Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18929 del 17/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18929 Anno 2018
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE

ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 12448/2012 R.G. proposto da
Linea Azzurra Trading Sri,

rappresentata e difesa dall’Avv.

Pierluigi Muccari, presso il quale è elettivamente domiciliata, in
Roma via Po n. 9, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del
Lazio n. 221/37/11, depositata il 27 settembre 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 marzo
2018 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Letta la memoria depositata Sostituto Procuratore Generale
Umberto de Augustinis che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.
Letta la memoria depositata dall’Avv Pierluigi Muccari per la
società contribuente.
RILEVATO CHE

Data pubblicazione: 17/07/2018

- a seguito di verifica presso il deposito doganale gestito dalla
società RCT Spa emergeva che la società Linea Azzurra Trading Srl
aveva omesso il versamento dell’Iva all’importazione attesa
l’immissione solo virtuale di merce extra UE nel detto deposito, così
avvalendosi indebitamente del trattamento agevolativo della
sospensione del pagamento dell’Iva, ragion per cui l’Agenzia delle

– l’impugnazione, accolta dalla Commissione tributaria provinciale
di Roma, era respinta dal giudice d’appello;
– Linea Azzurra Trading Srl propone ricorso per cassazione con
cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso;
CONSIDERATO CHE
– il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
50 bis, lett. b, d.l. n. 331 del 1993, conv. nella I. n. 427 del 1993, e
dell’art. 4, d.m. 20 ottobre 1997, n. 419; nell’articolazione del
motivo, inoltre, la ricorrente deduce la propria buona fede;
– il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 16, comma 5 bis,
d.l. n. 185 del 2008, conv. in I. n. 2 del 2009;
– il terzo motivo denuncia omessa pronuncia in ordine al motivo
con cui era stata dedotta l’illegittimità dell’avviso di accertamento
per violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 per l’illegittima
duplicazione dell’imposta, soddisfatta mediante autofattura;
– il quarto motivo denuncia omessa pronuncia in ordine al motivo
con cui era stata dedotta l’illegittimità dell’avviso di rettifica per
violazione dell’art. 11, comma 5, d.lgs. n. 374 del 1990 perché
inapplicabile;
– il quinto motivo denuncia omessa pronuncia in ordine al motivo
con cui era stata dedotta l’illegittimità dell’avviso di rettifica per
violazione dell’art. 11, comma 5 bis, d.lgs. n. 374 del 1990 per
difetto di motivazione;

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dogane riprendeva a tassazione l’imposta non versata;

- il quarto ed il quinto motivo –

il cui esame va effettuato

unitariamente e prioritariamente, investendo la regolarità formale
dell’avviso di rettifica – sono infondati;
– è sicuramente vero, infatti, che la CTR ha omesso di pronunciare
sulle doglianze riproposte dalla contribuente in appello e riprodotte
in ricorso;

Suprema Corte, per il quale “alla luce dei principi di economia

processuale e della ragionevole durata del processo come
costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di
una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod.
proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa
pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può
omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e
decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto
posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la
pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della
sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della
causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non
richiede ulteriori accertamenti di fatto” (v.

Cass. n. 2313 del

01/02/2010; Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 21968 del
28/10/2015 e, da ultimo, Cass. n. 16171 del 28/06/2017);
– orbene, in ordine al quarto motivo, non sussiste la contestata
violazione: è sufficiente rilevare, infatti, che l’onnicomprensiva
formulazione dell’art. 11, comma 5, d.lgs. n. 374 del 1990
(sostanzialmente riprodotta nell’art. 78, comma 3, CDC “quando

dalla revisione …, risulti che le disposizioni che disciplinano il
regime doganale considerato sono state applicate in base ad
elementi inesatti od incompleti …”) si estende a qualsiasi ipotesi di
mancata od inesatta contabilizzazione dei diritti doganali, dovendo
ritenersi in essa unificate tutte le ipotesi attinenti sia agli “errori di

calcolo nella liquidazione o di erronea applicazione delle tariffe” che

– occorre, peraltro, richiamare il consolidato orientamento della

quelle concernenti

“l’erroneo od inesatto accertamento della

qualità, della quantità, del valore o della origine della merce”,
originariamente tenute distinte, conclusione che trova dirimente
conferma nella disposizione dell’art. 220 comma 1 CDC secondo cui
si procede al recupero del dazio risultante da una obbligazione
doganale tutte le volte che il relativo importo

