Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1893 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1893

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10516/2014 R.G. proposto da:

PARTECIPAZIONI TECNOLOGICHE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. prof.

Pasquale Russo, dall’avv. Francesco Padovani e dall’avv. prof.

Guglielmo Fransoni, presso il cui studio in Roma, viale Bruno

Buozzi, n. 102, è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 109/14/13, depositata il 27 febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 novembre

2020 dal consigliere Dott. Cataldi Michele.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Intecs Informatica e Tecnologia del Software s.p.a. (successivamente divenuta Partecipazioni Tecnologiche S.p.a.), dopo aver liquidato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2004 il versamento Irap dovuto nella misura di Euro 211.048,00, non ha eseguito il pagamento nel termine legale del 20 luglio 2005, ma solo il 28 dicembre 2006. Pertanto l’Ufficio, a seguito di controllo formale D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis, rilevato il tardivo versamento dell’imposta, ha notificato alla contribuente la cartella di pagamento per l’importo dovuto a titolo di interessi e sanzioni per il ritardato versamento.

La società ha impugnato l’atto dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Roma, invocando l’applicazione dell’esimente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, dovendo ravvisarsi l’obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma, atteso che, durante il decorso del termine per effettuare il versamento, era pendente dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee il giudizio relativo alla compatibilità dell’Irap con il diritto comunitario (in particolare con la sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 7/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari) e due Avvocati Generali della Corte avevano già rassegnato conclusioni nel senso dell’incompatibilità.

Tale giudizio si è poi concluso nel senso della compatibilità dell’Irap con la direttiva comunitaria in materia d’Iva (Corte Giustizia Unione Europea, Grande Sezione, sentenza 3 ottobre 2006, nel procedimento C-475/03).

L’adita CTP ha respinto il ricorso.

Proposto appello dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale del Lazio lo ha rigettato con la sentenza n. 109/14/13, depositata il 27 febbraio 2013, avverso la quale la stessa contribuente propone ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi.

L’Ufficio resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente contribuente lamenta la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essersi il giudice a quo pronunciato anche sulla debenza dell’Irap, che non era tuttavia contestata in giudizio dalla contribuente, la quale infatti ha anche spontaneamente adempiuto l’imposta, sebbene solo all’esito della pronuncia della Corte di giustizia che ne ha confermato la compatibilità con le norme comunitarie.

Il motivo è inammissibile.

Invero, la lettura complessiva della motivazione della sentenza impugnata evidenzia che il giudice d’appello ha trattato la questione della debenza dell’Irap come una mera premessa della successiva decisione sull’applicabilità dell’esimente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, che integra quindi l’unica ratio decidendi effettivamente espressa.

Inoltre, l’assunta ultrapetizione della CTR, ravvisata dalla ricorrente nella riaffermazione che l’Irap era dovuta, non è idonea comunque ad incidere concretamente sulla definizione della lite, essendo incontestati in questa sede l’an ed il quantum debeatur dell’imposta. Non sussiste, quindi, un interesse della ricorrente ad impugnare per tale motivo la sentenza, nella parte in cui comunque riafferma tali dati incontestati.

2. Con il secondo motivo la contribuente lamenta la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, per la motivazione meramente apparente o inesistente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il motivo è infondato.

Infatti, la Corte territoriale ha espresso, in ordine all’applicabilità dell’esimente in parola, una motivazione che, per quanto estremamente sintetica e da integrare sotto il profilo giuridico, non si riduce ad un mero segno grafico e non è inferiore al minimo costituzionale, non potendo quindi ritenersi meramente apparente ovvero sostanzialmente omessa.

Inoltre, anticipando quanto si dirà esaminando il terzo motivo, si deve rilevare che la CTR ha adottato una decisione corretta sul piano giuridico, per cui deve applicarsi il principio, già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ” La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto.” (Cass., S.Un., 02/02/2017, n. 2731).

Pertanto, “Il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perchè meramente apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c.” (Cass. 01/03/2019, n. 6145).

