Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18917 del 17/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 18917 Anno 2018
Presidente: CRUCITTI ROBERTA
Relatore: FEDERICI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso 28555-2011 proposto da:
SALVATI SANDRO, elettivamente domiciliato in ROMA
LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA
GRADARA, che lo rappresenta e difende unitamente agli
avvocati SILVIA PANSIERI, GASPARE FALSITTA giusta
delega in calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 17/07/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 114/2010 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 21/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/03/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
FEDERICI;

Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto dei motivi 1 0 e 2 ° e l’inammissibilità del 30
motivo di ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato PANSIERI che ha
chiesto l’accoglimento.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSSO
Salvati Sandro, con tre motivi, ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza n. 114/22/10, depositata il 21.10.2010 dalla Commissione Tributaria
Regionale della Lombardia. Ha rappresentato che il contenzioso traeva origine dal
silenzio rifiuto opposto dalla Amministrazione finanziaria alla richiesta di rimborso di C
2.471.227,10, corrispondenti a quanto ritenuto alla fonte dalla società Toro Ass.ni, in
relazione alla tassazione di operazioni di assegnazione di azioni della società,

Più a monte la vicenda traeva origine dall’aumento di capitale sociale che la Toro
Ass.ni aveva deliberato il 9 maggio 2005 e dal regolamento relativo al “Piano di stock

options Toro Assicurazioni 2005-2008 riservato ad amministratori”. In relazione a tale
piano erano attribuite al Salvati, all’epoca amministratore delegato della società,
opzioni per la sottoscrizione di 585.000 azioni, al prezzo di esercizio di C 11,25. Nel
giugno del 2005, in un quadro complessivo di rinegoziazione delle componenti
remunerative del suo rapporto di lavoro con la società, il Salvati aderiva al piano, con
mail che ne anticipava l’adesione, trasmessa 1’8 maggio 2005. Il piano prevedeva la
data di esercitabilità dell’opzione nel periodo 16 marzo 2008/16 settembre 2008. Nelle
difese il ricorrente afferma che l’adesione trovava ragione nel trattamento fiscale
agevolato di cui all’epoca godeva tale componente remuneratoria.
Successivamente si verificava che: 1) nell’anno 2006 il gruppo di controllo della
società cedeva la sua partecipazione alle Assicurazioni Generali; 2) il nuovo consiglio
di amministrazione il 4 ottobre 2006 deliberava l’anticipazione del periodo di esercizio
della opzione, fissandolo tra il 5 ottobre 2006 ed il 15 novembre 2006; 3) nel
novembre 2006 il dott. Salvati esercitava l’opzione con sottoscrizione delle 585.000
azioni al corrispettivo di C 6.581.250,00 (secondo il prezzo fissato di C 11.25); 4) al
momento dell’esercizio della opzione il valore delle azioni era pari di C 21,074, sicchè
il valore dei titoli complessivamente assegnati era di C 12.328.290,00; 5) nelle more
erano intanto intervenute due modifiche normative sul trattamento fiscale di tale
tipologia di operazioni, precedentemente disciplinate nell’art. 48 del TUIR -nella nuova
numerazione del d.P.R. n. 917 del 1986 divenuto art. 51, lett. g bis- e precisamente
quelle introdotte con il d.l. 223 del 4 luglio 2006 (art. 36 co. 25), conv. con
modificazioni in I. 248 del 2006, e successivamente con il d.l. 3 ottobre 2006 (art. 2,
co. 29), conv. con modificazioni in I. n. 286 del 2006; 6) queste modificazioni,
introducendo un comma 2 bis nell’art. 51, riducevano l’area applicativa della disciplina
agevolativa richiedendo requisiti più stringenti per la sua applicazione alle operazioni
RGN 28555/2011
Co
est. , Federici
rv

conseguenti l’esercizio di una stock option.

