Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18904 del 17/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 18904 Anno 2018
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21615/2012 R.G. proposto da
XL Spa, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Massimiliano Nicodemo
e Paolo Grassi, con domicilio elettivo presso lo studio di
quest’ultimo in Roma via G. Avezzana n. 8, giusta procura in calce
al ricorso;
– ricorrente contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia n. 75/15/12, depositata il 4 luglio 2012.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 febbraio
2018 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Umberto De Augustinis, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

Data pubblicazione: 17/07/2018

Udito l’Avv. Massimiliano Nicodemo per la società ricorrente che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. Fabrizio Urbani Neri per l’Agenzia delle entrate che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
XL Spa impugnava l’avviso di accertamento per l’anno

dall’Agenzia delle entrate a rettifica del reddito d’impresa, attesa
l’indebita deduzione di costi non di competenza relativi alla
cessione di un contratto di leasing, non inerenti per premio
riconosciuto alla società Mumble Mumble Spa, nonché per aver
determinato la quota indeducibile per il terreno su cui insiste un
fabbricato oggetto di leasing nel 20% anziché nel 30%, e, infine,
per errata svalutazione delle rimanenze di magazzino.
L’impugnazione, accolta dalla Commissione tributaria
provinciale di Varese limitatamente alla ripresa per il premio clienti,
era respinta, salvo che per la ripresa relativa alla svalutazione delle
rimanenze di magazzino, dal giudice d’appello.
XL Spa ricorre per cassazione con cinque motivi; resiste
l’Agenzia delle entrate con controricorso. La contribuente deposita
memoria ex art. 378 c.p.c. deducendo l’intervenuto giudicato
esterno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va disattesa, preliminarmente, l’eccezione di giudicato
esterno formulata dal ricorrente con la memoria ex art. 378 c.p.c.
attesa la mancanza della prova del passaggio in giudicato della
sentenza invocata, prova che deve essere fornita non soltanto
producendo l’atto, ma anche corredandolo della idonea
certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la
pronuncia non è soggetta ad impugnazione, irrilevante, invece,
l’attestazione di esecutività ex art. 67 bis d.lgs. n. 546 del 1992 (v.

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d’imposta 2006, per Iva ed Ires, oltre sanzioni, emesso

da ultimo Cass. n. 9746 del 18/04/2017; Cass. n. 28515 del
29/11/2017).
2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 109, comma 5, tuir, in relazione ai rilievi n. 4 (relativo alla
ripresa a tassazione del premio a cliente dell’importo di C
460.000,00) e 5 (relativo al disconoscimento della detrazione

2.1. Il secondo motivo denuncia, in relazione al medesimo
profilo, omessa od insufficiente motivazione.
3. I motivi, da esaminare unitariamente in quanto logicamente
connessi, sono infondati: la contribuente, infatti, si duole che la
CTR abbia ritenuto indeducibile il costo sol perché sproporzionato C
incongruo rispetto ai ricavi correlati: a fronte di una commessa
complessiva per C 862.204,00 (oltre Iva) è stato riconosciuto un
“premio” di C 460.000,00, oltre ad un ulteriore sconto sulla fattura
del 27%, così da portare lo sconto effettivo ad una misura
superiore all’80% dell’importo; così facendo, peraltro, avrebbe
violato il principio di inerenza del costo all’attività d’impresa, la cui
concreta inesistenza, trattandosi di premio strettamente connesso
all’oggetto dell’impresa, avrebbe dovuto essere provata dall’Ufficio,
realizzando una non consentita ingerenza sulle scelte gestionali
dell’impresa, neppure considerando la documentazione prodotta,
né la prassi diretta a riconoscere analoghi sconti anche alla
restante clientela.
Va rilevato, inoltre, che, con riguardo all’Iva di cui è stata
negata la detraibilità, essa, ancorché la parte si riferisca a quella
“relativa” al premio per il 2006, è conferente – come emerge dal
ricorso stesso, nonché dall’avviso di accertamento riprodotto in
parte qua – al premio, omologo a quello discusso in giudizio,
riconosciuto dalla contribuente alla Mumble Mumble Spa per il 2005
e maturato nel 2006.

3

dell’Iva “relativa” per l’importo di C 70.000,00).

