Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18905 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. II, 11/09/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 11/09/2020), n.18905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi iscritti ai nn. 17947/2017 e 17948/2017 R.G. proposti da:

B.L., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ugo Sgueglia, e

Andrea Sgueglia, con domicilio eletto in Roma, Via Ottorino

Lazzarini n. 19, presso il loro studio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma,

via dei Portoghesi n. 12, presso la medesima Avvocatura Generale

dello Stato;

– resistente –

avverso il decreto della Corte di appello di Perugia n. 841

depositata il 6 maggio 2016 e la sentenza n. 518 pubblicata il 6

luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– la Corte di appello di Perugia, con decreto n. 841 del 2016, respingendo la domanda spiegata in riassunzione da B.L. ai sensi della L. n. 89 del 2001, per irragionevole durata del processo, ha condannato il ricorrente al pagamento in favore del Ministero delle spese dell’intero giudizio, liquidate in Euro 465,00, quanto al primo grado, in Euro 700,00 la legittimità, e in Euro 500,00, quanto alla fase di legittimità;

– avverso il decreto della Corte di appello di Perugia il B. propone ricorso per Cassazione, fondato su unico motivo, con il quale denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, artt. 2 e segg. e dell’art. 6 della CEDU, oltre a presentare istanza di riunione al presente ricorso di quello proposto avverso la sentenza n. 518/2017 del 06.07.2017 della stessa Corte di appello di Perugia pronunciata in sede di ricorso per revocazione nei confronti del medesimo decreto;

– il Ministero dell’economia e delle Finanze è rimasto intimato.

Atteso che:

– l’istanza di riunione va accolta.

E’ preliminare evidenziare che B.L., odierno ricorrente, con autonomo gravame, ha impugnato il decreto n. 841 del 6 maggio 2016 sia avanti alla Suprema Corte, con ricorso ordinario, sia dinanzi alla Corte d’appello di Perugia con ricorso ex art. 395 c.p.c., cui seguiva pronuncia di inammissibilità con sentenza n. 518 del 6 luglio 2017.

E’ evidente la connessione tra le pronunce de quibus, vertendo sul medesimo oggetto e tra le stesse parti, per cui è ammissibile la richiesta spiegata dal B. in applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., consentendo l’attuazione dei principi di economicità e celerità del processo.

E’ ormai consolidato il principio in base al quale in sede di legittimità, attesa l’identità dell’oggetto della controversia – in applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c. -, il ricorso per revocazione, proposto contro la sentenza con cui la Corte di cassazione abbia rigettato un precedente ricorso avverso una sentenza d’appello, ed il ricorso per cassazione esperito avverso la sentenza con cui la medesima corte di appello abbia dichiarato inammissibile la domanda di revocazione di quella sua stessa pronuncia impugnata anche in sede di legittimità, vadano riuniti. (Cass. 5 agosto 2016 n. 16435).

Tale riunione deve necessariamente avvenire in applicazione analogica (trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell’art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla citata norma del codice di rito, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza revocanda può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione (Cass. 29 novembre 2006 n. 25376).

In tal senso militano intuitive minimali esigenze di economia processuale, vista la potenziale interazione degli sviluppi di uno dei ricorsi sull’altro in ordine al concreto interesse di tutte le parti a vedere esaminate nel merito le rispettive tesi difensive: in tal modo sono evidenti i vantaggi derivanti dalla trattazione congiunta dei due ricorsi.

Conclusivamente, la riunione può ben fondarsi sulla considerazione che oggetto dei due ricorsi sono sì due diverse sentenze, ma queste concorrono a dare contenuto definitivo alla decisione dell’unitaria controversia relativamente ai fatti dedotti in causa (Cass. 23 novembre 1998, n. 11881): tanto che l’art. 335 c.p.c., ben può trovare applicazione, quand’anche non letterale (Cass. n. 23445 del 2014 cit.);

– tanto chiarito, è pregiudiziale l’esame del motivo di ricorso avverso la sentenza pronunciata in sede di revocazione.

Infatti i due rimedi, quello del ricorso per cassazione e quello della revocazione, essendo entrambi a critica vincolata ma per motivi evidentemente diversi e per di più tra loro incompatibili, danno luogo a due impugnazioni tra loro concorrenti e potenzialmente del tutto autonome, ma la prima di esse è subordinata, da un punto di vista logico e per concorde opinione degli interpreti, alla seconda. La revocazione mina alla base l’intrinseca correttezza della decisione, puntando a dimostrare la fallacia dei presupposti di fatto esaminati e quindi l’insopprimibile ingiustizia dell’impianto motivazionale volto a sorreggerla. Il vizio di una sentenza che si basi su di uno dei gravi elementi di perturbazione incolpevole della decisione viene, in altri termini, logicamente a porsi a monte di qualsiasi vizio successivo negli sviluppi dei ragionamenti applicati al quadro fattuale così – malamente – preso in considerazione: tant’è vero che la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito che, ove si debba esaminare contemporaneamente il ricorso per cassazione e la decisione sulla revocazione, è quest’ultima a doversi valutare per prima, per le conseguenze radicali che l’eventuale accoglimento di quest’ultima potrebbe avere sullo stesso oggetto della prima (Cass. 4 giugno 1998 n. 5480; Cass. 2 febbraio 2004 n. 1814; Cass. 20 marzo 2009 n. 6878; Cass. 17 marzo 2010 n. 6456).

