Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18925 del 17/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18925 Anno 2018
Presidente: CRUCITTI ROBERTA
Relatore: D’ORAZIO LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21973/2011 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempre,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in
Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

ricorrente

contro
Bosca Cora s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’Avv. Pia Federica Bosca e
dall’Avv. Matteo Rossomando, giusta procura speciale in calce al controricorso,
elettivamente domiciliato in Roma, Via Bissolati n. 76, presso il loro studio;

controricorrente, ricorrente incidentale

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte

Data pubblicazione: 17/07/2018

depositata il 10 febbraio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 marzo 2018 dal
Consigliere Luigi D’Orazio.

1.A seguito di verifica fiscale la società Bosca Cora s.p.a. sottoscriveva atto di
adesione relativamente al reddito dell’anno 2004, con la determinazione di un
maggior reddito imponibile di C 166.541,76, con una maggiore Ires del 33 %,
pari ad C 54.958,78. In data 6 luglio 2007 la società versava la somma
complessiva di C 82.144,55, corrispondente all’intero ammontare dovuto
risultante dall’atto di adesione. Tuttavia, poiché parte dei rilievi definiti, per
complessivi C 120.093,00, si riferiva a costi ritenuti non di competenza del
periodo di imposta 2004, ma di quello del 2003, la ricorrente trasmetteva in
data 28-8-2007 la “dichiarazione integrativa” relativa al periodo di imposta
2003. Pertanto, con riferimento all’anno 2003 si esponevano in deduzione i
maggiori costi di competenza di tale periodo, sicchè il reddito del 2003 si
riduceva per tali maggiori costi per il corrispondente ammontare. La società,
però, aveva avuto perdite pregresse, sicchè le stesse venivano ora utilizzate in
compensazione per la somma di C 120.093,00, consentendo alla società di
riportare ai successivi periodi di imposta un maggior importo di perdite fiscali.
In particolare, alla perdite del 2003 per C 220.705,00, si è aggiunta la perdita
di C 120.093,00, per una nuova perdita complessiva del 2003 di C 340.793.
In data 3-9-2007, allora, la società presentava anche per l’anno 2004 la
“dichiarazione integrativa” nella quale venivano esposti, a fronte di un reddito
di C 388.500,00 e di una perdita di C 340.793,00 (derivante dalle “nuove”
perdite del 2003): l’importo complessivo dei rilievi definiti per C 166.542,00
(reddito imponibile), la maggior perdita fiscale in compensazione, la maggiore
Ires versata sui rilievi già indicati, in particolare la differenza tra l’importo
complessivamente versato di C 54.959,00 e quello risultante a debito della
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RITENUTO IN FATTO

società a seguito della “riliquidazione” della dichiarazione integrativa, pari ad C
14.292,00, quindi l’eccedenza di C 40.667,00.
Insomma, il reddito imponibile per il 2004 diveniva di C 47.702,00 (differenza
tra C 388.500 ed C 340.793,00), con relativa Ires di C 14.292,00.
In data 10-5-2008 veniva notificata alla società la cartella di pagamento a
seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis d.p.r. 600 del 1973, relativa al
l’anno 2004, con cui venivano contestati:l’omesso versamento di Ires per

versamento di Iva per complessivi C 12.318,00. Si procedeva ad uno sgravio
dell’intero rilievo Iva in data 8-7-2008 a seguito di istanza della società.
2.Avverso la cartella proponeva ricorso la società evidenziando che non le era
mai pervenuto alcun avviso bonario e chiedendo l’annullamento della cartella di
pagamento, con condanna della Amministrazione finanziaria al rimborso delle
somme eventualmente versate nelle more del giudizio.
3.La Commissione tributaria provinciale di Asti accoglieva il ricorso, in quanto
la cartella doveva essere preceduta dalla notifica alla contribuente dell’avviso
bonario.
4.La Commissione tributaria regionale del Piemonte, da un lato, accoglieva
l’appello dell’Agenzia delle entrate, ritenendo che non doveva essere
preventivamente inviata la comunicazione di irregolarità, in quanto si trattava
solo di omesso versamento rispetto a quanto dichiarato, e dall’altro, accoglieva
il ricorso del contribuente. In particolare, evidenziava che le dichiarazioni
integrative potevano essere presentate anche oltre i termini di cui all’art. 2,
commi 8 e 8 bis del d.p.r. 322/1998, trattandosi di mere norme regolamentari,
mentre il termine di legge era quello di cui all’art. 43 d.p.r. 600/1973, che era
stato rispettato.
5.Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle
entrate.
6.La società

notificava controricorso contenente ricorso incidentale

condizionato.

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complessivi C 14.292,00) e l’eccedenza di C 40.667,00, oltre omesso

