Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18909 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. II, 11/09/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 11/09/2020), n.18909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3604/2016 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Alcide De

Gasperi 21, presso lo studio dell’avvocato Vandoni Cristiana, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Tosi Silvio;

– ricorrente –

contro

M.M., R.R., elettivamente domiciliati in Roma V.le

G. Cesare 21, presso lo studio dell’avvocato Malatesta Francesco,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Conti Stefano,

Leoni Andrea;

– controricorrenti –

e contro

R.G., elettivamente domiciliato in Roma Via L.

Bonincontri 44, presso lo studio dell’avvocato Monno Francesco

Saverio, rappresentato e difeso dall’avvocato Sella Antonio

Domenico;

– controricorrente –

e contro

R.D.;

– intimato –

avverso la sentenza non definitiva n. 1390/2012, depositata il 14

giugno 2012, la sentenza non definitiva n. 1540/2014, depositata l’1

luglio 2014, la sentenza definitiva n. 1425/2015, depositata il

28/05/2015, tutte della Corte d’appello di Venezia;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 da Dott. Tedesco Giuseppe;

uditi l’avvocato Mattia Ricci, su delega, per il ricorrente, l’avv.

Antonio Sella per R.G. e l’avv. Alessandro Ciampini, su

delega, per M.M. e R.R.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.R. e M.M., coniugi in regime di comunione legale, chiamavano in giudizio davanti al Tribunale di Verona R.A., R.G. e R.D., chiedendo sciogliersi la comunione su taluni beni immobili siti in (OMISSIS), comunione formatasi attraverso successioni mortis causa a R.R.G. (deceduto il (OMISSIS)) e ai di lui figli Ro.Do. (deceduta il (OMISSIS)) e R.E. (deceduto il (OMISSIS)), atti di cessione di quote in data 12 gennaio 1967, 4 luglio 1974, 3 dicembre 1974, 20 febbraio 1979, 18 dicembre 1990, ed estinzione di usufrutto per morte di C.N. (deceduta il (OMISSIS), vedova di R.R.G.).

Instauratosi il contraddittorio, R.A. aderiva alla domanda di divisione e proponeva domanda di rendiconto nei confronti di R.R. e R.G., mentre R.D. eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva.

Il tribunale, con sentenza non definitiva, disattesa l’eccezione di R.D., disponeva la divisione in base al progetto divisionale formato dal consulente tecnico, ordinando la prosecuzione della causa sulle domande di rendiconto, reciprocamente proposte dai condividenti.

Quindi, con sentenza definitiva, dichiarava inammissibile la domanda di rendiconto proposta dagli attori e la analoga domanda di R.D.; dava atto che R.G. aveva rinunciato alla domanda di resa del conto; rigettava nel merito la domanda di rendiconto di R.A..

Contro le sentenze del tribunale proponevano distinti appelli principali R.D. e R.G., che erano poi riuniti.

Le altre parti, costituitisi in ambedue le impugnazioni, proponevano a loro volta appello incidentale.

La Corte d’appello di Venezia, riuniti gli appelli, con sentenza non definitiva n. 1390 del 2012, rigettava l’appello proposto da R.D. “in punto di legittimazione passiva ed in punto di rendiconto”.

Con la medesima sentenza disponeva la rinnovazione delle operazioni divisionali e l’ulteriore istruzione sulla sola domanda di resa del conto proposta da A..

Con ulteriore sentenza non definitiva n. 1540 del 2014, la corte d’appello così provvedeva: a) disponeva la divisione dei beni secondo il progetto di divisione predisposto dal consulente nominato nel grado, con la modifica suggerita da uno dei consulenti di parte; b) confermava la sentenza di primo grado in ordine al rigetto della domanda di resa del conto di R.A.; c) rimetteva la causa sul ruolo per provvedere ai frazionamenti indicati dal consulente tecnico.

Per la cassazione della sentenza R.A. ha proposto ricorso, affidato a otto motivi.

R.R. e M.M. hanno resistito con controricorso.

