Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18915 del 31/08/2010

Cassazione civile sez. I, 31/08/2010, (ud. 06/07/2010, dep. 31/08/2010), n.18915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA OPI s.p.a. – BANCA PER LA FINANZA DELLE OPERE PUBBLICHE E ALLE

INFRASTRUTTURE, con domicilio eletto in Roma, Piazza Mazzini n. 27,

presso l’Avv. RAIMONDI Oscar che la rappresenta e difende come da

procura speciale in atti;

– ricorrente –

coltro

R.M.S. ITALIA LINE s.p.a., fallita, in persona del curatore pro

tempore, con domicilio eletto in Roma, Largo Gaetano La Loggia n. 33,

presso l’Avv. Mara Mandrè, rappresentata e difesa dall’Avv.

SORRENTINO Casimiro, come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n.

1334/06 depositata il 16 marzo 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

giorno 6 luglio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per

l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso;

udito l’Avv.to Oscar Raimondi per la ricorrente.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il fallimento della RMS Italia Line s.r.l. (in seguito: RMS) conveniva in giudizio avanti al tribunale di Roma nell’anno 1996 la IMI Lease s.p.a. (oggi Banca OPI s.p.a.) al fine di sentirla condannare alla restituzione di alcuni beni asseritamente di proprietà RMS che si assumeva fossero rimasti a bordo di due navi che, concesse in locazione finanziaria nel 1988 alla stessa, erano state riconsegnate alla IMI Lease nel 1990 in seguito a risoluzione del contratto per inadempimento della RMS ed in esecuzione di un decreto ingiuntivo di riconsegna emesso dal Tribunale di Roma e da questa poi cedute ad acquirente straniero. Costituendosi, Banca OPI contestava la sussistenza del credito e comunque ne richiedeva la compensazione con il maggior credito dalla stessa vantato ed ammesso nel fallimento della RMS. Il Tribunale rigettava la domanda e condannava la curatela al pagamento delle spese.

Le sentenza, impugnata dal fallimento, veniva riformata dalla Corte d’appello che dopo aver integrato l’istruttoria, condannava Banca Opi al pagamento di Euro 82.429,53, oltre alle spese di entrambi i gradi.

Ricorre per cassazione Banca OPI affidandosi a cinque motivi.

Resiste l’intimato fallimento con controricorso.

Banca OPI ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Giova premettere, a fronte dell’eccezione sollevata dalla curatela, che il ricorso è tempestivo in quanto, benchè notificato solo in data 29 novembre 2006 in esito a richiesta in data 28 novembre 2006, e quindi dopo la scadenza del termine del 14 novembre 2006 (la sentenza è stata notificata il 20 luglio 2006), è stato consegnato una prima volta per la notifica proprio in tale data e la formalità non è andata a buon fine solo a causa del mutamento di indirizzo del difensore della curatela. E’ quindi applicabile il principio secondo cui “In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio delLa ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie. (In applicazione dei suddetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile l’appello rinotificato – in seguito alla riattivazione del procedimento notificatorio effettuata, successivamente alla scadenza dei termine lungo, dopo pochi giorni dalla conoscenza dell’esito negativo del primo, tempestivamente chiesto – presso il domicilio eletto dall’avvocato e dalla parte nel luogo sede dell’ufficio giudiziario, il cui cambiamento non era stato comunicato aLLa controparte)’ (Cassazione civile, sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352).

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 1372 c.c., per avere la Corte d’appello ignorato che in base alle condizioni contrattuali (i contratti di locazione finanziaria delle due navi) la pretesa del fallimento che aveva richiesto la restituzione o il controvalore del carburante e di alcuni carrelli che si sarebbero trovati sulle navi al momento della riconsegna delle stesse era infondata in quanto l’art. 4 prevedeva espressamente la rinuncia dell’utilizzatore (e quindi della IMI Lease) ad ogni indennità “per i miglioramenti eventualmente apportati sulla nave e/o per le addizioni eseguite sulla medesima”.

Il motivo è inammissibile. La questione sollevata non è stata minimamente affrontata dalla Corte d’appello per cui deve ritenersi che la censura sia nuova; diversamente, la sentenza avrebbe dovuto essere censurata per violazione dell’art. 112 c.p.c., previa descrizione, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, delle modalità con cui la questione stessa sarebbe stata ritualmente sottoposta alla valutazione del giudice del merito.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1153, 1147, 1150 e 1458 c.c., per avere la corte d’appello ritenuto legittimata la RMS alla richiesta di risarcimento del danno conseguente alla perdita dei beni esistenti sulle navi riconsegnate e non di proprietà della locatrice in base alla circostanza che la prima ne avesse il possesso senza considerare che questo non era caratterizzato dalla buona fede con conseguente inapplicabilità del principio “possesso vale titolo”.

Il motivo non è fondato. A parte la considerazione che la circostanza dedotta e relativa alla caratterizzazione del possesso come possesso in mala fede è nuova non essendo stato richiesto nella fase di marito alcun accertamento sul punto, ciò che è decisiva è comunque l’erroneità della tesi in diritto.

Premesso invero che “In tema di legittimazione alla domanda di danni, deve ritenersi che il diritto al risarcimento può spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all’esercizio di quel potere. E’ dunque tutelabile in sede risarcitoria anche la posizione di chi eserciti nei confronti dell’autovettura danneggiata in un sinistro stradale una situazione di possesso giuridicamente qualificabile come tale ai sensi dell’art. 1140 c.c.” (Cassazione civile, sez. 3^, 23 febbraio 2006, n. 4003) nessuna incidenza, al fine che qui interessa, ha la qualifica del possesso in quanto ciò che conta ai fini della legittimazione al risarcimento è solo il rapporto di fatto con la cosa e l’esistenza dell’animus possidendi in capo al soggetto titolare de rapporto stesso, quali situazione idonea a far rientrare il bene di fatto nel suo patrimonio e quindi a creare il presupposto perchè il danneggiamento gli arrechi un pregiudizio.