“non sia stato

all’importo legalmente dovuto”,

sicché la verifica può riguardare

ogni altro elemento necessario per la liquidazione dei diritti
doganali (v. Cass. n. 25997 del 10/12/2014);
– parimenti infondato è la violazione dell’art. 11, comma 5 bis,
d.lgs. n. 374 del 1990 atteso che, come testualmente prevede la
norma, l’obbligo della motivazione degli atti tributari può essere
assolto anche per relationem, “ovvero mediante il riferimento ad
elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano
collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il
contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto,
contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e
sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la
cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di
eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici
dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che
formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (v. da
ultimo Cass. n. 9323 del 11/04/2017);
– nella specie, la ricorrente, da un lato, non ha neppure dedotto se
tale presupposto – ossia la riproduzione del contenuto essenziale fosse o meno presente, mentre, dall’altro, emerge dallo stesso
ricorso (che ha riprodotto l’integrale atto di appello, v. pag. 23 del
ricorso) che la motivazione dell’avviso di accertamento “si richiama
a quella del processo verbale di revisione dell’accertamento elevato
nei confronti della società” “nel quale si

legge quanto segue: “come da processo verbale di constatazione

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contabilizzato … o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore

prot. n. 2506 del 14/02/2007 le merci non venivano scaricate
all’interno del deposito, né subivano alcun tipo di manipolazione,
atteso che i container che trasportavano dette merci, senza essere
aperti, sostavano solo alcuni minuti sui relativi mezzi di trasporto
all’esterno del deposito”,

ossia gli esatti termini in fatto della

questione in giudizio;

per connessione logica, sono fondati;
– la questione, relativa al regime del cd. deposito doganale, è stata
oggetto di ampia elaborazione da parte sia della Corte di Giustizia,
più volte intervenuta (v. Corte di Giustizia, 18 dicembre 2008,

Sopropé, C-349/07, e, da ultimo, Corte di Giustizia, 17 luglio 2014,
Equoland, C-272/13), che della Suprema Corte (v. Cass. n. 15988
del 29/07/2015; Cass. n. 16109 del 29/07/2015; Cass. n. 17815
del 08/09/2015; Cass. n. 10911 del 26/05/2016; da ultimo v.
Cass. n. 12231 del 17/05/2017);
– la sentenza Equoland,

in particolare, ha confermato la piena

compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in
tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel
deposito Iva, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di
determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del
deposito fiscale da cui derivare il beneficio dell’esenzione del
pagamento dell’Iva ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della sesta
direttiva CEE, poiché “… spetta agli Stati membri determinare le

formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter
beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA in base alla
suddetta disposizione …”;
– con riguardo, specificamente, alla normativa nazionale, ha poi
aggiunto che “… il legislatore italiano ha previsto che, al fine di

poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA
all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre
fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poiché si

– il primo, il secondo e il terzo motivo, da esaminare unitariamente

presume che tale presenza fisica garantisca la successiva
riscossione dell’imposta”, obbligo che ha carattere formale ma è
rilevante in quanto “…

è atto a permettere di conseguire

efficacemente gli obiettivi perseguiti”,

senza eccedere

“quanto

necessario per conseguire i suddetti obiettivi”;

diversa

valutazione,

invece,

è

stata

operata

quanto

contabile mediante autofatturazione che – secondo la Corte di
Giustizia, a prescindere dai profili strettamente sanzionatori ivi
specificamente considerati, qui non rilevanti – “…

consente di

contrastare l’evasione e l’elusione fiscale” sicché la richiesta “di un
nuovo pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo
pagamento conferisca un diritto di detrazione, non può considerarsi
conforme al principio di neutralità dell’IVA”;
– l’introduzione solo virtuale della merce importata nel deposito
fiscale comporta, quindi, che l’Iva era dovuta al momento
dell’importazione sicché il pagamento mediante il meccanismo
dell’inversione contabile costituisce un adempimento tardivo
dell’imposta sul valore aggiunto; tale versamento tardivo, tuttavia,
in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello
Stato, è suscettibile di integrare solo una violazione formale che
non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto
passivo;
– ne deriva, secondo la Corte di Giustizia, che, in considerazione del
ruolo preponderante del diritto a detrazione nel sistema comune
dell’imposta sul valore aggiunto, diretto a garantire la perfetta
neutralità fiscale di tale imposta rispetto a tutte le attività
economiche, una sanzione tale da tradursi in un diniego del diritto
a detrazione non è conforme alla sesta direttiva in mancanza di
frode o danno per il bilancio dello Stato;
– i principi sopra esposti sono sicuramente rilevanti nella vicenda in
esame,

in cui si controverte della rettifica relativa all’Iva

()

