Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18926 del 15/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/07/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 15/07/2019), n.18926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18116-2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede

dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli

avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– ricorrente –

contro

O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE

STROZZI 31, presso lo studio dell’avvocato DIEGO CAPASSO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 404/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 1/2/2016, ha parzialmente accolto l’appello proposto da O.E. contro la sentenza resa dal Tribunale di Roma e, per l’effetto, ha dichiarato il diritto dell’appellante all’assegno mensile di assistenza ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 13, con decorrenza dal 1/1/2015 (successiva alla domanda amministrativa) e ha condannato l’Inps al pagamento dei relativi ratei, oltre gli accessori e con le decorrenze di legge;

di tale decisione domanda la cassazione l’INPS sulla base di due motivi;

l’intimato deposita procura speciale;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

Considerato

che:

con il primo motivo, l’Istituto previdenziale denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: in sintesi, censura la decisione nella parte in cui è stato riconosciuto il diritto all’assegno di assistenza in mancanza di prove, che avrebbero dovuto essere offerte dal ricorrente, circa la sussistenza del requisito reddituale e del mancato svolgimento di attività lavorativa;

con il secondo motivo, l’Istituto previdenziale prospetta la medesima questione sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che, nonostante le sue puntuali eccezioni, contenute nella memoria difensiva di primo grado e ribadite nella memoria difensiva del 14/6/2013, il giudice del merito avrebbe omesso di verificare la sussistenza dei requisiti costitutivi della prestazione;

il ricorso è manifestamente fondato;

in via preliminare deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sulla sussistenza dei requisiti diversi da quello sanitario, posto che è principio pacifico, reiteratamente affermato anche da questa Corte, quello secondo cu “In materia di pensione d’inabilità o di assegno d’ invalidità, rispettivamente previsti, a favore degli invalidi civili (totali o parziali) della L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 12 e 13 il cosiddetto requisito economico ed il requisito dell’incollocazione integrano (diversamente da quello reddituale per le prestazioni pensionistiche dell’I.N.P.S.) un elemento costitutivo della pretesa, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio”;

tale deducibilità o rilevabilità d’ufficio sono, peraltro, da rapportare alle preclusioni determinatesi nel processo e, in particolare, a quella derivante dal giudicato interno: preclusione che non sussiste nel caso di specie, dal momento che il giudice di primo grado ha rigettato la domanda (senza alcuna pronuncia sul requisito economico) e l’interessato ha appellato in ordine all’esclusione della sussistenza del requisito sanitario, con la ulteriore conseguenza che la carenza del requisito economico è deducibile (anche) per la prima volta in appello, o rilevabile d’ufficio dal giudice di secondo grado, del quale la parte può censurare, con ricorso per cassazione, la decisione – espressa o implicita – in ordine alla sussistenza dello stesso requisito economico o dell’incollocazione, deducendo, con riguardo al caso di decisione implicita, il vizio di omesso esame di un punto decisivo (cfr., tra le altre, Cass.4/11/2011, n. 22899; da ultimo, Cass. 10/05/2017, n. 11443);

al riguardo, va peraltro rilevato che l’Inps ha debitamente trascritto nel ricorso i termini nei quali, con la memoria difensiva di primo grado, ha espressamente contestato il possesso del requisito reddituale da parte del ricorrente a far tempo dal 2011, contestazione reiterata anche in appello;

la sentenza impugnata ha di fatto omesso ogni accertamento in ordine sia al requisito reddituale sia a quello dell’incollocazione avendo argomentato esclusivamente sulla sussistenza del requisito sanitario; per completezza va rilevato che, in materia di assegno di invalidità civile, il requisito della incollocazione al lavoro, con la modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, è cambiato, nel senso che ciò che si richiede è semplicemente lo stato di inoccupazione;

la nuova disciplina ha comunque lasciato immutato l’onere del disabile di fornire la prova di non aver lavorato nel periodo interessato dalla domanda proposta;

tale prova, in giudizio, potrà essere data con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni (cfr. Cass. nn. 19833/2013 e 9502/2012);

alla stregua di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e la causa rimessa alla Corte del merito in diversa composizione per l’accertamento dei requisiti di cui è stato omesso l’esame; al giudice del rinvio va pure rimessa la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2019

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