3. Con il terzo motivo la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR escluso l’applicabilità, al caso di specie, dell’esimente, applicabile nella ricorrenza delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma, derivanti dalla pendenza dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel corso del termine per effettuare l’adempimento dell’imposta, della causa relativa alla compatibilità dell’Irap con le norme ed i principi comunitari; nonchè dal fatto che due Avvocati Generali della stessa Corte avessero rassegnato conclusioni sfavorevoli alla compatibilità di tale imposta con la VI Direttiva Iva; ed infine dal fatto che dottrina e giurisprudenza avessero assunto posizioni discordanti sul punto.

3.1. Il motivo è infondato.

Invero (come esposto nello stesso ricorso) va considerato la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, come modificato dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 1, convertito dalla L. 31 luglio 2005, n. 156, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di entrate”, che ha introdotto la disposizione secondo cui “in ogni caso non costituisce condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria.”.

Pertanto, per le violazioni commesse a decorrere dall’entrata in vigore del D.L. n. 106 del 2005, la sanzione tributaria va applicata anche nel caso in cui il contribuente non abbia assolto il proprio obbligo tributario confidando nella caducazione della norma relativa, in relazione ad un giudizio pendente circa la legittimità della norma stessa.

La novella di cui al D.L. n. 106 del 2005, art. 1 è stata introdotta proprio allo scopo di scoraggiare l’omissione dei versamenti dovuti ai fini Irap, in considerazione del giudizio già pendente, a seguito di rinvio pregiudiziale, presso la Corte di Giustizia, circa la compatibilità del tributo con la disciplina comunitaria in materia di Iva, nel quale l’Avvocato Generale aveva concluso per l’incompatibilità.

In questo senso, si leggano ad esempio già i relativi lavori preparatori, ed in particolare la nota di lettura del servizio del bilancio del Senato, nella quale si richiama altresì la relazione tecnica circa ” la necessità di neutralizzare i possibili effetti, in termini di riduzione dell’autotassazione IRAP, delle conclusioni formulate dall’Avvocato generale della Corte UE nei confronti dell’IRAP (di cui si chiede la soppressione) e che ancora non si sono tradotte in sentenza definitiva”, e si considera che “il presente articolo è volto ad introdurre disposizioni di tutela del gettito preventivato a titolo di IRAP”.

La medesima ratio (uniformemente riconosciuta anche dalla dottrina) traspare poi dalla rubrica dello stesso D.L. n. 106 del 2005, art. 1 (“Disposizioni in materia di versamenti dell’imposta regionale sulle attività produttive, di riscossione e di notifica delle cartelle di pagamento”), che ben evidenzia come la novella dell’esimente della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, trovi la sua occasio legis proprio in materia di Irap.

Essa, inoltre, trova indiretta conferma nel preambolo del successivo D.L. 7 giugno 2006, n. 206, convertito dalla L. 17 luglio 2006, n. 234 (il cui art. 1 ha esteso alle violazioni dei doveri di versamento degli acconti e del saldo Irap per il 2006 l’esclusione dai benefici di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, e dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma 2, già disposta dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3), che menziona la “straordinaria necessità ed urgenza di assicurare la regolarità dei versamenti in materia di imposta regionale sulle attività produttive (Irap) nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in merito alla compatibilità comunitaria del tributo stesso”.

Ancora, la ratio del D.L. n. 106 del 2005, art. 1 emerge anche dalla lettura dei commi successivi al primo, nei quali il legislatore ha dettato specifiche disposizioni volte ad indurre i contribuenti a rispettare i loro obblighi di versamento del tributo Irap per i periodi d’imposta 2004 (con riferimento al saldo) e 2005, senza considerare i possibili esiti del giudizio attualmente pendente presso la Corte di Giustizia.