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.p.r. 322/1998 e dell’art. 43 del
d.p.r. 600/1973, dell’art. 2 comma 136 della legge 662/1996, dei principi
generali in materia di dichiarazione dei redditi, in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3 c.p.c.. Per la ricorrente, con la dichiarazione integrativa per l’anno 2003
la società non ha ovviato ad un errore materiale, ma ad un errore in ordine ai

il contribuente trovava applicazione l’art. 2 comma 8 bis del d.p.r. 322/98,
sicchè la dichiarazione integrativa doveva essere presentata entro il termine di
presentazione della dichiarazione per l’anno di imposta successivo, quindi entro
il 2004.
1.1.Tale motivo è fondato.
Si rileva, anzitutto, che il motivo non è nuovo, tanto che la Commissione
tributaria regionale ha erroneamente ritenuto che i termini per proporre la
dichiarazione integrativa non erano vincolanti, essendo previsti da una mera
norma regolamentare (d.p.r. 322 del 1998 art. 2 commi 8 e 8 bis), mentre il
termine di legge era quello di cui all’art. 43 d.p.r. 600/1973.
Si aggiunge che, per la Suprema Corte, a Sezioni Unite, in caso di errori od
omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere
presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se
diretta ad evitare un danno per la RA. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del
1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare
errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la
presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con
compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il
contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento
ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria
dell’Amministrazione finanziaria (Cass.Civ., Sez.Un., 30 giugno 2016, n.
13378).
Pertanto, effettivamente la dichiarazione integrativa per l’anno 2003, essendo a
favore del contribuente, non poteva che essere presentata nel rispetto del
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“presupposto di spesabilità del costo”. Trattandosi di un errore che pregiudicava

termine di cui all’art. 2 comma 8 bis del d.p.r. 322 del 1998, quindi entro il
termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta
successivo, ossia entro il 2004.
2.Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 d.p.r. 382 del 1998 e dell’art. 1 d.lgs. 288/1997, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto la Commissione regionale
ha errato nel ritenere valida la dichiarazione integrativa relativa all’anno 2004,

proprio per l’anno 2004, dal quale è risultata una maggiore imposta dovuta
pari ad C 54.958,00. Con la dichiarazione integrativa, sempre per l’anno 2004,
dopo aver effettuato il ricalcolo dei redditi del 2003, la società ha, invece,
dichiarato una imposta Ires dovuta di C 14.292,00, ed indicato come somme
versate in eccesso a saldo le ulteriori somme di C 54.598,00. Una dichiarazione
su cui è intervenuto accertamento definitivo, come nel caso di accertamento
per adesione, non può essere rettificata dal contribuente, tanto meno in senso
a lui più favorevole.
2.1.Tale motivo è fondato.
Invero, per la Suprema Corte, in tema di imposte sui redditi, poiché avverso
l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione,
devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto
costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in
questione che, invece, in conformità alla “ratio” dell’istituto, deve ritenersi
intangibile (Cass.Civ., 6 ottobre 2010, n. 20732; Cass.Civ., 28 settembre 2005,
n. 18962).
Nel caso in esame, appunto, per l’anno 2004 era già intervenuto accertamento
con adesione, sicchè i risultati dell’accertamento non potevano essere rimessi
in discussione con la presentazione di una dichiarazione integrativa relativa al
medesimo anno di imposta.
3.Con il ricorso incidentale condizionato la società deduce la violazione dell’art.
36 bis d.p.r. 600/1973 e dell’art. 2 d.lgs. n. 462 del 1997, in quanto la cartella
di cui alla procedura automatizzata doveva essere preceduta dalla
comunicazione dell’avviso bonario. Per la ricorrente incidentale, quindi, si è in
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perchè in data 4-7-2007 è stato stipulato un accertamento per adesione

presenza di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, che
imponevano l’invio della comunicazione bonaria di irregolarità.
3.1.Tale motivo è infondato.
Invero, la comunicazione di irregolarità deve essere inviata dalla Agenzia delle
entrate solo nel caso in cui vi siano “incertezze” su aspetti rilevanti.
L’art. 36 bis comma 3 d.p.r. 600/1973 prevede, infatti, che “quando dai
controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello

contribuente…per evitare la reiterazione di errori e per consentire la
regolarizzazione degli aspetti formali”.
L’art. 6 comma 5 della legge 212/2000 dispone, poi, che “prima di procedere
alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da
dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della
dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente…a
fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un
termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della
richiesta…”.
Non deve essere inviata, però, la comunicazione di irregolarità quando vi è
stata solo omissione del versamento dovuto in base alla autoliquidazione
dell’imposta (Cass.Civ., 26 settembre 2017, n. 22383), né in caso di mero
ritardo nel versamento (Cass.Civ., 10 giugno 2015, n. 12023).
In caso di omesso o tardivo versamento non spetta, poi, la riduzione delle
sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 462 del 1997
(Cass.Civ., 6 luglio 2016, n. 13759), in quanto l’interessato può, comunque,
pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una
volta ricevuta la notifica della cartella, sempre che quella comunicazione sia
dovuta.
Nella specie, dunque, poiché la società, con la dichiarazione integrativa relativa
all’anno 2004, ha dichiarato un proprio debito Ires e non ha provveduto al
relativo versamento, non era dovuta la preventiva comunicazione dell’avviso
bonario
Inoltre, anche con riferimento al credito disconosciuto dalla Agenzia delle
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indicato nella dichiarazione…l’esito della dichiarazione è comunicato al

entrate, sempre relativo all’anno 2004, non era dovuta la comunicazione
bonaria preventiva di irregolarità, in quanto per quell’anno vi era stato già
l’accertamento con adesione, sicchè non si trattava di incertezza su aspetti
rilevanti della dichiarazione.
4.Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere
la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 comma 2 c.p.c., rigettando il ricorso
presentato dalla contribuente avverso la cartella di pagamento.

resistente e si liquidano come da dispositivo, mentre vanno compensate le
spese relative ai giudizi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale condizionato;
decidendo nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigetta il ricorso della
contribuente avverso la cartella di pagamento.
Condanna la società a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese
del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 3.000,00, oltre spese
prenotate a debito. Compensa interamente tra le parti le spese relative ai
giudizi di merito.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 15 marzo 2018

5.Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società

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