Ha resistito con controricorso anche R.G..

R.D. è rimasto intimato.

R.R. e M.M. hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via preliminare si chiarisce che i motivi di ricorso si riferiscono alla sentenza non definitiva della Corte d’appello n. 1540 del 2014. Parallelamente i richiami operati nel seguito della presente decisione sono da riferire a tale sentenza.

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 713 e 1350 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

1.1. La parte di sentenza oggetto di censura è quella di seguito trascritta: “Il CTU, a seguito di apposito quesito, ha verificato che tutti i beni oggetto del giudizio pervengono dalla successione di R.R.G.. Unico bene non pervenuto da detta successione è lo stradello di acceso n. (OMISSIS) – pur censito con coltura a “frutteto irriguo” attualmente corrisponde alla strada sterrata di accesso al fabbricato principale – essendo stato acquistato dai fratelli R. per la quota della metà (atto del 2 marzo 1968 tra R.F. e i condividenti R.). Orbene sostiene R.A. che, non rientrando lo stradello nella divisione ereditaria, ma facendo parte di massa diversa, lo stesso va tolto dalla porzione assegnata a R.A.. Inoltre sostiene che detto stradello risulta eccessivamente ristretto e la quota di pertinenza è di 1/5 e non di 1/3. Trattasi di assunti non condivisibili. Infatti, sebbene lo stradello non faccia parte della comunione ereditaria, in ogni caso è stato fatto oggetto di domanda di divisione (atto di citazione di R.R. e M.M.) e, quindi, correttamente ne è stato tenuto conto nella predisposizione del progetto divisionale. Altrettanto corretta è la scelta di mantenere la comproprietà dello stradello – stante appunto la sua funzione chè, altrimenti, dovrebbero essere costituite servitù di passaggio – e di mantenerla tra i soli condividenti che ne abbiano la reale utilità all’esito della divisione (escludendo così R.D.). Anche la quota di 1/3 dello stradello attribuita a R.R., R.G. e R.A. è esatta, con la precisazione che si tratta della quota di 1/3 della metà dello stradello (avendo i condividenti la comproprietà di 1/2 dello stradello)” (pag. 18 e 19 della sentenza).

1.2. Il ricorrente critica la decisione mediante il richiamo delle deduzioni operate nella memoria intitolata “Osservazioni alla bozza del CTU” e nelle deduzioni a verbale dove si afferma “lo stradello di accesso è proprietà di 1/2 acquistato dai fratelli e quindi trattandosi di un bene indivisibile resta nella proprietà degli stessi secondo le quote astratte di acquisto e non rientra nella divisione ereditaria” (pag. 6 del ricorso).

Egli sostiene inoltre che, “trattandosi di masse distinte, di due comunioni diverse per titolo, l’una ereditaria, l’altra convenzionale per atto di compravendita, necessitano di due distinte divisioni e per poter essere riunite in un’unica divisione e relativa sentenza, anche se richieste in atto di citazione, devono avere il consenso scritto di tutte le parti, trattandosi di diritti immobiliari; il che, evidentemente, non è avvenuto” (…). Va quindi escluso detto valore dalla porzione assegnata a R.A. e allo scopo va rinnovata la consulenza” (pag. 7 del ricorso).

1.3. Il motivo è infondato.

E’ certo che lo stradello è oggetto di una comunione diversa da quella ereditaria. Nello stesso tempo è però incontroverso che lo stradello ha la funzione di consentire l’accesso al fabbricato oggetto della comunione ereditaria.

In ragione della relazione di servizio esistente fra i due beni, la corte di merito, dopo avere correttamente rilevato che lo stradello costituiva pur sempre oggetto della domanda, ne ha disposto la divisione mediante attribuzione ai compartecipi destinatari di porzioni del fabbricato, con esclusione perciò di D., i cui diritti erano soddisfatti con altri beni.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che la suddivisione di un immobile importa un proporzionale spezzettamento delle pertinenze e la suddivisione di esse, solo se sia possibile il frazionamento; qualora tale possibilità manchi detto effetto non si produce e rimane in vita la comunione (Cass. n. 1967/1952; n. 12552/1992).

