Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18910 del 17/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 18910 Anno 2018
Presidente: CRUCITTI ROBERTA
Relatore: GIUDICEPIETRO ANDREINA

Data pubblicazione: 17/07/2018

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24956/2011 R.G. proposto da
Stefano Loconte, difensore di se stesso, elettivamente domiciliato in Roma
alla via Giovanni Battista Martini n.14 presso l’avv. Marzia Paolella
– ricorrente contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata
dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
e
Equitalia Sud S.p.A. , in persona del I.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv.
Ivana Carso, elettivamente domiciliata in Roma alla via Nomentana n.403
B/2 presso l’avv. Antonella Fiorini
-con troricorrenti avverso la sentenza n.105/6/10 della Commissione Tributaria Regionale
della Puglia del 2/7/2010, depositata il 30/9/2010 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14/3/2018 dal
Consigliere Andreina Giudicepietro;

f

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
dott. Immacolata Zeno, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
secondo e quarto motivo di ricorso, il rigetto del terzo e la dichiarazione di
inammissibilità del primo e dei quinto;
udito l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per l’Agenzia delle Entrate.

1. Stefano Loconte ricorre con cinque motivi

ktgl’Agenzia delle

Entrate e l’Equitalia Sud S.p.A. per la cassazione della sentenza n.105/6/10
della Commissione Tributaria Regionale della Puglia del 2/7/2010,
depositata il 30/9/2010 e non notificata, che, in controversia concernente
l’impugnativa delle cartelle di pagamento, emesse ex art.36 ter D.P.R.
n.600/73, di rettifica delle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF per gli anni
2003 e 20004, ha rigettato l’appello del contribuente avverso la sentenza
della C.T.P. di Bari, che, a sua volta, previa riunione di due distinti ricorsi
del contribuente, ne aveva rigettato uno e parzialmente accolto un altro,
limitatamente allo sgravio disposto dall’Amministrazione in sede di
autotutela
2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Puglia ha ritenuto che il
contribuente non avesse dimostrato le ritenute alla fonte effettuate dai
sostituti d’imposta, omettendo di produrre la certificazione prevista dalla
legge, né avesse prodotto idonea documentazione relativa al contributo
integrativo, al premio assicurativo in favore del coniuge e alle spese di
ristrutturazione. La C.T.R. ha, inoltre, ritenuto che l’iscrizione a ruolo e la
notifica della cartella esattoriale fossero state eseguite tempestivamente, ai
sensi dell’art.1, comma 5 ter, lett. b) del D.Lgs. n.106/2005, convertito in
legge n.156 del 31/7/2005 (cioè entro il 31 dicembre del quarto anno
successivo a quello di presentazione della dichiarazione per l’anno 2003,
entro il terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione
per l’anno 2004). Il giudice di appello ha anche escluso che l’invio tardivo
della comunicazione di irregolarità costituisse causa di nullità degli atti
conseguenti, in mancanza di un’espressa previsione legislativa. Infine, circa
l’omessa indicazione del responsabile del procedimento di emissione e

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FATTI DI CAUSA .

notifica della cartella e del responsabile dell’iscrizione a ruolo, la C.T.R.
rilevava che essa non era causa di nullità.
3. A seguito del ricorso del contribuente, l’Agenzia delle Entrate e
l’Equitalia Sud S.p.A.

si costituivano e resistevano con controricorsi,

notificati rispettivamente il 22/11/2011 ed il 26/11/2011.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la nullità della
sentenza impugnata per l’omessa pronuncia su uno dei motivi di appello e la
violazione dell’art.112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, c.p.c.
Secondo il ricorrente i giudici di secondo grado non avrebbero
pronunciato su alcuni punti del motivo di appello n.3, attinenti all’illegittimo
disconoscimento delle spese di ristrutturazione, illegittimo disconoscimento
degli oneri deducibili relativi ai contributi INPS ed ai premi assicurativi,
illegittimo disconoscimento degli oneri relativi al fondo pensione integrativo
in favore del coniuge fiscalmente a carico, errato calcolo dei contributi
versati alla cassa forense.
1.2. Il motivo è infondato e deve essere rigettato.
1.3. Ed invero, a pagina 7 della sentenza impugnata, la C.T.R. della
Puglia rileva che “l’Agenzia ha reiteratamente invitato il contribuente a
fornire la certificazione rilasciata dal sostituto d’imposta; la documentazione
del contributo integrativo, per altro indeducibile; del premio assicurativo
intestato al coniuge fiscalmente non a carico, nonché delle spese di
ristrutturazione, stante la mancata comunicazione al Centro Servizi delle
II.DD., da effettuarsi per legge prima dell’inizio dei lavori ed alla quale
avrebbe dovuto far seguito l’invio delle relative fatture”.
Il giudice di appello, quindi, sia pure sinteticamente, si è pronunciato su
tutti i punti oggetto del terzo motivo di appello, ritenendoli infondati, perché
carenti di prova, non avendo il contribuente prodotto la documentazione che
l’Amministrazione gli aveva richiesto, evidentemente sul presupposto che, in
tema di accertamento tributario, l’omessa o intempestiva esibizione da
parte del contribuente di dati e documenti in sede amministrativa è