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di stock options (per mera completezza l’art. 82, co. 23 del d.l. n. 112 del 2008, conv.
in I. n. 133 del 2008, ha definitivamente abrogato il regime agevolato); 7) tenendo
conto della disciplina sopravvenuta, la società riteneva di sottoporre a tassazione la
differenza tra il prezzo delle azioni fissato al momento della attribuzione del diritto di
opzione e il prezzo delle azioni al momento dell’esercizio del diritto di opzione e
conseguente assegnazione delle azioni; 8) era dunque eseguita una ritenuta alla fonte
complessiva di C 2.471.227,10 corrispondente alla aliquota del 43% applicabile al

Amministrazione il rimborso delle imposte versate, ricevendone il silenzio rifiuto.
Nel contenzioso seguitone la Commissione Tributaria Provinciale di Milano
rigettava il ricorso con sentenza depositata il 20.11.2008. Adita la Commissione
Tributaria Regionale lombarda, con la sentenza ora impugnata era rigettato anche
l’appello.
Il Salvati censura la sentenza:
con il primo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 12, del d.l. n.
262 del 2006, conv. in I. n. 286 del 2006, dell’art. 11 Preleggi, degli artt. 3 e 10 della
I. n. 212 del 2000, del’art. 41 Cost., in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., per
essere stato erroneamente ritenuto che il presupposto della agevolazione (introdotta
per la prima volta dall’art. 13, del d.lgs. n. 505 del 1999) fosse individuabile nella
assegnazione delle azioni anziché nell’adesione del dipendente al piano di stock
options, conseguentemente applicando al caso di specie la normativa restrittiva
sopravvenuta;
con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 12, del d.l.
n. 262 del 2006, conv. in I. n. 286 del 2006, dell’art. 11 Preleggi, degli artt. 3 e 10
della I. n. 212 del 2000, dell’art. 41 Cost., in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c.,
per non aver tenuto conto, se fosse stato anche correttamente ricondotto il
presupposto applicativo della agevolazione alla assegnazione delle azioni, che,
trattandosi di imposta periodica, le disposizioni innovative vanno applicate dall’anno
d’imposta successivo, come previsto espressamente dall’art. 3 dello Statuto del
contribuente, e dunque non dal 2006 ma dal periodo d’imposta 2007;
con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in
relazione all’art. 360, co. 1 n. 4, per omessa pronuncia sulla ulteriore eccezione
sollevata dal contribuente, relativa alla circostanza che i tempi di esercizio del diritto
di opzione erano stati modificati, con conseguente inapplicabilità del regime
RGN 28555/2011
Cq eslyederici

contribuente; 9) il Salvati ritenendo invece non dovuta la tassazione, chiedeva alla

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agevolativo, non per volontà del contribuente, costringendolo pertanto ad una scelta
obbligata e priva di alternative.
In conclusione chiedeva la cassazione della sentenza; in subordine che fosse
sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 12, del d.l. 262 del
2006, conv. in I. 286 del 2006 per violazione degli artt. 53 e 41 Cost., nonché degli
artt. 3 e 10 I. 212 del 2000.
Si è costituita l’Agenzia, che ha insistito nella correttezza delle ragioni esposte dal

Alla pubblica udienza del 14 marzo 2018, dopo la discussione, il P.G e le parti
hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente censura la sentenza laddove questa identifica il
verificarsi del presupposto applicativo della disciplina agevolativa nel momento di
esercizio del diritto di opzione e assegnazione delle azioni e non in quello, anteriore, di
adesione del beneficiario al piano di stock option. A sostegno della tesi contraria a
quella assunta dal giudice regionale invoca il principio di irretroattività del d.l. n. 262
del 2006, si appella all’individuazione del momento in cui si è perfezionato il
presupposto generatore della esenzione, invoca la tutela del’affidamento e della
certezza del diritto, sollevando questione di legittimità costituzionale della disciplina,
avverte la diversa costruzione della disciplina introdotta dal d.l. 262 del 2006, rispetto
a quella del d.l. 233 del 2006 e quella del d.l. 112 del 2008.
Con il primo ordine di argomentazioni evidenzia che la disciplina restrittiva
intervenuta nelle more della vicenda sia comunque successiva alla adesione del
contribuente al piano di stock options deliberato nel 2005, sicchè l’applicazione della
normativa sopravvenuta al caso di specie avrebbe effetti retroattivi. Ciò sarebbe
vietato sia dal principio enunciato dall’art. 11 Preleggi, sia, nella specificità del
rapporto tributario, dall’art. 3, co. 1, della I. 212 del 2000.
Con il secondo ordine di argomentazioni sostiene che il presupposto generatore
della esenzione fiscale, che se relazionata ad imposte periodiche è diverso dal
presupposto impositivo della tassazione, va ricondotto alla finalità per la quale
l’agevolazione stessa sia stata concessa. Nel caso di specie, quando l’esenzione fu
originariamente introdotta (nel ’99), la finalità perseguita dal legislatore con
l’esenzione fiscale era stata quella di stimolare i dipendenti al miglioramento
produttivo della azienda, così che, collegando mediante le stock options parte della
RGN 28555/2011
est. Federici
Co
e

