Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18909 del 28/07/2017

Cassazione civile, sez. VI, 28/07/2017, (ud. 25/05/2017, dep.28/07/2017),  n. 18909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25683-2016 proposto da:

B.I., in qualità di curatrice speciale della minore

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI 44, presso

lo studio dell’avvocato BARBARA URSELLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ELIANA TORRICELLI;

– ricorrente –

contro

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APRICALE 31, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO VITOLO, rappresentato e difesa dall’avvocato

MARCO RODOLFI;

– controricorrente –

e contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 517/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 18/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a sei motivi, B.I., in qualità di curatrice speciale della minore B.A., ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Lecce, in data 18 maggio 2016, che, in parziale riforma della decisione del Tribunale della medesima Città del 17 dicembre 2013, condannava la Unipolsai Assicurazioni S.p.A. e B.G., in solido tra loro, al pagamento, in favore di B.A., della minor somma di Euro 191.922,30, a titolo di risarcimento danni patiti nel sinistro stradale verificatosi il 19 luglio 2009, in (OMISSIS), da ascriversi a responsabilità di D.V., conducente dell’autovettura di proprietà del coniuge B.G., entrambi genitori della terza trasportata di B.A.;

che, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale, affermata la responsabilità della D. nella causazione del sinistro stradale, escludeva – diversamente da quanto deciso dal primo giudice, così da decurtare del relativo importo (Euro 280.000,00) l’ammontare risarcitorio – di poter riconoscere alla figlia minore della stessa D. il risarcimento del danno parentale, coincidendo la figura del responsabile dell’evento pregiudizievole con quella del congiunto deceduto;

che il giudice di appello, inoltre, riconosceva alla minore A. un maggior risarcimento a titolo di danno biologico, sia per il coefficiente dell’età (7 anni e non 8 al momento del sinistro) sia per la personalizzazione nella misura del 30%; di conseguenza, liquidava la complessiva somma risarcitoria di Euro 191.922,30, in ragione di Euro 168.447,00 a titolo di danno biologico, di Euro 32.325,00 a titolo di personalizzazione di detto danno, di Euro 8.870,50 a titolo di invalidità temporanea e di Euro 2.732,50 a titolo di spese mediche;

che resiste con controricorso la Unipolsai Assicurazioni S.p.A., mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato B.G.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la parte ricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che, con i primi tre motivi e con il quinto motivo, viene denunciata violazione di legge (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento agli artt. 2043,2056,2059,1223,1226 e 2697 c.c., D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 141,artt. 115 e 116 c.p.c.), nonchè omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo le doglianze tutte incentrate a censurare (sotto diversi profili) il mancato riconoscimento del danno parentale in favore della minore B.A.;

che, con il quarto motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nella mancata considerazione, da parte del giudice di appello, della documentazione, prodotto in giudizio, relativa a procedimento penale contro ignoti, pendente in (OMISSIS), da cui emergerebbe (in base alla espletata perizia sull’automobile del B.) che la verificazione del sinistro sarebbe dipesa “da un veicolo rimasto non identificato”;

che il quarto motivo – il cui scrutinio è logicamente prioritario è inammissibile;

che, in via assorbente, è sufficiente rilevare che, essendo il giudizio di appello di gran lunga successivo all’11 settembre 2012, la ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in ragione dell’ipotesi, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 di “doppia conforme” (in ordine all’accertamento sulla responsabilità del sinistro in capo alla conducente D., madre di B.A., per aver essa cagionato l’uscita di strada della autovettura per una mancanza di attenzione), avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, così da dimostrare che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014). Onere, questo, che non è stato affatto assolto (nè colto nella sua portata neppure dalla memoria di parte ricorrente) e che, invece, assumeva nella specie rilievo assai significativo, posto che – alla luce delle deduzioni del controricorso (p. 16) – l’accertamento fattuale anzidetto parrebbe in effetti conforme tra le due decisioni;

che, peraltro, ciò onerava ulteriormente la ricorrente di dedurre specificamente sul punto in esame anche al fine di dimostrare, in ragione del predetto accertamento del giudice di primo grado, l’insussistenza di un giudicato interno formatosi sulla responsabilità del sinistro, non risultando – in base alle allegazioni del ricorso – che a tal riguardo sia stato proposto appello incidentale da parte della medesima B.;

che, infine, non può non rilevarsi che, secondo quanto indicato in ricorso (p. 2), l’atto di citazione originario rappresentava una dinamica del sinistro affatto estranea all’intervento di un ulteriore e diverso autoveicolo (rispetto a quello condotto dalla D.) rimasto ignoto, così da rappresentare tale ultimo fatto costitutivo della pretesa risarcitoria attorea (inerente al profilo dell’an debeatum) una inammissibile mutatio libelli;

che, venendo allo scrutinio dei primi tre motivi e del quinto motivo, essi sono manifestamente infondati alla luce del principio – cui è ispirata la decisione assunta dalla Corte territoriale – secondo cui “in materia di responsabilità civile, nell’ipotesi di concorso della condotta colposa della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno, patito iure proprio dai congiunti della vittima, deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di contributo causale a quell’evento ascrivibile al comportamento colposo del deceduto, non potendosi al danneggiante fare carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile secondo il paradigma della causalità del diritto civile, la quale conferisce rilevanza alla concausa umana colposa” (Cass. n. 4208/2017; in precedenza, fra le altre, Cass. n. 18177/2007, Cass. n. 116984/2014, Cass. n. 23426/2014);

che, nella specie, l’assorbente responsabilità nella causazione del sinistro della D., madre della minore che invoca il risarcimento del danno parentale, esclude in radice tale diritto in capo alla stessa minore (là dove la stessa memoria della ricorrente non coglie, per l’appunto, la relazione tra principio di diritto e accertamento di fatto del giudice di merito);

che, con il sesto motivo, ci si duole di “un errore nello svolgimento del calcolo matematico” commesso dal giudice di appello nel sommare le poste risarcitorie dovute alla minore danneggiata;

che il motivo è inammissibile (e inammissibile è, altresì, la correzione di tiro effettuata con la memoria, con cui si nega l’esistenza del già dedotto errore di calcolo), giacchè la correzione dell’errore materiale o di calcolo commesso dal giudice del merito che ha pronunciato la sentenza viziata è rimediabile con procedimento di correzione ai sensi dell’art. 287 c.p.c. (dinanzi allo stesso giudice di detta sentenza) e non in sede di legittimità (tra le tante, Cass. n. 28712/2013 e Cass. n. 5727/2015);

che il ricorso va, pertanto, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014;

che non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 3 della Corte suprema di Cassazione, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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