E’ ragionevole riconoscere che la permanenza della comunione non va affermata in termini astratti, ma con riferimento alla ratio che la impone, costituita dalla esigenza di preservare la funzione originaria della cosa che serve all’altra.

In questo senso la decisione della corte, di dividere lo stradello in modo da rendere la situazione di appartenenza speculare rispetto a quella del fabbricato, costituisce coerente applicazione del principio di cui sopra.

1.4. E’ vero tuttavia che la diversità del titolo della comunione sullo stradello avrebbe imposto che i diritti di ciascuno su di esso fossero liquidati separatamente (Cass. n. 15494/2019), mentre la corte ha avallato la scelta del consulente di cumulare la quota spettante a ciascuno sullo stradello alla quota sulle cose oggetto di comunione ereditaria. La unificazione, in considerazione della natura immobiliare dei diritti oggetto di comunione, avrebbe richiesto il consenso unanime dei compartecipi debitamente manifestato per iscritto (Cass. n. 6798/1992; n. 314/2009; n. 25756/2018).

Tale condizione nel caso di specie mancava. Il rilievo, tuttavia, non comporta la fondatezza della censura.

Il principio che vieta di unificare in unica massa i beni comuni derivanti da diverso titolo esprime una regola di svolgimento delle operazioni divisionali di cui agli artt. 713 c.c. e segg. e art. 784 c.p.c., che debbono, appunto, svolgersi distintamente per ciascuna comunione (Cass. n. 2408/1956; n. 131/1976; n. 2937/1979): “in caso di divisione del complesso si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti rispetto a questa, al di fuori e indipendentemente dai diritti che gli competono sulle altre masse. Nell’ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisibilità dei beni immobili che vi sono inclusi” (v. fra le tante Cass. n. 3014/1981).

La violazione del principio, quindi, non è riconoscibile in astratto, ma implica una verifica in concreto al fine di stabilire se l’unificazione abbia inciso sulla ripartizione dell’una o dell’altra comunione, che sarebbero state diverse se le masse fossero state mantenute separate. Diversamente l’unificazione rimane un fatto apparente, privo di conseguenze sullo svolgimento delle operazioni divisionali.

In questa prospettiva la verifica deve partire dalla considerazione che, secondo il progetto approvato, lo stradello, oggetto di separata comunione, ha il valore di Euro 2.000,00 a fronte dal valore degli altri beni pari a Euro 1.376.000,00.

In relazione all’esiguità del valore è lecita l’illazione che l’unificazione non abbia minimamente inciso nè sulla divisione dello stradello, correttamente attribuito ai condividenti risultati all’esito della divisione proprietari esclusivi della cosa principale, nè sulla ripartizione dei beni ereditari, essendosi piuttosto tradotta in una irrisoria modificazione dei conguagli che sarebbero derivati dall’una e dall’altra divisione. Dal momento che il principio di autonomia delle comunioni derivanti da diverso titolo non preclude la compensazione dei conguagli scaturiti dalle separate divisioni, il diverso iter che si doveva seguire avrebbe alla fine comportato il medesimo esito.

2. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 713,1350,720,726,727 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2.1. Il motivo, coordinato al motivo precedente, propone la seguente censura: “a seguito di atti intervenuti successivamente all’acquisto al momento dell’atto introduttivo la comproprietà del mezzo dello stradello competeva a R.A. (OMISSIS), R.D. (OMISSIS), R.G. (OMISSIS), R.R. (OMISSIS). Non si vede, quindi, in base a quale norma giuridica e senza alcuna domanda delle parti in merito sia stata variata attribuendone 1/3 ciascuno senza alcun atto scritto da parte dei comproprietari unici titolari del diritto di modificare le quote di comproprietà. Anche se fosse possibile chiedere la divisione all’interno del presente giudizio, ciò che si nega e se non fosse indivisibile lo stradello, sarebbero conservate le quote acquistate con regolari contratti nel corso del tempo. Aver maggiorato la quota di R.A. da circa 1/9 a 1/3 ha comportato una errata maggiorazione del valore di tale comproprietà che comporta sottrazione della corrispondente maggiorazione dalle quote di pertinenza di R.A., con conseguente necessità di rinnovare il progetto di divisione” (pag. 8 del ricorso).