In particolare, con il comma 3 è stato previsto che, in caso di violazione degli obblighi di versamento Irap, a saldo per il 2004 o in acconto per il 2005, non trovano applicazione le disposizioni in materia di riduzione delle sanzioni per il caso di “ravvedimento operoso” e per il caso in cui il contribuente provveda a pagare le imposte dovute entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione dell’anomalia riscontrata da parte dell’Agenzia delle entrate sulla base dei controlli automatici delle dichiarazioni presentate. E questa Corte ha evidenziato che tale disposizione, “testualmente riferita a un periodo di imposta limitato e ben definito (Irap dovuta per l’anno 2004 e versamenti in acconto e a saldo dovuti per la stessa imposta nell’anno successivo) era correlata nella sua genesi alla contingente pendenza della questione pregiudiziale rimessa avanti la Corte di Giustizia C.E. in ordine alla compatibilità dell’IRAP con l’ordinamento comunitario onde si riteneva evidentemente da parte del legislatore che l’attesa o la speranza di una pronuncia della Corte Europea che ne sancisse l’illegittimità potesse spingere alla violazione dell’obbligo di imposta e con la prevista esclusione dell’applicabilità della riduzione delle sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 13 si voleva a tanto contrapporre un disincentivo” (Cass. 20/03/2019, n. 7826, in motivazione).

Significativa, poi, della doverosità del versamento dell’imposta a prescindere dalle attese riposte nella sua eventuale futura eliminazione o riduzione, è anche la riaffermazione, nel successivo comma 4, della facoltà del contribuente di portare in compensazione il tributo versato in eccesso, in caso di successivo riordino del tributo.

3.2. Tanto premesso, proprio l’indiscussa ed esplicita ratio

genetica della novella conduce ad interpretare (a differenza di quanto assunto dalla ricorrente nel ricorso di primo grado) la formula “giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria” come comprensiva, oltre che della pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale, anche della rimessione alla Corte di Giustizia della Comunità Europea di una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla “legittimità comunitaria” della norma tributaria nazionale. E del resto entrambe le fattispecie sono accomunate dalla circostanza che l’oggetto del “giudizio”, sia pur in base a parametri e con effetti diversi tra loro, è la stessa “norma tributaria”, cosicchè per entrambe la riserva posta dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, risponde all’esigenza di regolare gli effetti della pendenza di tali procedimenti rispetto alla certezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della disposizione tributaria in essi sub iudice. Inoltre, anche dal punto di vista testuale, l’assenza di un espresso riferimento testuale alla costituzionalità della norma esclude che la formula “legittimità” debba essere letta necessariamente ed univoca mente “legittimità costituzionale”, in modo da disconoscere l’indiscussa ratio della novella de qua.

Tale soluzione, del resto, è coerente con la considerazione che il presupposto per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia – ovverosia il dubbio sull’interpretazione del diritto dell’Unione che non sia manifestamente pretestuoso, irragionevole, o irrilevante per la decisione e non possa risolversi in base a precedenti comunitari- non implica, di per sè solo, necessariamente anche quelle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria italiana, contemplata dallo Statuto del contribuente, art. 10, comma 3.

Alle medesime conclusioni, peraltro, questa Corte era già pervenuta in altra fattispecie, rilevando che la pendenza di un giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia “di per sè non denuncia nè determina incertezza interpretativa ed equivocità della norma, essendo compito istituzionale della Corte di Giustizia non quello di interpretare testi normativi ambigui, bensì quello di verificare se le denunciate norme delle legislazioni nazionali degli stati membri si pongano in contrasto con direttive comunitarie.” (Cass. 26/10/2011, n. 22252, in motivazione). La formula della riserva (“in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria”) di cui all’ultimo periodo della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, va dunque interpretata nel senso che la mera pendenza di un giudizio sulla legittimità costituzionale o comunitaria di una norma tributaria nazionale non è, di per sè sola, idonea a generare l’obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della stessa norma.

Tuttavia, come assume sul punto la ricorrente, qualora emergano altrimenti condizioni obbiettive di incertezza, indipendenti dalla pendenza dei predetti giudizi sulla legittimità della norma tributaria, la mera circostanza che quest’ultima sia stata anche oggetto di rimessione alla Corte Costituzionale o di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non esclude a priori l’esimente.

In questo senso, del resto, depone anche la recente giurisprudenza di questa Corte, laddove, elencando una serie esemplificativa di possibili indici da valutare ai fini dell’accertamento dell’obbiettiva incertezza normativa esimente, continua a menzionare anche “l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale” (Cass. 13/06/2018, n. 15452).