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4. Il ricorrente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

sanzionata con la preclusione processuale della loro allegazione e
produzione in giudizio. Inoltre, la C.T.R. si è anche espressa
sull’indeducibilità del contributo integrativo e dei premi assicurativi in favore
del coniuge non fiscalmente a carico, nonché sulla mancanza della previa
comunicazione per la deduzione dei lavori di ristrutturazione.
Il

motivo

di

ricorso,

risulta,

quindi,

infondato,

perché,

decisione, non è ravvisabile la denunciata omissione di pronuncia.
2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’omessa valutazione
della documentazione probatoria tempestivamente prodotta nel giudizio di
appello, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5, c.p.c., del tutto idonea a
dimostrare l’avvenuta effettuazione delle ritenute d’imposta da parte dei
clienti dell’avv. Loconte. Secondo il ricorrente, la C.T.R. avrebbe omesso di
esaminare la dichiarazione sostitutiva, le fatture e la documentazione
bancaria, da cui sarebbe dato evincersi la prova dell’effettivo
assoggettamento a ritenuta dei compensi per le prestazioni professionali,
pure in assenza della certificazione rilasciata dai sostituti di imposta.
Con il quarto motivo, connesso al secondo, il ricorrente denuncia
l’illegittimità della sentenza impugnata per la violazione e falsa applicazione
dell’art.4, comma 6 ter , D.P.R. n.322/98 e dell’art.22 D.P.R. n.917/86.
Sostiene il ricorrente che la decisione impugnata non sarebbe conforme alla
normativa citata nel ritenere che la mancata esibizione della certificazione di
cui all’art.4, comma 6 ter, D.P.R. n.322/98 legittima il disconoscimento delle
ritenute d’acconto subite dal contribuente e dimostrate dalle fatture, dai
versamenti bancari e dalla dichiarazione di notorietà del contribuente.
Afferma, inoltre, di aver tempestivamente prodotto, su richiesta dell’Ufficio,
una copia delle certificazioni rilasciate dai sostituti di imposta con
riferimento ai redditi di lavoro professionale conseguiti nell’anno 2003 e di
non aver potuto produrre le altre, perché mai rilasciate al contribuente dai
sostituti di imposta.
2.2. I motivi sono fondati e vanno accolti.
2.3. Già secondo risalenti pronunce di questa Corte, l’inosservanza
dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la

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indipendentemente da ogni considerazione sulla condivisibilità della

certificazione attestante le ritenute operate non toglie al contribuente
sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando
la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (Cass. 4 agosto
1994, n. 7251, Rv. 487652). Ancor prima, la Corte ha affermato che il
contribuente non può essere assoggettato di nuovo all’imposta sol perché
chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al

“La norma, attualmente vigente, dedicata allo sconputo delle ritenute
d’acconto ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano
state «operate» (art. 22 d.P.R. 917/1986). Rileva, quindi, un fatto storico
(decurtazione del corrispettivo), che, seppur viene provato tipicamente
mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere provato
con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subìto. Significativo appare che
la stessa Agenzia delle entrate si sia infine determinata a consentire lo
scomputo delle ritenute non certificate, ove il contribuente ne dia prova
equivalente al certificato (risoluzione 19 marzo 2009, n. 68/E). La norma
sul controllo formale delle dichiarazioni, usualmente intesa come fonte del
recupero delle ritenute non certificate, deve essere integrata secondo i
princìpi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici
«possono» escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da
certificazioni dei sostituti d’imposta, l’art.

36-ter d.P.R. 600/1973 deve

essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici
tributari) «possono» apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso
equipollenti” (Cass. sent. n. 14138/2017).
Nel caso di specie, la C.T.R. della Puglia ha escluso che il contribuente
potesse provare le ritenute alla fonte in modo diverso dall’esibizione della
certificazione del sostituto d’imposta. Inoltre, su tale erroneo presupposto,
ha omesso una valutazione complessiva della documentazione (atto notorio,
fatture, versamenti bancari) prodotta dal contribuente, limitandosi a rilevare
l’insufficienza, ai fini probatori, della dichiarazione di responsabilità dello
stesso contribuente, priva dei codici fiscali e dei dati identificativi dei clienti,
senza chiarire se la genericità della dichiarazione potesse essere superata
dall’ulteriore documentazione prodotta.