2.2. In questi termini il motivo è infondato.

Lo stradello è stato diviso mediante attribuzione congiunta ai compartecipi assegnatari del fabbricato, il che ha comportato, inevitabilmente, che le quote di attribuzione congiunta fossero diverse da quelle originarie: pretendere che le quote restassero identiche vuol dire disconoscere la divisione, che è invece è stata operata mediante attribuzione della cosa a tre dei quattro comunisti originari. L’attribuzione pro indiviso del bene oggetto di divisione a più condividenti, da un lato, determina il venir meno della comunione originaria, dall’altro, comporta il sorgere di una diversa comunione ristretta ai soli partecipanti ai quali è stata assegnata la cosa (Cass. n. 4224/2007).

Il problema che si pone in questi casi è se l’attribuzione debba avvenire in modo da conservare fra gli assegnatari il rapporto esistente fra le quote originarie o invariabilmente per quote uguali. Se per esempio un bene, in comproprietà per 1/2 di Tizio, per 1/4 di Caio e per 1/4 di Mevio, è attribuito congiuntamente a Tizio e Caio, occorre chiedersi se l’attribuzione debba avvenire per 2/3 Tizio e 1/3 Caio (come sembra corretto ritenere) o in parti uguali.

Tuttavia non è questa la censura proposta dal ricorrente, che lamenta la mera variazione delle quote rispetto al titolo, variazione che è invece conseguenza aritmetica della divisione dello stradello così come operata dalla corte di merito, avuto riguardo alla natura pertinenziale del cespite.

3. Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 713,1350,720,726,727 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

3.1. Il motivo propone censura analoga a quella del precedente motivo in relazione a un diverso bene: lo stradello di accesso da frazionare m. n. 159, anch’esso attribuito congiuntamente per 1/3 ciascuno a R.R., R.G. e R.A., nonostante risultasse dalla relazione del consulente che il terreno fosse di proprietà per 69/594 di R.A., per 46/594 di R.D. per 410/594 di R.G. per 69/594 di R.R..

3.2. Il motivo è infondato per la stessa ragione per cui è infondato il secondo motivo.

4. Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 1117 e 119 c.c..

4.1. Con appello incidentale R.A. aveva chiesto che fosse conservato l’accesso comune alla terrazza di mq. 65 ed al resto della terrazza sovrastante i portici.

Ciò posto costituisce oggetto della censura di cui al motivo in esame l’affermazione della corte d’appello secondo cui “Al fine poi di ridurre al minimo i beni da mantenere in comune, proprio alla luce dell’astiosità tra condividenti, va confermata la scelta fatta nel progetto divisionale del CTU di suddividere anche la soffitta” (pag. 24 della sentenza).

Il ricorrente sostiene che “se tale giustificazione può rendere divisibile il bene comune terrazza, nessuna motivazione esiste per la terrazza assegnata che è parte del lastrico solare che copre parte del fabbricato abitativo (…). E’ noto che il lastrico solare è indivisibile, essendo destinato a proteggere il sottostante fabbricato (…). Non è espresso dalla sentenza nè ravvisabile l’ipotesi prevista dall’art. 1119 c.c., che consente la divisione solo se non rende più comodo l’uso della cosa comune” (pag. 10 e 11 del ricorso).

Si fa notare ancora che l’attribuzione di parte della terrazza impedisce poi di accedere al resto della terrazza rimasta comune, per raggiugere il tetto in coppi per le necessarie riparazioni.

4.2. Il motivo è infondato.

La divisione operata dalla corte non ha riguardato beni oggetto di condominio negli edifici, ma la divisione di un fabbricato oggetto di comunione ereditaria.