all’assolvimento dell’Iva nell’ambito del meccanismo dell’inversione

all’importazione a carico dell’importatore che si era limitato ad
inserire virtualmente la merce immessa in libera pratica nel
deposito Iva;
– orbene, in applicazione degli enunziati principi:
a) è conforme a legge la statuizione che ha ribadito la necessità
dell’effettivo inserimento della merce nel deposito Iva; l’art. 50 bis

l’effettività del contratto di deposito ai fini civilistici – e ciò si ricava
da una pluralità di elementi univoci:
– la necessità dell’esistenza di appositi spazi destinati alla custodia
dei beni si desume, anzitutto, dall’esplicito riferimento ai locali
contenuto nel comma 1 dell’art. 50 bis, nonché dalla necessità ivi
prevista – comma 4, lett. a) – che i beni vengano materialmente
introdotti nel deposito;
– anche il comma 6, laddove descrive le operazioni di “estrazione”
dei beni dal deposito Iva ai fini della loro utilizzazione presuppone
ineludibilmente il materiale inserimento della merce in deposito,
potendosi interpretare solo in tal senso la norma ove considera gli
acquisiti operati sui beni prima dell’estrazione “durante la giacenza

fino al momento dell’estrazione”;
– il comma 5, infine, prevede che i controlli doganali si effettuino
attraverso la “vigilanza dell’impianto”;
– nell’istanza di autorizzazione, del resto, i soggetti legittimati a
gestire il deposito devono previamente individuare i locali di cui
hanno la disponibilità destinati alla custodia dei beni loro affidati
(art. 2, comma 3, del d.m. n. 419/1997) e l’art. 4, lett. h) dello
stesso d.m. ha previsto la possibilità di eseguire le eventuali
manipolazioni usuali necessarie ad assicurare la conservazione dei
beni medesimi nei locali limitrofi a quelli ordinariamente impiegati
per la custodia delle merci in regime di deposito IVA, considerando
dunque indispensabili i primi;

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cit., infatti, postula una introduzione effettiva – irrilevante

- le modalità attuate ed accertate dalla CTR (“la merce resta

sigillata all’interno del container del camion e “immessa in libera
pratica” dopo il semplice espletamento cartaceo di alcune
operazioni”) sono meramente cartolari ed assolvono, dunque, ad
un deposito virtuale e non ad un deposito effettivo;
b) in mancanza della regolare introduzione nel deposito IVA, la
non

poteva

di

che considerarsi come oggetto

un’importazione definitiva ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 633 del
1972, giustificando, pertanto, ai sensi dell’art. 78 del Regolamento
CEE n. 2913/1992 e dell’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990,
l’operato

dell’Ufficio

doganale

in

punto

di

rettifica

della

dichiarazione di immissione;
c) non è poi persuasivo – come già rilevato da questa Corte (Cass.
n. 17815 del 08/09/2015) – il richiamo allo ius superveniens di cui
all’art. 16, comma 5 bis, dl. n. 185 del 2008, conv. dalla I. n. 2 del
2009, neppure avendo la società dedotto di avere svolto
prestazioni di servizi alle quali si riferisce la lett. h) dell’art. 50 bis,
comma 4, e venendo in discussione unicamente la mancata
osservanza della previsione di cui alla lett. b) del comma 4 dell’art.
50 bis cit.;
d)

quanto,

infine,

all’assolvimento

dell’Iva

interna

con

il

meccanismo del reverse charge sull’omesso versamento dell’Iva
all’importazione, su cui la CTR ha omesso ogni statuizione, la
questione va risolta alla luce dei principi sopra esposti, avendo la
Corte di Giustizia affermato costituire modalità idonea a soddisfare
l’obbligo impositivo;
– ne deriva che, nella vicenda in esame, l’avvenuto pagamento
dell’imposta mediante l’autofatturazione comporta l’assolvimento,
ancorché con modalità non regolari, dell’obbligazione tributaria,
risolvendosi l’utilizzo solo virtuale del deposito fiscale in una
violazione solo formale, non rilevante nel presente giudizio;

merce

- il ricorso va dunque accolto e la sentenza cassata; non essendovi
necessità di ulteriori accertamenti di merito, va accolto l’originario
ricorso del contribuente;
– la peculiarità della fattispecie e l’intervento, nelle more del
giudizio di cassazione, della decisione della Corte di Giustizia,
risolutiva delle questioni in diritto, giustifica la compensazione delle

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso,
rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente. Compensa le
spese dell’intero giudizio.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 22 marzo 2018
Il Presidente
Biagio V gili

spese dell’intero giudizio;

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