I profili, peraltro, sono stati unitariamente valutati dalla stessa
CTR e le stesse doglianze sono state svolte in termini
indifferenziati.
4. Ha carattere preliminare precisare, alla luce dei recenti
arresti della Corte, i contenuti del principio di inerenza (e il
rapporto con il giudizio di congruità ed antieconomicità) avuto

4.1. L’inerenza costituisce un requisito fondamentale per la
determinazione del reddito d’impresa e riguarda, in termini
generali, l’esistenza di una relazione tra i costi e l’attività
d’impresa: i costi sono inerenti in quanto siano collegati all’attività
d’impresa produttiva del reddito, soggetto a tassazione.
Tale nozione, invero, per un diffuso orientamento, non trova
una esplicita definizione positiva ancorché, secondo parte della
dottrina e della giurisprudenza, possa essere fatta discendere dal
vigente art. 109, comma 5 (già 74, comma 5), tuir.
La norma, peraltro, si riferisce, in senso stretto, alla deducibilità
dei componenti negativi in quanto riferiti a beni o attività
produttive di reddito, con una declinazione proporzionale per i
redditi esenti (pro-rata), ovvero affermandone la piena deducibilità
se riferibili a redditi esclusi.
La disposizione disciplina, dunque, un profilo ulteriore e
successivo – le regole di deducibilità dei costi – rispetto all’inerenza,
che, anzi, è presupposta (i costi per essere deducibili debbono
anche, e necessariamente, essere inerenti) ma non definita dalla
norma.
Anche in tema di Iva è possibile individuare indicazioni di
analoga portata.
L’art. 19, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che il
soggetto passivo ha diritto di detrarre «l’imposta assolta o dovuta
1-.4 o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai
servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o
4

riguardo sia alla disciplina delle imposte dirette che dell’Iva.

professione», principio che evoca le previsioni contenute nella
Direttiva 2006/112/CE: la nozione di inerenza non è definita ma
postulata in relazione ai costi effettuati nell’esercizio dell’attività
d’impresa.
Si è osservato, del resto, che tale nozione trae il suo
fondamento dallo stesso concetto economico-aziendalistico di

reddito che è quello al netto dei costi collegati all’esercizio
dell’impresa.
Ne deriva che l’inerenza integra, in realtà, un giudizio sulla
riferibilità del costo all’attività d’impresa, giudizio che, come tale,
ha natura qualitativa ancorché possa essere inteso in accezioni di
maggiore o minore latitudine (ad esempio limitandone la rilevanza
alle spese sostenute solo per la realizzazione dei prodotti od anche
per la produzione complessivamente considerata) ovvero con
derivazioni oggettive o soggettive, anche, in quest’ultimo caso,
ancorandola a parametri quali l’utilità (suscettibile a sua volta di
valorizzazione come effettiva, potenziale o meramente attesa) o la
congruità.
4.2. Il percorso evolutivo di questo concetto ha condotto la
Corte a far riferimento – negli ultimi anni – ad una nozione di
inerenza che, pur collegando il costo all’attività d’impresa, risultava
limitativa rispetto alla realtà economica cui si rapportava,
richiedendo la suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare,
direttamente o indirettamente, una utilità all’attività d’impresa (v.
Cass. n. 10914 del 27/05/2015; in tempi recenti v. Cass. n. 13300
del 26/05/2017, nonché, con riguardo al concetto di utilità, Cass.
n. 20049 dell’11/08/2017; v., in relazione a svariate fattispecie
concrete, Cass. n. 9818 del 13/05/2016; Cass. n. 5160 del
28/02/2017; Cass. n. 6185 del 10/03/2017).
Ha pure assunto spesso rilievo una considerazione
“quantitativa” dei costi, sicché l’utilità può essere apprezzata
tenuto conto del quantum della spesa, con conseguente inclusione
5

F

nella nozione di inerenza anche dei profili di congruità od
(anti)economicità della scelta imprenditoriale.
Da ultimo, peraltro, la Corte, con la recente ordinanza n. 450
del 11/01/2018, ha riallineato la nozione fiscale di inerenza al
fenomeno economico peculiare all’esercizio dell’attività d’impresa,
affermando che «il principio dell’inerenza dei costi deducibili si

riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale»,
esclusa ogni valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale
o indiretta) o congruità