In casi del genere il condominio non esiste originariamente (originariamente è oggetto di comunione l’intero edificio), ma sorge a seguito della divisione in applicazione del principio che la divisione in natura è compatibile con la parallela costituzione di un condominio per l’uso delle parti comuni dell’edificio ai fini del miglior godimento delle singole cose di proprietà esclusiva (Cass. n. 834/1986).

Nella formazione delle porzioni in proprietà esclusiva il giudice di merito non incorreva perciò nelle limitazioni imposte dall’art. 1119 c.c..

In quanto alle interferenze che l’attribuzione in proprietà esclusiva del lastrico avrebbe creato rispetto al godimento di altre porzioni, la questione non ha niente a che vedere con la possibilità giuridica dell’attribuzione esclusiva, ma pone al limite il problema di compatibilità della divisione in natura ex artt. 718 e 720 c.c., con la gravosità degli eventuali pesi e servitù fra le varie parti divise derivanti dal frazionamento (Cass. n. 25888/2016; n. 12406/2007).

Tale valutazione di compatibilità, positivamente fatta dalla corte, non ha costituito oggetto di censura.

5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

5.1. La censura è così formulata: la corte d’appello “ha assegnato nella porzione di R.R. e R.G. tutte le aree agricole adiacenti alla corte e alle singole assegnazioni di parte della corte stessa. Solo a R.A. è stato assegnato un appezzamento lontano dalla corte e dalla casa di abitazione ove ancora risiede, pur avendo in comparsa di costituzione ed appello incidentale richiesto l’assegnazione dell’area agricola in aderenza alla corte e al deposito attribuito. Poichè è indubbio che è una qualità importante la vicinanza del terreno coltivabile all’abitazione e di questa qualità non è stato tenuto conto dal CTU e dalla sentenza impugnata siamo in presenza di una chiara violazione di legge (art. 727 c.c.), essendo avvantaggiati i condividenti R.R. e R.G. con maggior valore del terreno rispetto a quello indicato con il 50B assegnato a R.A. che deve compiere un percorso, ma che comunque è già di per sè privo della qualità dell’adiacenza alla corte e al fabbricato che ne riduce il valore rispetto a quello attribuitogli” (pag. 11 del ricorso).

5.2. Il motivo è infondato.

“In tema di divisione giudiziale la stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare per la determinazione del valore di tali beni, con riguardo a natura, ubicazione, consistenza, possibile utilizzazione e condizioni di mercato, rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice del merito; tali valutazioni sono insindacabili in sede di legittimità, se sostenute da adeguata e razionale motivazione” (Cass. n. 7059/2002; Cass. n. 18546/2017).

Al riguardo la corte ha così argomentato: “(…). D’altro canto non è in alcun modo supportata la tesi di R.A. secondo cui i terreni più lontano dal fabbricato avrebbero un valore minore rispetto a quelli vicini, atteso che un tale valore va determinato alla luce di una molteplicità di elementi, come tutti considerati dal CTU” (pag. 22 della sentenza).

Tali considerazioni riflettono apprezzamenti in fatto, esenti da vizi logici e giuridici, e quindi incensurabili in questa sede, giusto il principio sopra richiamato.

6. Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 727 c.c..

6.1. La parte di sentenza oggetto di censura è la seguente: “Circa la doglianza di R.A. circa l’assegnazione di una porzione di terreno troppo lontana dal fabbricato e di disagevole raggiungimento non può che osservarsi, come già replicato dal CTU, che il predetto R., malgrado i plurimi inviti fatti dal CTU di suggerire un progetto di divisione che meglio individuasse le esigenze dei singoli condividenti, non sia allo stesso pervenuta alcuna indicazione e proposta. Pertanto, a fronte di ciò, risulta ora contrario a qualsiasi principio di economia processuale, e comunque contrastante con la dialettica che si dovrebbe svolgere in sede di operazioni peritali, accedere alla richiesta di R.A. di rinnovazione della CTU”. (…). Neppure va ravvisata la pretesa inagibilità dell’area. Secondo A. tale area non sarebbe raggiungibile attraverso la corte, oggi sbarrata, e su cui R.G. avrebbe impedito il passaggio, tanto più se la corte venisse assegnata a G. (…). Premesso che si tratta di osservazione non svolta in sede di CTU va peraltro osservato che come esposto dal CTU e verificabile sulla base del progetto divisionale allegato, “tutti i terreni sono raggiungibili sia tramite la strada sterrata di accesso al fabbricato principale, sia tramite una capezzagna che parte dall’angolo sud-est della corte comune mapp. (OMISSIS)”” (pag. 24 e 25 della sentenza).

