiore dell’edificio e, infatti, il consulente tecnico non aveva trattato il tema e la conciliazione prevedeva il rifacimento della copertura del tetto senza indicare che dovesse essere trasformato in tetto piano.

Il fatto che da alcune tracce visibili si potesse desumere che in origine il tetto fosse piano non rilevava e, tantomeno, legittimava il palese inadempimento degli appellanti all’accordo conciliativo. Peraltro, presso il Comune di Sestri Levante non c’era alcuna documentazione in tal senso e la questione dell’abuso edilizio paesistico era stata posta in via amministrativa per la prima volta nel 2009 e si era attivato il servizio urbanistico ed edilizio del Comune, che aveva costretto gli appellati a chiedere il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione della copertura a falde. Tutto ciò, dunque, non giustificava l’inadempimento degli appellanti che, peraltro, non avevano mai invocato l’annullamento della transazione. Infine, anche in riferimento alla quantificazione dei danni sofferti, la Corte d’Appello respingeva il motivo di gravame, ritenendo che la liquidazione degli stessi si era basata correttamente sugli esiti della consulenza tecnica che aveva stimato l’aggravamento dei danni subiti dall’unità immobiliare per effetto della mancata ristrutturazione, nonchè il canone mensile medio che avrebbe avuto tale unità nel periodo in cui poteva essere utilizzata, se non ci fosse stato l’ostacolo all’attuazione delle opere di ristrutturazione.

3. O.M.G. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo.

4. O.P.A. e O.R. hanno resistito con controricorso.

5. Con memorie depositate in prossimità dell’adunanza camerale del 22 ottobre 2019 entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive richieste.

6. La trattazione del ricorso è stata rinviata all’adunanza camerale del 19 febbraio 2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, in relazione all’art. 1418 c.c., nullità assoluta del verbale di conciliazione redatto tra le parti il 6 ottobre 2006 innanzi al Tribunale di Chiavari per violazione dell’art. 1418 c.c.

A parere dei ricorrenti la decisione impugnata si fonda sul presupposto della validità dell’intercorsa conciliazione tra le parti sottoscritta innanzi al Tribunale di Chiavari nel 2006, mentre la questione dell’abuso edilizio era sorta dopo la sottoscrizione del verbale di conciliazione.

Pertanto, la Corte avrebbe dovuto valutare la validità della conciliazione alla luce della possibilità dell’opera, in quanto era accertata la circostanza che il tetto a falde fosse stato realizzato abusivamente, senza l’autorizzazione amministrativa paesistica.

Di conseguenza il negozio intercorso tra le parti era viziato da nullità assoluta per la mancata indicazione nell’atto degli elementi identificativi dei titoli amministrativi legittimanti l’esistenza del manufatto. Infatti, i ricorrenti, dopo aver sottoscritto il verbale di conciliazione, si erano posti il problema della legittima esistenza del tetto di copertura a falde inclinate ed effettuate opportune ricerche avevano appurato che non vi era traccia della realizzazione di tale tetto e avevano comunicato tale dato al Comune di Sestri Levante.

Il carattere abusivo dell’opera era provato anche dal fatto che i controricorrenti avevano presentato al Comune di Sestri Levante una domanda di sanatoria edilizia respinta dall’amministrazione.

In conclusione, il verbale di conciliazione giudiziale sarebbe affetto da nullità assoluta, nullità che la Corte aveva l’obbligo di rilevare d’ufficio.

Peraltro, qualora non si dovesse ritenere applicabile la L. n. 47 del 1985, art. 40 per mancanza dell’effetto traslativo del negozio stipulato con la conciliazione giudiziale, in ogni caso lo stesso sarebbe nullo ex art. 1418 c.c.

1.2 Il motivo è da rigettare.

I ricorrenti chiedono che si accerti la nullità di una conciliazione giudiziale della quale, tuttavia, omettono di riportare il contenuto, precludendo a questa Corte di poter valutare nel merito la censura sollevata.

La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di un accordo negoziale ha l’onere di riportare unitamente ai rilievi contenuti nel ricorso, in ossequio al principio di specificità, la trascrizione del contenuto dell’accordo, al fine di consentire alla Corte di verificare la sussistenza del vizio denunciato.

In ogni caso giova ribadire che: “La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3 di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato” (Sez. U, Sent. n. 8230 del 2019).

Nella specie, gli stessi ricorrenti evidenziano che trattandosi di una conciliazione giudiziale relativa all’esecuzione di lavori di rifacimento della copertura dell’edificio sito in (OMISSIS), la stessa non aveva ad oggetto il trasferimento di diritti reali. Ne consegue che ai fini della validità del verbale di conciliazione non era necessaria l’indicazione del titolo abilitativo.

Inoltre, con la sentenza delle sezioni unite sopra citate si è anche precisato che la (presunta) nullità in esame non può esser sussunta nell’orbita della nullità c.d. virtuale di cui all’art. 1418 c.c., comma 1 che presupporrebbe l’esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili, e tale divieto, non trova riscontro in seno allo jus positura, che, piuttosto, enuncia specifiche ipotesi di nullità (Sez. U, Sent. n. 8230 del 2019). Peraltro, nella specie, stante la genericità dei rilievi del ricorrente non è dato individuare neanche con esattezza quale violazione di legge si sarebbe concretizzata nella stipula della conciliazione giudiziale oggetto dell’inadempimento dei ricorrenti.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2000 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributio unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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