giudice regionale, chiedendo il rigetto del ricorso.

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retribuzione ad una componente variabile che si incrementava con la crescita di valore
della azienda stessa, trovava causa nel maggior impegno profuso dal dipendente,
incentivato dalla prospettiva di maggiori guadagni; con la disciplina introdotta nel
2006 invece le finalità perseguite dal legislatore erano state mutate e si identificavano
nella fidelizzazione del dipendente (di qui l’introduzione dei requisiti più stringenti
sotto il profilo della tipologia di società cui applicare la disciplina, e, soprattutto con le
modifiche del d.l. 262 del 2006, la previsione di tempi minimi per l’esercizio del diritto

difesa sostiene che nel caso di specie l’adesione al piano risaliva alla formulazione
originaria della disciplina e dunque a quel momento andava ricondotto il presupposto
generatore delle agevolazioni, sicchè l’applicazione della normativa successiva
avrebbe comportato la retroattività di un meccanismo di funzionamento della struttura
agevolativa avente finalità del tutto distinte rispetto all’originario meccanismo
generatore.
Con il terzo ordine di argomentazioni si duole che una diversa interpretazione si
porrebbe in insanabile contrasto con principi di rango costituzionale e comunitario,
posti a tutela del legittimo affidamento del cittadino, in particolare con l’art. 41 Cost. e
con l’art. 10 dello Statuto del contribuente. In sintesi denuncia che il contribuente
intanto aderì al piano di stock option, nella rideterminazione delle componenti del suo
trattamento remunerativo, in quanto la prospettiva era economicamente più
vantaggiosa per l’esenzione da tassazione delle plusvalenze che avrebbe conseguito
nell’acquisto delle azioni al momento dell’esercizio della opzione e della assegnazione
delle medesime. Tale affidamento sarebbe stato disatteso se di quelle agevolazioni
non avesse potuto più goderne. Di qui i profili di illegittimità costituzionale della
disciplina introdotta dal d.l. 262 cit., se interpretata nel senso statuito dal giudice
regionale.
Con il quarto ordine di argomentazioni si appella alla interpretazione sistematica
del d.l. 262 cit., perché, a differenza del d.l. n. 233 del 2006 e del d.l. 112 del 2008,
nelle quali vi è una espressa previsione di applicabilità della disciplina a partire dalle
assegnazioni delle azioni avvenute (rispettivamente) dal 4 luglio 2006 e dal 25 giugno
2008, cioè dalla loro entrata in vigore, quella del novembre 2006 nulla dice in materia.
Da ciò, secondo la difesa, se ne ricava che il d.l. n. 262 sia applicabile solo alle
fattispecie in cui dal 3 ottobre 2006 fossero stati deliberati i piani di stock options, e
non anche alle ipotesi in cui i deliberati fossero di data anteriore.
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Con rest. ederici
-e
,

di opzione nonché per la cessione delle azioni medesime). Sotto il profilo teleologico la