6.2. Il ricorrente sostiene che “la Corte non coglie che l’affermazione svolta a pag. 66 dal consulente era esatta nel momento in cui la corte era comune e, quindi, da quella corte si poteva accedere attraverso un cancello, la canaletta e la capezzagna al terreno m.n. 50B, oggi però quella parte di corte è stata assegnata in via esclusiva a R.G. e R.A. non può accedere al suo lotto. In sede di appello incidentale, nelle conclusioni, avevamo evidenziato che fossero evidenziate le servitù che venivano a costituirsi con la divisione” (pag. 12 e 13 del ricorso).

6.3. Il motivo è infondato.

Ex art. 727 c.c., comma 1 (norma di cui è denunciata la violazione) “Salvo quanto è disposto dagli artt. 720 e 722, le porzioni devono essere formate, previa stima dei beni, comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell’entità di ciascuna quota”.

E’ principio acquisito nella giurisprudenza della Corte che “il contenuto del diritto dei condividenti ad una porzione di beni immobili comuni, qualitativamente omogenea all’intero, consiste nella proporzionale divisione degli immobili considerati nel genere, contrapposti agli altri generi patrimoniali (mobili e crediti) e non in un frazionamento quotistico delle singole entità immobiliari (fabbricati, terreni, ecc.) comprese nella massa dividenda. Pertanto, non è censurabile la sentenza che abbia incluso in entrambe le porzioni dei condividenti parti equivalenti di beni immobili, ancorchè diversi nella consistenza delle singole entità (fondi urbani e rustici)” (Cass. n. 3652/1975; n. 15105/2000; n. 9203/2004; n. 27405/2013; n. 9282/2018).

Nella sentenza impugnata non si leggono affermazioni in contrasto con questo principio, nè la denuncia di un simile contrasto è in verità proposta nel ricorso, con il quale, sotto la veste della violazione di legge, sono oggetto di censura le scelte operate dal giudice di merito nella formazione del progetto. Tali scelte, immuni da vizi logici o giuridici, sono incensurabili in questa sede.

In relazione all’esigenza che la sentenza indicasse le servitù eventualmente derivanti dalla divisione, si ricorda che, in questa materia, il provvedimento giudiziale non opera come provvedimento costitutivo delle eventuali servitù, bensì come fatto giuridico che, in correlazione con la situazione obbiettiva dei luoghi, determina il sorgere della servitù secondo lo schema della costituzione per destinazione del padre di famiglia (Cass. n. 3916/1977; n. 12950/2000). E’ vero piuttosto che la eventuale statuizione giudiziale potrebbe operare in senso contrario, nel senso di impedire la nascita della servitù. “Come le parti possono, con il contratto di divisione, manifestare volontà contraria al sorgere della servitù per destinazione del padre di famiglia a favore e, rispettivamente, a carico dei singoli cespiti componenti il compendio comune e che vengono a ciascuna assegnati, analogo potere è esercitabile dal giudice, nel processo di divisione (anche attraverso la conferma di un progetto di consulente tecnico), purchè nei limiti dell’oggetto, e cioè con riguardo ai beni effettivamente in divisione” (Cass. n. 7840/1986).

