Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18910 del 31/08/2010

Cassazione civile sez. I, 31/08/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 31/08/2010), n.18910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11708/2005 proposto da:

P.W.G. (c.f. (OMISSIS)), P.L.,

P.P., queste ultime anche nella qualità di coeredi

G.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.B.

VICO 1, presso l’avvocato PROSPERI MANGILI Lorenzo, che li

rappresenta e difende, giusta procura a margine del 1345 ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI RIMINI (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIO CESARE 14/B,

presso l’avvocato BARBANTINI MARIA TERESA, rappresentato e difeso

dagli avvocati BRANCALEONI Antonio, FONTEMAGGI MARIA ASSUNTA, FABBRI

ELENA, rispettivamente giusta procura in calce al ricorso notificato

e procura speciale per Notaio Avv. MAURO PLESCIA di RIMINI – Rep. n.

50.431 del 20.5.10, depositata il 10.6.20;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 566/2004 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/06/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato PROSPERI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

uditi, per il controricorrente, gli Avvocati FABBRI e FONTEMAGGI che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 26 giugno 1991 gli odierni ricorrenti citarono il Comune di Rimini davanti tribunale della stessa città, sostenendo che l’ente aveva occupato senza titolo, e destinato a strada, i terreni di loro proprietà, dei quali indicavano gli estremi catastali, e chiesero la condanna del convenuto alla restituzione o al risarcimento dei danni.

Il comune convenuto si difese sostenendo che, nel piano di espropriazione per opere di urbanizzazione oggetto della Deliberazione 15 gennaio 1990, gli attori erano interessati per soli 20 mq, mentre gli altri beni indicati dagli attori erano stati utilizzati per la costruzione della (OMISSIS), in forza di lottizzazione approvata nel (OMISSIS) su richiesta di P.L. P., dante causa comune degli attori.

Il Tribunale di Rimini, con sentenza 10 gennaio 2000, accertò che la Deliberazione Comunale 15 gennaio 1990 riguardava solo il collegamento tra le (OMISSIS), sicchè il terreno degli attori occupato provvisoriamente era stato di 40 mq, e quello occupato definitivamente di 20 mq, mentre la (OMISSIS) era stata costruita negli anni sessanta per effetto della lottizzazione P.- G., come risultava da una relazione del Comune di Rimini in data 9 novembre 1992, nella quale si dava atto della destinazione della (OMISSIS) a servitù di uso e passaggio pubblico, e da numerosi atti di vendita nei quali gli acquirenti si obbligavano nei confronti del P. a lasciare libera una striscia di terreno da destinare a strada, nonchè da un atto di vendita del 1977, nel quale lo stesso P. risultava aver assunto l’obbligo di mantenere a strada pubblica una particella già incorporata nella (OMISSIS).

Il tribunale aggiunse che, anche a voler ritenere che il comune avesse occupato abusivamente gli appezzamenti, il diritto degli attori sarebbe prescritto. Il tribunale liquidò, in via equitativa, il risarcimento dovuto per quanto effettivamente occupato (20 mq in via permanente e 40 mq in via provvisoria) in L. 30.000.000.

Investita dagli attori del gravame contro questa sentenza, la corte d’appello di Bologna lo respinse con sentenza 6 aprile 2004.

Basandosi sulla pur contestata relazione del comune, per la sua valenza probatoria derivante dalla presunzione semplice di imparzialità della pubblica amministrazione, anche laddove sia parte in causa, nonchè sugli atti di vendita prodotti in giudizio e non contestati dagli appellanti, la corte confermò il giudizio del tribunale, che ad eccezione di una porzione di mq 40, interessata dall’occupazione, gli appezzamenti in questione erano stati venduti a terzi e destinati a lottizzazione, sicchè per essi gli appellanti non potevano pretendere indennizzi. Si trattava di aree che dovevano essere cedute gratuitamente al comune della L. n. 1150 del 1942, ex art. 28 e su di essi, per effetto della strada realizzata sin dagli anni sessanta, sì era costituita una servitù pubblica, avendo il comune asfaltato e dotato di fogne la strada.

Quanto alla liquidazione equitativa del terreno occupato, contestata sia nel suo ammontare, e sia per il fatto di non essere stata rivalutata, la corte osservò che il consulente aveva stimato il valore dell’area in L. 140.000/mq, e dunque in misura largamente inferiore alla cifra liquidata, nella quale erano compresi interessi e rivalutazione, e che la liquidazione equitativa aveva superato ampiamente la rivalutazione. La corte pose le spese dell’appello a carico degli appellanti.

Per la cassazione della sentenza, non notificata, i signori P. W.G., P.L. e P.P. ricorrono con quattro mezzi d’impugnazione.

Resiste il comune con controricorso notificato il 22 giugno 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale, si denuncia l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie. Si censura il valore attribuito dal giudice di merito alla relazione del comune in data 9 novembre 1992, che contrasterebbe con le aree occupate abusivamente dal medesimo comune, non riporterebbe le particelle oggetto di alienazione, e renderebbe incomprensibile la relazione del consulente tecnico d’ufficio.

Si tratta di questioni di merito prive di valore decisivo in causa.

La sentenza impugnata è motivata, infatti, con il trasferimento dei diritti relativi alle proprietà immobiliari in questione, risultante dagli atti di vendita prodotti in giudizio, che non erano stati contestati dagli appellanti. Il motivo è pertanto inammissibile.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 834 e 2947 c.c.. Si contesta l’applicabilità della prescrizione del diritto al risarcimento in una fattispecie di occupazione usurpativa, come dovrebbe essere qualificata quella oggetto di causa.

Anche questo motivo è inammissibile. Nell’impugnata sentenza, la decisione sfavorevole ai ricorrenti non si basa su una supposta prescrizione del diritto al risarcimento del danno, bensì sulla preliminare esclusione – come si è visto a proposito del primo motivo – della titolarità del diritto di proprietà degli odierni ricorrenti sui terreni diversi da quello, occupato in forza della Deliberazione Comunale 15 gennaio 1990, per il quale invece il risarcimento è stato accordato.

Con il terzo motivo, lamentando la determinazione equitativa del danno operata dal tribunale in misura minore di quella indicata dal consulente d’ufficio, i ricorrenti censurano l’affermazione della corte d’appello, che essi non avrebbero chiesto il riconoscimento della rivalutazione monetaria, e deducono che la somma liquidata non potrebbe contenere – come si afferma nell’impugnata sentenza – tutti gli elementi che compongono il danno liquidato, perchè nella sentenza di primo grado, oltre alla somma di L. 30.000.000, si faceva espresso riferimento anche agli interessi legali.

Il motivo è inammissibile, perchè non censura l’affermazione della corte territoriale, che la somma liquidata “supera ampiamente” la rivalutazione richiesta.

Con il quarto motivo si censura il regolamento delle spese, posto dalla corte d’appello a carico degli appellanti.

Il motivo è infondato. Nel giudizio di gravame gli appellanti erano interamente soccombenti, e la condanna alle spese costituiva puntuale applicazione dell’art. 91 c.p.c..

In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese processuali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010

 

 

 

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