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Queste in sintesi le articolate difese del contribuente, la sentenza del giudice
regionale ha ritenuto che <>. Ciò

azionari e dei diritti in essa incorporati si perfeziona con l’assegnazione delle azioni.
Occorre pertanto valutare se l’interpretazione resa dal giudice regionale sia o meno
corretta.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo, anche di recente, di pronunciarsi
sulla materia, in particolare su quale sia il presupposto generatore della disciplina
agevolativa applicabile, affermando che in tema di determinazione del reddito di
lavoro dipendente la disciplina di tassazione applicabile

ratione temporis

alle

cosiddette “stock options” va individuata in quella vigente al momento dell’esercizio
del diritto di opzione da parte del lavoratore, indipendentemente dal momento in cui
l’opzione sia stata offerta, atteso che l’operazione cui consegue la tassazione non va
identificata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a
imposizione tributaria, ma nell’effettivo esercizio di tale diritto mediante l’acquisto
delle azioni, il quale costituisce il presupposto dell’imposizione commisurata proprio
sul prezzo delle stesse e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato (Cass., Sez. 5,
sent. n. 9465 del 2017). Questa risoluzione era stata già affermata dal giudice di
legittimità anche con riferimento alla disciplina vigente in epoca anteriore alle
modifiche portate nel 2006, avvertendosi che il presupposto impositivo insorge non al
momento della offerta della opzione ma in quello del suo esercizio (cfr. Cass., Sez. 5,
sent. n. 11413 del 2015; ord. n. 13088 del 2012, in quest’ultima riconoscendosi
l’applicabilità del regime agevolativo in una ipotesi in cui il diritto di opzione era stato
offerto nel 1997, epoca anteriore alla introduzione della esenzione a mezzo del d.lgs.
n. 505 del 1999, ed era stato esercitato nel 2001).
A tale orientamento, che questo collegio condivide e a cui ritiene di dare seguito,
non sono opposte in questa causa ragioni che inducano a motivarne una discontinuità.
Non si ritiene infatti di condividere le argomentazioni riferite alla violazione del
divieto di retroattività della norma tributaria.
RGN 28555/2011
Co rest.derici

perché ha condiviso l’impostazione secondo cui il trasferimento di proprietà dei titoli

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Il ragionamento della difesa implica una premessa giuridica non corretta, ossia
che il presupposto generatore della disciplina agevolativa introdotta nel ’99 sia riferito
all’offerta (gratuita) del diritto di opzione. Sennonché, il diritto di opzione, che non ha
un significato diverso nel sistema giuridico tributario rispetto alla struttura civilistica, è
un contratto, certo distinto dalla unilaterale proposta irrevocabile, ma con il quale una
delle parti resta parimenti vincolata alla propria dichiarazione, con gli effetti della
proposta irrevocabile previsti dall’art. 1329 c.c. Con esso l’optato assume una

ancora divenuto oggetto del negozio in funzione del quale l’opzione è assunta, tant’è
che l’opzionario non è a sua volta vincolato ad accettare la proposta, anzi quella sua
“facoltà di accettare o meno” costituisce la seconda situazione giuridica essenziale
della fattispecie prevista dall’art. 1331 c.c., il che esclude che sino all’esercizio di
quella libertà di scelta possa ritenersi in qualche modo venuto ad esistenza il contratto
finale, men che meno che possano prodursi i suoi effetti (con il che è coerente anche
la generale negazione, in dottrina e in giurisprudenza, della trascrivibilità del patto di
opzione).
Ancorchè dunque voglia ritenersi che l’opzione si atteggi come fase preparatoria
del negozio optato (in dottrina si parla della funzione preparatoria della futura
costituzione negoziale di un regolamento di interessi), ciò non sarebbe sufficiente per
ritenere insorto il presupposto generatore di una imposta diretta, e di una
agevolazione ad essa collegata, non potendosi ricondurre la complessiva vicenda
negoziale neppure nelle fattispecie a formazione progressiva. Il diritto di opzione, pur
sotteso all’interesse di apprendere nella sfera patrimoniale dell’opzionario un bene
giuridico oggetto di opzione -potendo costituire espressione di un reddito o di un
patrimonio generatore del presupposto d’imposta solo questa apprensione-, è
teleologicamente contraddistinto solo dall'(eventuale) esercizio di quel diritto di scelta.
Peraltro, poiché il diritto d’opzione è economicamente identificato dalla prospettiva
che le potenzialità espresse da un bene giuridico si traducano in un vantaggio inducendo l’opzionario ad accettare la proposta cui si è vincolato il concedente-, allora
esso esprime l’esatto contrario dell’evento generatore di ricchezza, soprattutto in
fattispecie come la presente, in cui il diritto di opzione afferisce alla assegnazione di
azioni di una società. Infatti esso sottostà al dubbio che la ricchezza stessa non sia
generata nel prosieguo degli sviluppi della vicenda economica, per la qual ragione
l’opzionario attende, restando libero di scegliere.
RGN 28555/2011
Con i)est. Federici