7. Il settimo motivo denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 101 c.p.c. e dell’art. 24 Cost..

La parte di sentenza investita dalla censura è la seguente: “Non va poi condivisa l’affermazione di R.A. secondo la quale il CTU, disattendendo le prescrizioni di cui al quesito postogli, laddove gli veniva chiesto di conservare nella formazione dei lotti i beni goduti dai singoli condividenti, almeno con riferimento al fabbricato, ha escluso dall’assegnazione a R.A. del portico adiacente alla zona abitativa e la parte sovrastante il garage sul retro di tale portico, immobile non solo da decenni da lui utilizzato, ma anche condonato come accessorio dell’appartamento con un forte esborso nel corso degli anni (pag. 23 della sentenza)”.

7.1. Il motivo, con il quale il ricorrente ripropone nella sostanza la censura disattesa dalla corte d’appello, è infondato.

Il criterio del rispetto delle situazioni di possesso non può essere considerato criterio assoluto. Esso, salvo consenso di tutti i compartecipi, va applicato nei limiti della compatibilità con le regole divisorie. Si potrà venire incontro alle aspirazioni del singolo se la ripartizione che ne consegue non sacrifica l’interesse primario e comune dei compartecipi a che la divisione sia realizzata nel modo più economico e razionale possibile. La varietà dei casi rende inevitabile una certa libertà di apprezzamento da parte del giudice.

Al riguardo la corte ha così argomentato: “nella specie nel progetto divisionale proposto dal CTU è prevista l’assegnazione dei fabbricati cercando di rispettare al massimo le aspirazioni di ciascun condividente e nel contempo, anche tramite l’assegnazione di porzioni di terreno agricolo e di aree cortilive, di limitare al massimo i conguagli in denaro (che sono praticamente risultati nulli). Trattasi di soluzione che meglio si concilia sia con i principi in materia di divisione ereditaria, sia con la concreta composizione e consistenza del compendio immobiliare oggetto di causa. D’altro canto pare a questa Corte che la soluzione di assegnare a R.A. una minore area agricola (a pareggiare il valore del portico che verrebbe assegnato (…), determinerebbe l’assegnazione di un’area agricola talmente modesta da svilirne il valore. Il conguaglio in denaro, invece, in una situazione di forte contrasto fra fratelli, come percepita in corso di causa, anche in ordine al valore attribuito allo stesso porticato, rende preferibile la soluzione che lo evita (pag. 23, 24 della sentenza).

Emerge da quanto sopra che la corte di merito ha dato conto della soluzione adottata, in base a considerazioni che non solo rendono percepibili le ragioni del decisum, ma, valutate nel loro insieme, non rilevano errori nell’applicazione di principi divisori. Esse, perciò, sono incensurabili in questa sede.

7.2. Nell’ambito del motivo in esame è poi censurata la motivazione con cui la corte ha fatto propria la relazione del consulente tecnico.

La corte non avrebbe tenuto conto che il consulente non aveva indicato gli elementi in base ai quali aveva assunto le sue decisioni.

7.3. Anche tale censura è infondata.

In proposito la corte di merito ha ampiamente argomentato le ragioni della adesione alla consulenza tecnica, ponendo in luce che il consulente, quanto ai fabbricati, ha indicato i criteri di stima utilizzati, riferendo di avere fatto riferimento alle quotazioni dell’Osservatorio Immobiliare dell’Agenzia del Territorio, corrette in considerazione delle caratteristiche estrinseche ed intrinseche degli immobili, analiticamente indicate nella sentenza, e delle relative situazioni giuridiche. Ha aggiunto che il consulente tecnico ha precisato di avere effettuato le dovute e necessarie verifiche dei valori di stima a mezzo di indagini di mercato, avuto riguardo anche alla divergenza fra destinazione catastale e stato di fatto.

La corte d’appello ha poi dato analitica spiegazione del perchè doveva ritenersi corretta la stima proposta dal consulente tecnico per il deposito attrezzi e per il deposito ripostiglio, in considerazione delle vicende giuridiche dei beni e, tenuto conto, quanto al deposito ripostiglio, della presenza delle finestre e degli scarichi fognari.