«perché il giudizio sull’inerenza è di

carattere qualitativo e non quantitativo».
L’indirizzo è stato riconfermato con l’ordinanza n. 3170 del
09/02/2018, che, più specificamente, ha precisato che esula ai fini
del giudizio qualitativo di inerenza un “apprezzamento del costo in
termini di congruità o antieconomicità”, parametri che non sono
espressione dell’inerenza ma “costituiscono meri indici sintomatici
dell’inesistenza di tale requisito, ossia dell’esclusione del costo
dall’ambito dell’attività d’impresa”.
4.3. Gli arresti da ultimo evidenziati, attestanti una evoluzione
delle posizioni della Corte in senso oggettivo, appaiono condivisibili
ma necessitano di alcune precisazioni.
In termini generali, infatti, l’introduzione di un concetto, quale
quello di utilità, nel principio di inerenza non appare necessario,
posto che evoca un rapporto di causalità diretta tra il costo e il
vantaggio per l’impresa (vantaggio che non è detto debba esservi),
non trova un riscontro in dati normativi positivi e, comunque, non
sempre bene si attaglia ad una varietà di sopravvenienze negative
(si pensi alle perdite oppure alla penale per inadempimento
contrattuale, la cui utilità è stata valutata in considerazione del
rafforzamento del vincolo negoziale: Cass. n. 19702 del
27/09/2011; Cass. n. 16561 del 05/07/2017) sì da determinarne
una espansione teorica, dai confini non sempre chiari.
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ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime la necessità di

Oltre a ciò, la prospettiva da ultimo affermata dalla Corte porta
ad affermare, con chiarezza, l’unicità del principio di inerenza tanto
per le imposte dirette quanto per l’Iva, riferendosi le peculiarità che
ne caratterizzano il regime, in coerenza con la disciplina unionale e
le decisioni della Corte di Giustizia, a profili ulteriori (v. infra).
Le medesime considerazioni valgono per quanto concerne il

all’attività d’impresa a prescindere dalla sua entità.
Va quindi ribadito che il principio di inerenza esprime una
correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata e
si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in
sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo.
4.4. Il giudizio quantitativo o di congruità non è, però, del tutto
irrilevante, collocandosi, invece, su un diverso piano logico e
strutturale.
4.5. La questione, invero, si intreccia con il profilo dell’onere
della prova dell’inerenza del costo, che, secondo la costante
giurisprudenza, incombe sul contribuente, mentre spetta
all’Amministrazione la prova della maggiore pretesa tributaria
(Cass. n. 10269 del 26/04/2017; Cass. n. 21184 del 08/10/2014;
Cass. n. 13300 del 26/05/2017).
L’inerenza è, come evidenziato, un giudizio; la prova dunque
deve investire i fatti costitutivi del costo, sicché, per quanto
riguarda il contribuente, il suo onere è, per così dire, “originario”,
poiché si articola ancor prima dell’esigenza di contrastare la
maggiore pretesa erariale essendo egli tenuto a provare (e
documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza e la
natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta
destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto
d’impresa perché in correlazione con l’attività d’impresa.
Nella sua esplicazione effettiva tale onere si atteggia
diversamente a seconda dello specifico oggetto della componente
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profilo quantitativo o di congruità: il costo attiene o non attiene

negativa. In molti casi, infatti, le caratteristiche documentate del
costo o dell’operazione sono tali da far ritenere semplicemente
evidente la correlazione tra la spesa e l’attività d’impresa.
In tal senso si spiega la giurisprudenza che distingue tra beni
«normalmente necessari e strumentali» e beni «non necessari e
strumentali», concludendo «nel ritenere a carico del contribuente

(v. Cass. n. 6548 del 27/04/2012); in realtà, nella prima ipotesi si
assiste, più che una modifica dei criteri di ripartizione, ad una
semplificazione dell’onere del contribuente.
Per contro, quando l’operazione posta in essere risulti
complessa o anche atipica od originale rispetto alle usuali modalità
di mercato, tale onere si atteggia in termini parimenti complessi: la
qualificazione dell’operazione come atto d’impresa (che, per scelta
o ventura, ha un coefficiente negativo) deve tradursi in elementi
oggettivi suscettibili di apprezzamento in funzione del giudizio di
inerenza.
4.6. L’Amministrazione finanziaria, ove ritenga gli elementi
dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati
ovvero riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare la
validità e/o la rilevanza di quelli allegati a fondamento
dell’imputazione del costo alla determinazione del reddito, può
contestare la valutazione di inerenza.
Semplificando, si può dire che due (ferma la possibile variegata
articolazione dei casi concreti) sono le possibili ipotesi: nel primo
caso la contestazione si risolve, sostanzialmente, sulla carenza
degli elementi di fatto portati dal contribuente e, dunque, sulla loro
insufficienza a giustificare una positiva valutazione di inerenza.
All’altro estremo, invece, l’Amministrazione adduce l’esistenza di
ulteriori elementi tali da far ritenere – di per sé od in combinazione
con quelli portati dal contribuente – che il costo non sia, in realtà,
correlato all’attività d’impresa.
8

l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza»