obbligazione a ciò solo limitata, senza che tuttavia l’oggetto del diritto di opzione sia

In tale contesto la prospettiva della applicazione di una disciplina agevolativa
fiscale costituisce un ulteriore, e “altro”, vantaggio per l’opzionario, comunque
dipendente dal verificarsi delle condizioni che rendono opportuno l’esercizio della
opzione. Il vantaggio principale e primario resta invece proprio il verificarsi
dell’incremento di valore del bene (nel caso di specie le azioni) offerto in opzione,
senza il cui evento non vi sarebbe alcun aumento di ricchezza, e per conseguenza
nessun presupposto applicativo di agevolazioni fiscali. A ben vedere anzi, al momento

l’incremento di valore delle azioni rispetto al prezzo d’acquisto fissato per l’esercizio
della stock option, era futuro ed incerto, sicchè non era insorto alcun presupposto
generatore di imposta. Per conseguenza non poteva essere insorto alcun presupposto
generatore di esenzione, essendo illogico che si generi il presupposto di una esenzione
fiscale se non vi è ancora il presupposto generatore dell’imposta cui applicare quella
esenzione.
Di contro l’indice generatore di un reddito, e dunque l’insorgere del presupposto
impositivo, è intervenuto nel momento in cui la ricchezza si è manifestata con
l’esercizio del diritto di opzione e l’assegnazione delle azioni verso il pagamento di un
corrispettivo inferiore al valore espresso dai quei medesimi titoli al momento
dell’acquisto. L’insorgenza del presupposto d’imposta ha coinciso dunque con l’astratta
insorgenza del diritto alle agevolazioni, in concreto poi spettanti o meno se e nella
misura in cui fossero stati riscontrati i requisiti richiesti dal legislatore per la sua
fruizione.
Ciò chiarito, deve in conclusione escludersi che l’applicazione della disciplina
entrata in vigore dal 3 ottobre 2006 abbia violato il principio di non retroattività della
norma tributaria, così come deve escludersi che il momento perfezionativo del
presupposto generatore della esenzione vada ricondotto alla offerta del diritto di
opzione e non all’esercizio della opzione.
Non sono condivisibili neppure le critiche mosse dalla difesa che denuncia come le
conclusioni cui perviene il giudice regionale siano in contrasto con i principi
dell’affidamento e della certezza del diritto.
Se il diritto di opzione che, nello spazio temporale della attesa che maturino le
condizioni di vantaggio per il suo esercizio, può assicurare una speranza di
conseguimento di una ricchezza ma alcuna certezza in tal senso, deve escludersi che il
contribuente possa aver fatto affidamento sulla cristallizzazione di una disciplina
agevolativa. Se non vi era certezza nell’incremento di valore delle azioni al momento
RG N 28555/2011
Con .est. Federici

in cui è stato offerto il diritto di opzione, l’evento generatore di ricchezza, cioè

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della offerta del diritto di opzione risulta incomprensibile anche quale danno sarebbe
ascrivibile al mutamento di disciplina rispetto ad una situazione che, tanto in punto di
diritto quanto in termini economici, costituiva una speranza di incremento di valore e
null’altro. D’altronde è nello stesso ricorso che la scelta di riconsiderare le componenti
remuneratorie della retribuzione sostituendo o riducendo alcune voci fisse con le stock
options era legata ad una scommessa, l’assicurare cioè obiettivi più performanti alla
società. Ed è appena il caso di evidenziare che una scommessa esprime una

