Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18928 del 15/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/07/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 15/07/2019), n.18928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18818-2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede

dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli

avvocati RICCI MAURO, PULLI CLEMENTINA, CAPANNOLO EMANUELA;

– ricorrente –

contro

D.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 334,

presso lo STUDIO LEGALE PATTUMELLI-DI BELLA, rappresentata e difesa

dall’avvocato SERGIO LUCCHETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 546/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

Fatto

RILEVATO

Che:

la Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 3/2/2016, in riforma della sentenza del Tribunale, ha dichiarato il diritto di D.T. all’assegno ordinario di invalidità a decorrere dal giorno 1/1/2009 fino al 31/8/2011 e, successivamente, a partire dal giorno 1/10/2012, ed ha condannato l’Inps al pagamento dei ratei maturati maggiorati degli accessori di legge;

contro la sentenza l’Inps ha proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi, o, i quali si è opposta con controricorso la d.;

la proposta del relatore sensi dell’art. 380-bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

i motivi di ricorso dell’Inps sono i seguenti:

1) violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 222 del 1984, artt. 1 e 4, R.D. 14 aprile 1939, n. 636, art. 9, n. 2, convertito nella L. 6 luglio 1939, n. 1272, come successivamente sostituito dalla L. n. 218 del 1952, art. 2), art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4): la parte lamenta che la Corte di merito ha riconosciuto la prestazione senza accertare la sussistenza del requisito contributivo richiesto dalle norme richiamate, nonostante la questione fosse stata posta sia nella memoria difensiva di primo grado sia nella memoria difensiva di appello;

2. violazione e falsa applicazione delle stesse norme suindicate, nonchè dell’art. 2697 c.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e si ribadisce quanto già sostenuto nel primo motivo, ossia che il diritto è stato riconosciuto senza la previa verifica della sussistenza anche del requisito assicurativo e contributivo;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 222 del 1984, artt. 1 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè di altro complesso normativo, per aver violato le norme che regolano l’onere della prova circa la sussistenza del requisito contributivo, necessario per il diritto all’assegno;

4) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2006, art. 1, comma 1, e 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte territoriale rilevato che il requisito contributivo per l’assegno ordinario non può perfezionarsi con il ricorso alla cosiddetta totalizzazione;

5) violazione e falsa applicazione della L. n. 42 del 2006, art. 1, comma 2, della stessa, a norma del quale la facoltà di cumulare periodi assicurativi non coincidenti per il conseguimento della pensione può essere esercitata a condizione che il soggetto abbia compiuto il 65 anno di età;

i primi quattro motivi, che si connessione che li avvince, assorbimento del quinto; l’esistenza del requisito contributivo delle prestazioni giudizialmente pretese deve essere provata dall’assicurato e verificata, anche di ufficio, dal giudice;

la sua negazione da parte dell’Istituto assicuratore convenuto, in quanto integra una “mera difesa” e non una “eccezione in senso proprio”, sfugge alle preclusioni di cui agli artt. 416 e 437 c.p.c., ed è perciò idonea, anche se svolta oltre i limiti stabiliti da tali norme, a sollecitare il potere-dovere del giudice di accertare con i propri poteri ufficiosi l’eventuale carenza del suddetto requisito (Cass. 2 gennaio 2002, n. 2; Cass. 5 giugno 2003, n. 9005; Cass. 18 marzo 2014, n. 6264; Cass. 25 luglio 2016, n. 15306; da ultimo, Cass. 2/11/ 2017, n. 26094); non ha dunque pregio l’assunto difensivo della D., secondo cui l’Inps non aveva contestato se non genericamente la sussistenza del requisito contributivo, assunto peraltro smentito dalla puntuale trascrizione delle eccezioni sollevate dall’Inps sia in primo sia in secondo grado e dall’estratto contributivo, da cui risulta un totale di contributi presenti nel fondo pensioni lavoratori dipendenti inferiore a quello richiesto;

in base alla L. n. 222 del 1984, art. 4, rubricato “requisiti di assicurazione e di contribuzione per il riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità e alla pensione di inabilità”, ai fini del perfezionamento del diritto all’assegno di invalidità e alla pensione di inabilità di cui alla medesima legge, artt. 1 e 2, è richiesto il possesso dei requisiti di assicurazione di contribuzione stabiliti dal R.D.L. n. 636 del 1939, art. 9, n. 2, , convertito nella L. n. 1272 del 1939, come sostituito dalla L. n. 218 del 1952, art. 2: essi sono dati da un’anzianità assicurativa di cinque anni e dal possesso di tre anni di contributi, pari a 156 contributi settimanali, nel quinquennio precedente la domanda di prestazione;

la Corte territoriale, pure a fronte di una specifica contestazione da parte dell’Inps (debitamente trascritta nel ricorso per cassazione) circa il numero dei contributi maturati dalla D. nel periodo preso in esame (19/12/2003 – termine iniziale del quinquennio precedente la domanda amministrativa del 19/12/2008), con la specificazione della loro causale e risultanti dall’estratto conto previdenziale prodotto in giudizio dallo stesso Istituto, e pure a fronte delle dichiarazioni rese dal difensore dell’attuale controricorrente contenute nel verbale di udienza del 6/6/2012 (con le quali si dava atto della insussistenza del requisito contributivo per l’assegno ordinario e della sua sussistenza solo per l’eventuale pensione), nonchè delle conclusioni rese nel ricorso in appello (“accertare e dichiarare (…) il diritto di d.T. alla pensione ordinaria di inabilità”), ha riconosciuto la prestazione dell’assegno ordinario, omettendo del tutto di verificare la sussistenza in capo all’assicurata del requisito contributivo, riguardo al quale si è limitata ad una generica affermazione circa la non contestazione dell’estratto contributivo prodotto dalla ricorrente;

giova peraltro aggiungere che “In tema di totalizzazione dei periodi assicurativi, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 71(per effetto della cui entrata in vigore è rimasto abrogato il D.M. 2 maggio 1996, n. 282, poi a sua volta abrogato, unitamente al D.M. 7 febbraio 2003, n. 57, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 42, art. 7), nel prevedere la facoltà di cumulare, per il conseguimento della pensione di vecchiaia e dei trattamenti pensionistici per inabilità, i periodi assicurativi non coincidenti posseduti presso diverse gestioni, non ha esteso la facoltà del cumulo ai fini del conseguimento della diversa prestazione costituita dall’assegno di invalidità di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1” (Cass. 10/06/2011, n. 12810; Cass. 05/05/2014, n. 9582);

il ricorso deve dunque essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio ad altro giudice, di pari grado, perchè riesamini la fattispecie alla luce dei principi su affermati, e provveda anche a regolare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2019

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