La stessa corte d’appello, inoltre, in replica ai rilievi proposti da A. con riguardo alla stima dei terreni, ha precisato che i terreni sono stati valutati secondo le loro caratteristiche oggettive, avendo assunto quale parametro di riferimento i valori agricoli medi della Provincia di Verona e operando le verifiche a mezzo indagini di mercato (pag. 20, 21, 22 della sentenza).

Emerge dalle considerazioni che precedono che, ancora una volta il ricorrente propone impropriamente, sotto la veste del vizio di legittimità, una critica della decisione in quanto tale: ciò in cassazione non è consentito.

Già nel vigore del testo precedente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si chiariva che il disposto della norma “non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. n. 9234/2006).

7.4. In quanto all’ulteriore censura ventilata con il motivo in esame, e cioè che il consulente “per rispettare i diritti di difesa e di salvaguardia del principio del contraddittorio avrebbe dovuto far partecipare le parti a tutte le operazioni svolte”, è chiaro che la censura non investe la sentenza, ma la relazione tecnica. Il ricorrente, tuttavia, non precisa se la relativa eccezione fu tempestivamente proposta dopo il deposito della relazione (Cass. n. 22843/2006; n. 8347/2010; n. 1744/2013).

8. L’ottavo motivo denuncia violazione degli artt. 723 e 820 c.c..

8.1. La parte di sentenza oggetto di censura è la seguente: “Per quanto attiene alla domanda di rendiconto (…) è emerso che R.R. non dispone del godimento di beni eccedenti la propria quota di spettanza. R.G. dispone di beni immobili eccedenti la propria quota di spettanza (per il valore di Euro 75.224,31), ma così anche R.A. (per il valore di Euro 15.929,30). Pertanto non vi è da calcolare l’eccedenza dei frutti dovuti a R.A., in quanto anche egli dispone di beni eccedenti il valore della sua quota di spettanza” (pag. 25, 26 della sentenza).

8.2. Secondo il ricorrente, “così argomentando la corte è incorsa in un errore di fatto, attribuendo alle parti godimento produttivo di utili per quanto riguarda la corte comune che, invece, per sua natura non produce frutti, non essendo nè coltivabile nè affittabile (…). Ma il maggiore errore consiste nell’avere parametrato e confrontato il godimento dei beni ereditari come valore dei beni stessi. Andava invece accertata l’entità dei frutti percepiti essendo pacifico che i beni possono aver frutti diversi. L’affermazione o il giudizio che chi ha goduto più beni automaticamente avrebbe goduto più frutti è errata e contrasta con le previsioni di legge per quanto concerne il rendiconto che fa riferimento a frutti civili, spese e quanto altro costa e produce l’utilizzo di un bene immobili per determinare il rendiconto seppure in maniera sommaria come previsto dalla Corte nella sentenza n. 1390/2012” (pag. 15 del ricorso).

8.3. Il motivo è infondato.

In una comunione nella quale più condividenti abbiano avuto il possesso esclusivo di beni comuni, esercitato mediante l’uso diretto e personale dei beni stessi e non tramite concessione onerosa del godimento a terzi, il criterio di determinare le reciproche posizione in base al rapporto fra valore della quota e valore dei beni in godimento non appare per niente illogico, nè irrazionale. Il confronto è operato infatti in base a un parametro oggettivo certamente idoneo ad individuare l’utilità ricavabile dal singolo nel rapporto con gli altri, che abbiano goduto in via diretta beni di minor valore o che non abbiano goduto di alcun bene.

Altra questione è la scelta del criterio in base al quale operare eventualmente la liquidazione dei frutti in relazione al godimento diretto. Tale questione, però, nella specie non viene in considerazione, perchè coloro che, in base al criterio utilizzato dalla corte d’appello, avrebbero avuto eventualmente diritto alla liquidazione non avevano proposto domanda. Il ricorrente, in astratto tenuto in base a quel criterio nei confronti di altri, non è destinatario di alcuna statuizione di condanna.

9. Il ricorso, pertanto, deve essere interamente rigettato.

Spese compensate, data la complessità delle questioni trattate.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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