Se poi il Salvati, come riferisce, avesse attribuito importanza decisiva alla
disciplina fiscale favorevole vigente all’epoca in cui aderì al piano di attribuzione di
azioni con l’offerta gratuita del diritto di opzione, questo attiene alla sfera dei motivi
della scelta assunta, irrilevante anche nei confronti della controparte (e qualora
ritenuto decisivo per la conclusione dell’accordo in relazione della mail trasmessa al
contribuente 1’8 maggio 2005, da far valere verso questa) e ancor più rispetto alla
disciplina erariale.
A margine, è appena il caso di rammentare come la stessa giurisprudenza della
Corte costituzionale sia sempre più attenta a vagliare la costituzionalità di una
disciplina, quand’anche sia denunciato che con essa possa essere stato violato il
valore del legittimo affidamento, riposto dal cittadino in una normativa poi abrogata, e
che trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., in un quadro complessivo che
tenga conto dei principi di equilibrio del bilancio, di cui all’art. 81 Cost., affermando
che «il valore del legittimo affidamento non esclude che il legislatore possa
assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina
di rapporti giuridici “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi
perfetti”, purchè ciò avvenga alla condizione “che tali disposizioni non trasmodino in
un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate
sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica». (cfr. C.
Costituzionale, sent. n. 149 del 2017). Nel caso che ci occupa né ci sono diritti
soggettivi perfetti riconoscibili, né le successive modifiche alla disciplina dettata in
materia di agevolazioni nel trattamento fiscale delle stock options appare irrazionale e
irragionevole. Con il che vanno definitivamente accantonati tutti i dubbi sulla
legittimità costituzionale della disciplina.
Non possono essere condivise, ancora, le conclusioni che il ricorrente pretende di
trarre dalla interpretazione sistematica della disciplina introdotta dal d.l. 262 cit.,
laddove, mentre nei d.l. 223 del 2006 (che introduceva le prime restrizioni della
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Con est Federici

condizione ancor più incerta e aleatoria di una aspettativa.

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disciplina) e nel d.l. 112 del 2008 (abrogativo delle agevolazioni) era espressamente
prevista la applicabilità delle nuove norme alle azioni assegnate ai dipendenti a partire
dalla loro entrata in vigore, nulla si specifica nel d.l. 262 cit.; da ciò desumendosi che
quest’ultima normativa sarebbe applicabile solo alle ipotesi di offerta del diritto di
opzione successiva alla sua entrata in vigore (3 ottobre 2006).
A parte che tali conclusioni implicano sempre lo stesso presupposto, ossia l’unicità
e la rilevanza ai fini della disciplina agevolativa di tutto l’iter, a partire dalla adesione

prova troppo.
Oltre quanto già evidenziato, è qui sufficiente rilevare che se così fosse si
andrebbe incontro ad una irrazionale disciplina che, succedendosi anche a breve
distanza, avrebbe ad oggetto la regolamentazione di fattispecie diverse, nell’un caso
l’intero iter che culmina nell’assegnazione delle azioni, negli altri due casi la sola fase
finale della assegnazione delle azioni; inoltre determinerebbe conseguenze
irragionevoli con singolari disparità, atteso che sarebbero esonerate tendenzialmente
operazioni di stock option più recenti e comunque si creerebbero disparità evidenti tra
operazioni che abbiano avuto inizio in periodi anche coevi; infine, non è privo di rilievo
che tutta la disciplina preposta alla regolamentazione delle agevolazioni fiscali in
materia di stock option non ha mutato le sue finalità di fondo, dalla sua originaria
introduzione nel ’99 alla sua definitiva abrogazione. Nel senso che, pur se si riscontra
il mutamento dei requisiti, più restrittivi per la sua fruizione a partire dal 2006, e pur
se si avverte il passaggio dal puro obiettivo del perseguimento della incentivazione dei
dipendenti, in ragione dell’aumento di produttività (1999), al diverso intento di
assicurare una maggiore fidelizzazione del dipendente (novelle del 2006), la finalità
della disciplina complessiva è rimasta sempre quella della parziale sostituzione del
criterio remunerativo del lavoro compensato solo con elementi fissi, con un criterio più
fluido, relazionato ad una maggiore responsabilizzazione del dipendente alla sorte
della azienda. Conseguentemente il denunciato mutamento delle finalità della
normativa, sotto il profilo della interpretazione teleologica, è meno marcato quando
non del tutto irrilevante, così che irragionevoli sarebbero interpretazioni che
identificassero diversi momenti applicativi delle modificazioni normative.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’illegittimità della sentenza ove non
considera che ai sensi dell’art. 3, co. 1 della I. 212 del 2000 le modifiche relative ai
tributi periodici entrano in vigore dal periodo d’imposta successivo a quello in corso
alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
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Co
est Fede rici