Nè vale a negare la rilevanza del possesso ai fini della legittimazione la circostanza, evidenziata come ulteriore motivo di censura, secondo cui la RMS lo avrebbe perso in seguito alla risoluzione del contratto di locazione trasformandosi in semplice detentrice delle navi in quanto il rilievo, prescindendo dalla sua fondatezza, potrebbe attenere solo ai beni concessi in locazione e non certo a quelli estranei alla stessa il cui regime giuridico è indifferente alla invocata risoluzione.

Neppure può sostenersi, infine, l’insussistenza del diritto al risarcimento sul presupposto che la RMS ha perso il possesso quantomeno all’atto della riconsegna delle navi e quindi anche dei beni nelle stesse contenute senza esercitare tempestivamente l’azione di spoglio o altrimenti tutelare il suo diritto, posto che nella fattispecie il possesso non viene in discussione quale situazione di fatto oggetto di autonoma tutela ma in quanto elemento qualificante ai fini della legittimazione alla pretesa risarcitoria per la definitiva perdita della cosa ed è quindi del tutto irrilevante che non sia stato giudizialmente difeso in quanto tale, posto che tale difetto di tutela la ricorrente, alla quale, insieme alla navi, sono stati consegnati i beni, non ha subito alcun danno, avendo acquisito i beni stressi.

Con il quinto motivo, che ragioni di priorità logica impongono di esaminare a questo punto, si censura sotto il profilo della violazione di legge e dei difetto di motivazione la decisione impugnata per avere il giudice ritenuto provato che i beni oggetto della richiesta del fallimento si trovassero a bordo delle navi al momento della loro riconsegna.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. E’ inammissibile laddove propone la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto il quesito di diritto che la correda parte da un presupposto indimostrato è cioè che la corte abbia ritenuto sussistente un fatto “che gli atti di causa dimostrano oggettivamente infondato”.

E’ infondato laddove censura la motivazione in quanto la corte di merito ha dato congruamente conto delle ragioni per cui ha ritenuto presente a bordo il combustibile il cui valore è stato rivendicato ed ogni tentativo di mettere in dubbio la credibilità dei testi e la rilevanza degli elementi di fatto valorizzati dal giudicante rivela nella sostanza la richiesta di una diversa valutazione del materiale probatorio inammissibile in sede di legittimità.

Con il terzo e il quarto motivo, esposti contestualmente e alla stessa stregua esaminabili, si censura, sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, la sentenza impugnata per avere escluso la compensazione tra il debito della ricorrente per il valore corrispondente ai beni non restituiti e il maggior credito dalla stessa vantato nei confronti della fallita e ammesso allo stato passivo.

I motivi sono fondati essendo errato il principio enunciato dalla corte territoriale a fondamento della decisione secondo il quale “l’obbligo di restituzione dei beni di pertinenza del fallito era sorto con la dichiarazione di fallimento, in quanto in tale momento erano ancora esistenti … sicchè trattasi di debito di massa e l’eventuale compensazione violerebbe il principio della par condicio”.

A parte l’errore materiale contenuto nella sentenza in quanto quello asseritamente di pertinenza della massa sarebbe stato un credito e non un debito, in quanto, diversamente, non sarebbe neppure ipotizzabile una compensazione, vero è, invece, che l’obbligo di restituzione a carico della IMI Lease è sorto nel momento in cui la stessa ha ottenuto la riconsegna delle navi e di quanto sulle stesse contenuto posto che non aveva alcun titolo per trattenere beni non di sua pertinenza. Se dunque era preesistente al fallimento l’obbligo di restituzione, preesiste al fallimento, ai fini della compensazione, anche il debito del pagamento dell’equivalente del valore dei beni non più restituibili in quanto ceduti a terzi dal momento che il fatto generatore del credito in favore della RMS e cioè l’illegittima apprensione dei beni di sua pertinenza si è verificato anteriormente alla dichiarazione di fallimento, così come sono sorti anteriormente a tale data anche i crediti insinuati allo stato passivo; è invero principio da tempo saldamente acquisito quello secondo cui “La compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purchè il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che è sufficiente che i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia” (Cassazione civile, sez. un., 16 novembre 1999, n, 775; conforme Cassazione civile, sez. un., 2 novembre 1999, n. 755). Nè rileva che la questione non sia stata posta in sede di verifica del passivo, posto che è già stato ritenuto che “il titolare dei credito ammesso in via definitiva al passivo fallimentare convenuto in giudizio dal curatore per il pagamento di un credito dovuto all’imprenditore insolvente, può opporre in compensazione, fino a concorrenza, il proprio credito, senza che gli si possa eccepire la rinuncia tacita alla compensazione, quale automatica conseguenza della domanda di ammissione al passivo, o l’efficacia preclusiva del provvedimento di ammissione al passivo in via definitiva” (Cass. Civ., 24 aprile 2007, n. 9912).

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti di cui in motivazione.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto dichiarata l’intervenuta parziale compensazione tra il credito accertato dalla Corte d’appello in favore della fallita e quello ammesso allo stato passivo della medesima in favore della ricorrente.

La complessità della vicenda induce alla compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, dichiara integralmente compensato il debito accertato a carico della Banca OPI in favore della fallita R.M.S. Italia s.r.l. con il maggior credito dalla stessa vantato nei confronti della seconda e già ammesso allo stato passivo; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010

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