Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18920 del 15/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/07/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 15/07/2019), n.18920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23809/2017 R.G. proposto da:

E.SCA.S S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Ugo Uppi;

– ricorrente –

contro

Comune di Pomezia;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 1656/2017,

depositata il 10 marzo 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2019

dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Escas S.r.l. convenne in giudizio il Comune di Pomezia chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 51.439,11 a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento conseguente all’occupazione sine titulo di un capannone di sua proprietà, da luglio e dicembre 1992.

Il Comune eccepì:

– l’improponibilità dell’azione perchè preclusa dal giudicato formatosi sulla sentenza reiettiva dell’azione contrattuale in precedenza esercitata per il pagamento dei canoni di locazione;

– in subordine la prescrizione del credito.

Il Tribunale, in accoglimento della prima eccezione, dichiarò la domanda inammissibile per violazione del principio del ne bis in idem.

2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma di tale decisione, ha rigettato la domanda.

Ha invero escluso che, stante la diversità di petitum e causa petendi, alcuna preclusione derivasse dal giudicato di rigetto dell’azione contrattuale.

Ha tuttavia ritenuto fondata l’iterata eccezione di prescrizione rilevando l’insussistenza di atti interruttivi.

Al riguardo ha in particolare negato che tale valenza potesse attribuirsi “ai pretesi atti di riconoscimento di parte del debito da parte del Comune”, ritenendo che quelli indicati dalla parte costituissero “mere contestazioni e difese dell’avversa pretesa, svolte nell’ambito dell’azione contrattuale”.

Ha soggiunto che “l’unico atto al quale potrebbe eventualmente attribuirsi tale efficacia, in quanto non formato nel contesto processuale, è la missiva inviata dal Sindaco del Comune di Pomezia alla Escas in data 12/11/1992, avente ad oggetto “locazione capannone (OMISSIS) – delibera 30 novembre 1991, n. 108 “…, ma trattasi in ogni caso di atto inutile ai fini interruttivi, in quanto datato novembre 1992”.

3. Avverso tale decisione la società propone ricorso per cassazione con due mezzi.

L’ente intimato non svolge difese nella presente sede.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115,116 c.p.c.; Artt. 1362-1366, 1368-1369, 1371 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia.

Lamenta la violazione delle norme di ermeneutica negoziale, applicabili anche gli atti unilaterali, per non avere la Corte d’appello tenuto conto del comportamento complessivo del Comune anche posteriore alla missiva ritenuta costituire riconoscimento di debito, omettendo in particolare di considerare l’oggetto delle dichiarazioni successive (riconoscimento del diritto della Escas) e non solo il loro scopo (contrasto alle tesi avversarie).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inoltre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115,116 c.p.c.; artt. 2943,2944 e 2945 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia.

Sostiene che, diversamente da quanto implicitamente postulato nella sentenza impugnata, le dichiarazioni rese dal Comune nel corso del pregresso giudizio relativo all’azione contrattuale, costituendo riconoscimento del diritto della ricorrente, erano idonee a interrompere la prescrizione del diritto all’indennizzo per ingiustificato arricchimento, anche se emesse nell’ambito di detto distinto processo civile, posto che a tal fine non era necessaria una manifestazione di volontà negoziale recettizia ma era sufficiente che si dimostrasse che il Comune era consapevole dell’esistenza del debito.

3. E’ pregiudiziale il rilievo della improcedibilità del ricorso.

Lo stesso risulta infatti notificato a mezzo posta elettronica certificata ma, per comprovarne la regolare esecuzione, parte ricorrente ha depositato in atti copia cartacea del ricorso e della procura, della relazione di notifica, del messaggio di posta elettronica certificata e dei relativi messaggi comprovanti l’accettazione di quest’ultimo da parte del sistema e la consegna alla casella di posta elettronica certificata del destinatario, omettendo però di rendere la prescritta asseverazione di conformità con sottoscrizione autografa (adempimento, come noto, prescritto dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, commi 1-bis e 1-ter).