Passando all’esame del merito del ricorso avverso la sentenza n. 518/2017, con unico motivo il ricorrente si duole che la Corte abbia esaminato la questione dell’equo indennizzo sulla base di un omesso deposito dell’istanza di fissazione di udienza nel giudizio presupposto, alla sola luce del certificato storico di detto processo, senza tenere in alcun conto la non esattezza del dato fattuale per essere state allegate agli atti, sia nel giudizio di equa riparazione, sia in quello di revocazione, l’iniziale istanza di fissazione di udienza presentata il 15.04.1992. Ad avviso della Corte di merito sarebbe da ritenere incontestabile che la domanda di fissazione di udienza recasse la diversa data del 29.04.2010.

Il motivo è fondato.

Va osservato che l’errore di fatto, che legittima la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, consiste in un’erronea percezione dei fatti di causa, che, oltre a dover rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, nonchè gli atti interni al giudizio di legittimità (e cioè quegli atti che la Corte deve e può esaminare direttamente con propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso), deve rivestire i caratteri dell’essenzialità e della decisività ai fini dell’esito del giudizio. In altri termini, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che si tratta di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica.

Nel caso di specie, come si ricava in maniera inequivoca dall’esame del fascicolo e dalla lettura sia del decreto, sia della sentenza impugnata, la decisione di rigetto dell’originario ricorso appare fondata sull’erronea affermazione del mancato deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza nei termini prescritti dalla legge. Risulta evidente, pertanto, l’errore commesso dal giudice di merito, il quale si è attenuto al solo certificato storico del giudizio, vizio rilevabile quale errore revocatorio ai sensi dell’art. dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Infatti, dall’esame degli atti emerge, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte di merito, che il ricorrente, contestualmente al deposito del ricorso innanzi al T.A.R. del Lazio, presentava rituale istanza di fissazione di udienza, in ossequio al disposto di cui alla L. n. 1034 del 1971, art. 23, comma 1.

La prova di tale adempimento è stata fornita dal ricorrente sia al momento del deposito dell’originario ricorso di equa riparazione dinanzi alla Corte territoriale, ove l’istanza è stata prodotta in copia recante il timbro con data certa apposto dal T.A.R. del Lazio il 15 aprile 1992, unitamente alla copia del dettaglio del ricorso n. 4512/1992, sia in allegato al ricorso per revocazione.

Qualificata ammissibile la revocazione dispiegata dinanzi alla corte di appello avverso il Decreto n. 841 del 2016, è manifesta l’erroneità della conclusione cui quella è pervenuta con la sentenza di inammissibilità n. 518/2017. La revocazione proposta davanti alla Corte di appello va quindi accolta, se non altro quanto alla fase rescindente, con definitiva revoca del Decreto n. 841 del 2016, che erroneamente si è limitato a dichiarare la mancanza dell’istanza di fissazione di udienza nei termini di legge, senza verificarne il dato fattuale.

Tale conclusione comporta che, venuto meno in radice, in dipendenza della revoca testè pronunziata, il Decreto n. 841 del 2016, viene meno l’oggetto stesso del ricorso iscritto al n. 17498/2018. Ne deriva che vengono a decadere, in virtù di tale sopravvenuto fatto, sia – in via immediata – la valenza precettiva dell’impugnata sentenza, sia – in modo più radicale ancora – l’interesse al ricorso ordinario avverso il Decreto n. 841 del 2016.

La pronunzia di questa Corte di legittimità tuttavia deve arrestarsi alla fase rescindente. Invero, non può la fase rescissoria della revocazione proposta alla corte di appello essere decisa nel merito in questa sede, per l’evidente necessità, a tal fine, di ulteriori e pregnanti accertamenti di fatto.

L’accoglimento del ricorso avverso la sentenza pronunciata in revocazione, per quanto sopra detto, rende superfluo l’esame della seconda impugnazione, in quanto assorbito.

In definitiva, la Corte, accolto il ricorso proposto avverso la sentenza pronunciata in revocazione, assorbito il ricorso proposto avverso il Decreto n. 841 de 2016, cassa sia la sentenza sia il decreto gravati e rinvia alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, per un nuovo esame della originaria domanda e per il regolamento anche delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 17497/17 e 17498/17, così provvede:

accoglie il ricorso iscritto al n. 17948/17 proposto avverso la sentenza pronunciata nel giudizio per revocazione, assorbito il ricorso avverso il Decreto n. 841 del 2016;

cassa la sentenza impugnata n. 518/2017, nonchè il Decreto n. 841 del 2016 e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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