3.3. Nel caso sub iudice, pertanto, l’applicabilità, o meno,

dell’esimente dipende dalla ricorrenza di indici (diversi ed indipendenti dalla pendenza del giudizio presso la Corte di giustizia) rivelatori delle obbiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria impositiva dell’Irap, dalla quale derivava l’obbligo della ricorrente di effettuare, tempestivamente, il saldo della stessa imposta.

Alcuni dei dati che possono essere eventualmente oggetto della verifica delle condizioni obbiettive di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, sono stati enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8)il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente.” (Cass. 13/06/2018, n. 15452). Riguardo, poi, alla prospettiva nella quale traguardare gli indici rivelatori fattuali che emergano, questa Corte ha chiarito che ” In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.” (Cass. 01/02/2019, n. 3108).

In particolare, poi, con riferimento al caso sub iudice, l’apprezzamento dell’inevitabilità o meno dell’assunta incertezza in ordine all’imposizione a titolo di Irap non può prescindere dal considerare che il legislatore, con il più volte richiamato D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 1, ha adottato una serie di disposizioni univocamente ed inequivocabilmente riaffermative, e rafforzative, dell’obbligo di versare il saldo dell’imposta del 2004 e l’acconto del 2005 anche in pendenza del giudizio generato dal rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, con ciò fugando ogni dubbio al riguardo ed escludendo quindi la pretesa ambiguità normativa.

Deve poi considerarsi che, nel caso di specie, la pretesa obbiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria impositiva dell’Irap è sostenuta dalla contribuente con argomentazioni che coincidono interamente con i dubbi sulla legittimità comunitaria della disposizione e quindi non esorbitano dal perimetro della pendenza del giudizio presso la Corte di giustizia, di per sè irrilevante ai sensi del ridetto della L. n. 212 del 2000, art. 10, la cui applicabilità va quindi esclusa.

Tanto premesso, deve poi aggiungersi che, in punto di diritto, nè l’ordinanza della CTP che ha richiesto alla Corte di Giustizia la pronuncia pregiudiziale sulla compatibilità dell’Irap con la VI Direttiva comunitaria in materia d’Iva; nè le conclusioni rassegnate dall’Avvocato generale della Corte, possono comunque integrare indici dell’obbiettiva incertezza esimente, atteso che essi sono parti costitutive e necessarie proprio di quel procedimento sulla “legittimità comunitaria” della norma tributaria interna, che l’ultimo periodo del ridetto dello Statuto del contribuente, art. 10, comma 3, considera ex se neutro al fine di escludere le sanzioni.

Quanto poi agli orientamenti giurisprudenziali contrastanti, la ricorrente, che aveva l’onere di allegare (e provare nel giudizio di merito) gli elementi costitutivi dell’esimente, si è limitata a menzionare nel motivo una pronuncia della CTR di Torino, che avrebbe disapplicato direttamente le norme costitutive dell’Irap per la loro incompatibilità con la disciplina comunitaria dell’imposta sulla cifra d’affari, ed un’altra, definita contrastante, della CTP di Venezia. Nel corpo del motivo tali decisioni non sono state riprodotte, neppure per massima o in parte, nè è stato indicato se esse siano state già prodotte nei giudizi di merito, con precisazione del grado e della fase nella quale ciò sia in ipotesi avvenuto. Il motivo è quindi generico e non autosufficiente in parte qua (cfr. ex plurimis Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. U., 03/11/2011, n. 22726).

Tanto premesso, deve pure considerarsi che, comunque, due sole pronunce di merito (delle quali neppure è noto ed evidenziato il contenuto specifico e l’effettiva contrapposizione) non possono, nell’ottica dello Statuto del contribuente, art. 10, comma 3, e della sua riferita interpretazione giurisprudenziale, assurgere ad espressione di “orientamenti giurisprudenziali” contrastanti che possano ingenerare nei contribuenti una condizione di inevitabile e scusabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria impositiva dell’Irap, o addirittura in radice sull’an debeatur della stessa.

Altrettanto generico, e quindi inammissibile in parte qua, è poi il richiamo della ricorrente all’assunto indice rivelatore costituito dal “contrasto di opinioni dottrinali” in materia, solo astrattamente evocato.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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