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fisco (Cass. 3 luglio 1979, n. 3725, Rv. 400153).

Il secondo ed il quarto motivo di ricorso, quindi, devono essere accolti
e la sentenza cassata, con rinvio per nuovo esame e regolamento delle
spese.
Il giudice di rinvio si atterrà al seguente principio di diritto: «in tema di
imposte sui redditi, ai fini dello scomputo della ritenuta d’acconto, l’omessa
esibizione del certificato del sostituto d’imposta attestante la ritenuta

con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo». (cfr. Cass. sent.
n. 14138/2017).
3.1. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 7,
comma 2, lett. a) L. n.212/00 ed 8 L. n. 241/90, in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 3, c.cp.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non ritiene
che la mancata indicazione del responsabile del procedimento nella cartella
di pagamento non ne determini l’illegittimità.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3. “L’indicazione del responsabile del procedimento negli atti
dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dall’art. 7 della legge 27
luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), a pena di nullità, in
quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento
dall’art. 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con
modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle
cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere
dal 1 giugno 2008 “(S.U. n.11722/2010; ord. n.11856/17).
In particolare, ai sensi dell’art.36 , comma 4 ter, D.L. 248/07, come
ricordato dallo stesso ricorrente, la mancata indicazione del responsabile del
procedimento, con riferimento a cartelle di pagamento relative a ruoli
consegnati prima del 1 giugno 2008, non è causa di nullità delle stesse.
Né può ritenersi fondata le tesi secondo cui, in caso di omessa
indicazione del responsabile, le cartelle emesse entro il 31/5/2008 sono
annullabili, mentre quelle emesse dal 1/6/08 sono nulle.
“La cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del
procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in
data anteriore al 10 giugno 2008, pur essendo in violazione dell’art. 7,

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operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa

comma 2, lett. a) della legge 27 luglio 2000, n. 212, non è affetta né da
nullità, atteso che l’art. 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248,
convertito dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, ha previsto tale sanzione
solo in relazione alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della
riscossione a decorrere dal 10 giugno 2008, né da annullabilità, perché,
essendo la disposizione di cui all’art. 7 della legge n. 212 del 2000 priva di

costituzionali del destinatario, trova applicazione l’art. 21 octies della legge
7 agosto 1990, n. 241, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva
tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa,
prevede la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, come nel caso di cartella esattoriale, il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato” (Cass. sent. n.4516/2012; n.332/16; vedi anche S.U.
sent. n. 14878/09).
4.1. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art.36
ter D.P.R. n.600/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.cp.c., per
l’intempestivo esercizio del controllo del Modello unico 2004 per l’anno di
imposta 2003. Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata, nel ritenere
tempestiva l’iscrizione a ruolo e la notifica delle cartelle di pagamento, ai
sensi dell’art.1, comma 5 ter, lett. b) del D.Lgs. n.106/2005, convertito in
legge n.156 del 31/7/2005 (cioè entro il 31 dicembre del quarto anno
successivo a quello di presentazione della dichiarazione per l’anno 2003,
entro il terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione
per l’anno 2004), avrebbe erroneamente trascurato che il controllo formale
della dichiarazione dovesse essere espletato entro il 31 dicembre del
secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, a
pena di decadenza.
4.2. Il motivo è infondato.
4.3. Ed invero, da una lettura sistematica degli artt 36 bis e 36 ter
D.P.R. n.600/73, in relazione all’art.1, comma 5 ter, lett. b) del D.Lgs.
n.106/2005, convertito in legge n.156 del 31/7/2005, appare evidente che il

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sanzione, e non incidendo direttamente la violazione in questione sui diritti

termine per l’esercizio del potere di accertamento ex art.36 ter D.P.R.
n.600/73 non è perentorio, poiché l’unico termine che prevede una
decadenza per l’amministrazione è quello stabilito per la notifica della
cartella di pagamento, in relazione al quale la C.T.R. ha verificato la
tempestività dell’azione amministrativa, senza che il ricorrente abbia
impugnato sul punto.

di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio per nuovo esame e
regolamento delle spese.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R.
della Puglia, in diversa composizione, cui demanda la statuizione anche sulle
spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2018

5.1. In conseguenza dell’accoglimento del secondo e del quarto motivo

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