In questa prospettiva appare suscettibile di assumere rilievo
anche un giudizio sulla congruità (e antieconomicità) della spesa.
4.7. L’oggetto del giudizio di congruità, a differenza di quello
sull’inerenza, indica il rapporto tra lo specifico atto d’acquisto (i.e.
l’atto d’impresa) di un diritto o di una utilità con la decurtazione: è
un giudizio sulla proporzionalità tra il quantum corrisposto ed il

vantaggio conseguito.
Nell’ambito delle imposte sui redditi, la valutazione di
antieconomicità – ossia dell’evidente incongruità dell’operazione legittima e fonda il potere dell’Amministrazione finanziaria di
accertamento ex art. 39, primo comma, lett. d, d.P.R. n. 600 del
1973 (v. Cass. n. 9084 del 07/04/2017; Cass. n. 26036 del
30/12/2015), in base al principio secondo cui chiunque svolga
un’attività economica dovrebbe, secondo

l’id quod plerumque

accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi
ed una massimizzazione dei profitti, sicché le condotte improntate
all’eccessività di componenti negativi o all’immotivata
compressione di componenti positivi di reddito sono rivelatrici di un
occultamento di capacità contributiva e la spesa, in realtà, non
trova giustificazione nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Ne deriva che è configurabile un nesso tra i due giudizi su un
piano strettamente probatorio: la dimostrata sproporzione assume
valore sintomatico, di indice rivelatore, in ordine al fatto che il
rapporto in cui il costo si inserisce è diverso ed estraneo all’attività
d’impresa, ossia che l’atto, in realtà, non è correlato alla
produzione ma assolve ad altre finalità e, pertanto, il requisito
dell’inerenza è inesistente.
4.8. Occorre puntualizzare, invero, che, in ispecie per le
operazioni imprenditoriali di maggiore complessità od inserite in
una più lata strategia aziendale, il cui articolarsi in concreto può
comportare, anche per scelta, il compimento di atti non onerosi o
costi settoriali elevati, la contestazione dell’Ufficio non può tradursi
9

i-~

in una mera

“non

condivisibilità della scelta”

perché

apparentemente lontana dai canoni di normalità del mercato, che
equivarrebbe ad un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma deve
consistere nella positiva affermazione che l’operazione, sulla base
di elementi oggettivi, non si inseriva nell’attività produttiva, sì da
determinare un giudizio di inerenza negativo.

richiede da parte dell’Amministrazione finanziaria la dimostrazione
dell’inattendibilità della condotta, inattendibilità che va considerata
in chiave diacronica tenuto conto dei diversi indici che presiedono
la stima della redditività dell’impresa (v. Cass. n. 13468 del
01/07/2015; Cass. n. 21869 del 28/10/2016), a fronte della quale
spetta poi al contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni
effettuate (Cass. n. 25257 del 25/10/2017).
4.9. La definizione di inerenza sopra individuata è coerente
anche con la disciplina dell’Iva e, anzi, appare del tutto rispondente
ai parametri desumibili dadeartf. 9 della Direttiva 2006/112/CE,

secondo il quale

«si considera «soggetto passivo» chiunque

esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività
economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta
attività»

e «si considera, in particolare, attività economica lo

sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne
introiti aventi carattere di stabilità».

Ben diversa,

peraltro, è l’incidenza, sulla valutazione di

inerenza, del giudizio di

congruità, che, con affermazione

consolidata da parte della Corte di Giustizia (tra le tante, Corte di
Giustizia, 20 gennaio 2005, C-412/03, Hotel Scandic G§sabijck, per
cui «la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad

un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un
prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è
irrilevante»; Corte di Giustizia, 26 aprile 2012, C-621/10 e C129/11, Balkan; v. anche Corte di Giustizia, 9 giugno 2011, C10