Al riguardo, come noto, questa Corte, a sezioni unite, con sentenza n. 22438 del 24/09/2018, ha bensì affermato – superando precedente più rigoroso orientamento di cui è espressione Cass. 22/12/2017, n. 30918, predicativo della non rimediabile improcedibilità del mancato deposito ex art. 369 c.p.c., nel termine di 20 giorni dalla notifica del ricorso, della detta asseverazione – che detta improcedibilità non consegue tutte le volte in cui, pur in mancanza di detta asseverazione o della sua sottoscrizione autografa, possa comunque aversi aliunde certezza dell’effettività della notifica telematica, “in assenza di “ritardi apprezzabili” nell’attivazione della sequenza procedimentale”, e dunque:

a) nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso autenticata dal proprio difensore o non ne disconosca la conformità all’originale notificatogli;

b) nel caso in cui – rimasto intimato il destinatario della notifica telematica del ricorso – il ricorrente depositi, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del comma 2 della medesima disposizione), l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (artt. 380-bis c.p.c.; art. 380-bis.1 c.p.c., comma 1; art. 380-ter c.p.c.).

Nessuna di tali ipotesi ricorre però nella specie, nella quale, essendo l’ente destinatario della notifica rimasto intimato, parte ricorrente ha omesso di integrare, entro i termini predetti, il deposito iniziale con la richiesta asseverazione debitamente sottoscritta con firma autografa.

4. Può comunque rilevarsi che il ricorso, ove fosse stato procedibile, sarebbe comunque andato incontro ad una pronuncia di inammissibilità.

Entrambe le censure, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono infatti inammissibili.

Occorre anzitutto notare che entrambi evocano il paradigma vecchio del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e che non contengono alcuna argomentazione a supporto della dedotta violazione dei paradigmi interpretativi indicati nella intestazione.

Pur prescindendo da tale assorbente rilievo può comunque osservarsi che entrambe le censure fanno riferimento ad atti relativi al pregresso giudizio svoltosi in ordine all’azione contrattuale dei quali però vengono offerte indicazioni – quanto al contenuto e alla provenienza – del tutto insufficienti a consentirne un compiuto apprezzamento ai fini di causa, in violazione degli oneri di specificità ed autosufficienza imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

In particolare, con riferimento all’atto processuale del 3 febbraio 2003 si dice soltanto che:

a) copia dello stesso è stata prodotta nel primo grado del presente giudizio come allegato n. 13;

b) esso contiene la seguente dichiarazione (trascritta in ricorso a pag. 5, nota 3): “quindi, deduceva il Comune, il corrispettivo mensile avrebbe dovuto essere di circa Lire 16.600.000 (attuali Euro 8.263,31), dal momento che, come da verbale redatto dai vigili urbani e prodotto in giudizio, i mq occupati dalle masserizie in questione erano solamente circa 2000”.

Da tale ridotta indicazione contenutistica non è evidentemente possibile risalire all’autore di tale dichiarazione (dubbi derivando in particolare dall’inciso “deduceva il Comune” che depone piuttosto per l’attribuzione a soggetto terzo e diverso dal Comune medesimo di cui, nell’atto, qualcuno, ignoto, riferisce tale deduzione, senza che però ai nostri fini, la paternità di tale deduzione, proprio perchè riferita in terza persona da autore rimasto ignoto, possa effettivamente attribuirsi al Comune la paternità); nè comunque è possibile apprezzare, in mancanza di alcuna pur minimale indicazione del contesto, il pieno ed effettivo contenuto dell’atto medesimo e il suo scopo.

Resta conseguentemente inconducente, in quanto non decisivo, il riferimento al precedente atto del 18 dicembre 1994 (il quale peraltro pure si appalesa oggetto di allegazione incerta e insufficiente), da tale data risultando comunque successivamente maturato il termine decennale di prescrizione anteriormente alla instaurazione del giudizio (atto di citazione notificato il 5/11/2009).

Può inoltre osservarsi che i documenti citati a pagina 5 del ricorso a proposito del primo motivo non sono in alcun modo localizzati in questo giudizio di legittimità, ma lo sono con la mera indicazione del numero del documento in primo grado e tra l’altro senza specificazione della sede cui è correlata la numerazione. Inoltre, per taluni documenti nemmeno si dice da chi fossero stati prodotti. Solo per alcuni si usa l’espressione abbreviata “ns”.

5. Non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sulle spese.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2019

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