al piano di stock options, con offerta gratuita del diritto di opzione, l’argomentazione

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A parte i profili di novità del motivo rispetto alle questioni trattate nel precedenti
gradi di giudizio, è qui sufficiente evidenziare che, quand’anche il principio possa
riguardare modifiche normative introdotte in materia di esenzione da imposta, resta
fermo che il presupposto applicativo sia la periodicità. Nel caso che ci occupa
all’oggetto della disciplina -la regolamentazione fiscale delle stock options- è del tutto
estraneo il carattere della periodicità, non potendosi neppure configurare una tipologia
di agevolazione con carattere pluriennale.

Deve invece accogliersi il terzo motivo, con il quale si lamenta l’omessa pronuncia
sulla ulteriore eccezione sollevata dal contribuente, relativa alla circostanza che i
tempi di esercizio del diritto di opzione erano stati modificati, con conseguente
inapplicabilità del regime agevolativo, non per volontà del contribuente,
costringendolo pertanto ad una scelta obbligata e priva di alternative.
Sul punto risultano riportate le difese articolate dal contribuente e non risulta che
la sentenza abbia inteso pronunciarsi, sicchè essa è viziata ex art. 112 per mancata
corrispondenza tra il chiesto e pronunciato.
Trattandosi comunque di questione di diritto, per la quale non vi è necessità di
accertamenti di fatto, il motivo può essere deciso nel merito dinanzi a questa Corte ai
sensi dell’art. 384, co. 2, c.p.c.
Anche tale censura è infondata e va rigettata.
Il contribuente ha sostenuto che il mancato rispetto dei requisiti prescritti dall’art.
51 co. 2 bis TUIR, come modificato dall’art. 2, co. 29 del d.l. n. 262 cit., sia dipeso
dalla società, che intese anticipare il momento di esercizio del diritto di opzione, così
di fatto impedendo il decorso del periodo minimo di tre anni dalla sua attribuzione
previsto dalla norma (lett. a).
A parte che nel caso di specie il contribuente ha violato anche il requisito di cui
alla lett. c), ossia la cessione delle azioni prima del decorso del quinquennio
dall’esercizio della opzione, e questo non per volontà della società, ma di sua
iniziativa, sul punto la giurisprudenza di legittimità, già intervenuta, ha
condivisibilmente affermato che <> (Sent. n. 9465/2017 cit.).
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Cons,.
/

t. Federici
/

Il motivo va dunque rigettato.

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Deve peraltro aggiungersi che non ha alcuna influenza sulla interpretazione ora
resa la risoluzione n. 118/E del 12 agosto 2005 della Agenzia delle Entrate, che fa
riferimento ad una fattispecie in cui il mancato rispetto del requisito del periodo
minimo di trasferimento delle azioni era stato imposto ex lege, ciò che qui non si è
verificato.
In conclusione il ricorso introduttivo è infondato e va rigettato.
Stante l’esito del giudizio, con l’infondatezza nel merito anche del terzo motivo di

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione in favore della
Agenzia delle spese di giudizio, che si liquidano in C 12.000,00, oltre eventuali spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il giorno 14 marzo 2018.

ricorso, le spese seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo.

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