L’antieconomicità del comportamento imprenditoriale, del resto,

285/10,

Campsa Estaciones de Servici°,

Corte di Giustizia, 2

giugno 2016, in C-263/15, Lajvér), e ripetutamente ribadita dalla
Suprema Corte (Cass. n. 22130 del 27/09/2013; Cass. n. 12502
del 04/06/2014; Cass. n. 26036 del 30/12/2015; Cass. n. 2875 del
03/02/2017; da ultimo v. Cass. n. 2240 del 30/01/2018), non
condiziona, né esclude il diritto a detrazione, salvo che

dunque esulante dal normale margine di errore di valutazione
economica, sia «tale da assumere rilievo indiziario di non verità
della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o
servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva».
Si tratta di conclusione in diretta conseguenza del carattere
neutrale dell’imposta poiché anche nell’ipotesi in cui «beni e servizi
siano forniti a un prezzo artificialmente basso o elevato fra parti
che godono entrambe interamente del diritto a detrazione dell’Iva,
non può sussistere, in tale fase, alcuna elusione o evasione fiscale.
È solo a livello del consumatore finale, o nel caso di un soggetto
passivo misto che beneficia unicamente del diritto al pro rata di
detrazione, che un prezzo artificialmente basso o elevato può
comportare una perdita di gettito fiscale» (Corte di Giustizia, Balkail
cit., par. 47).
La possibilità – regolata dall’art. 80, par. 1, della direttiva n.
2006/112/CEE – di considerare la base imponibile pari al valore
normale dell’operazione costituisce, infatti, una eccezione alla
regola generale, che va, dunque, interpretata restrittivamente (v.
recentemente per un’ipotesi particolare di deroga, su espressa
autorizzazione trattandosi di cessione di beni all’ultimo stadio della
commercializzazione tramite persone non soggetti passivi, Corte di
Giustizia, 14 dicembre 2017, C-305/16, Avon).
4.10. Anche con riguardo all’Iva, dunque, il giudizio di congruità
non investe il giudizio di inerenza ma la contestazione dell’Ufficio e,
specificamente, i contenuti della prova posta a suo carico, che non
11

l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, e

può essere soddisfatta adducendo la mera antieconomicità
dell’operazione, di per sé priva di rilievo.
Si può dunque concludere che in materia di Iva l’onere
probatorio dell’Amministrazione finanziaria, che intenda contestare
la mancanza di inerenza delle operazioni compiute e fatturate dal
contribuente, è, per questo profilo, aggravato, non assumendo di

valore del bene o del servizio se non quando tale tantieconomicità
risulti, alla luce di una complessiva valutazione, macroscopica,
ossia del tutto evidente (accertamento questo che compete al
giudice di merito), sì da far ritenere, in termini rivelatori e indiziari,
l’operazione – al di là delle ipotesi di frode od inesistenza – non
correlata all’attività d’impresa.
5. Vanno, dunque, affermati i seguenti principi di diritto:
«il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla
nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi
ed attività d’impresa in concreto esercitata, traducendosi in un
giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni
di tipo utilitaristico o quantitativo»
«la prova dell’inerenza di un costo quale atto d’impresa, ossia
dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e
della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi
su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente
in quanto tenuto a provare l’imponibile maturato»
«in tema di imposte dirette, l’Amministrazione finanziaria, nel
negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od
inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a
fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la
rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della
spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici
sintomatici della carenza di inerenza pur non identificandosi in
essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità
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per sé rilievo la mera sproporzione o l’incongruenza tra costo e

delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa
e alle scelte imprenditoriali»
«in tema di Iva, l’inerenza del costo non può essere esclusa in
base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che
l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica
antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di

6. Orbene, nella vicenda in esame, la CTR ha precisato che la
circostanza che il premio trovasse il suo riferimento in un accordo
del 26 gennaio 2006, con cui si era

«convenuto un “premio

consumo” al raggiungimento di determinati scaglioni di acquisti»
ossia

«inferiori a 900.000,00» – «e che la Mumble Mumble

mettesse a disposizione i dati vendita degli articoli acquistati e si
impegnasse a commercializzare qualsiasi articolo proposto dalla
XL», lungi dal confortare la sussistenza del requisito di inerenza,
evidenziava «43 mancanza di certezza, congruità e giustificazione
necessari ai fini della deducibilità» atteso che:
– «le asserite informazioni sui punti vendita ben potevano
essere desunte dalla XL analizzando la tipologia degli acquisti
effettuati, i tempi e la loro quantità al fine di verificare gli umori del
mercato», così sottolineando l’oggettivo squilibrio, anche a livello
sinallagmatico, tra le prestazioni;
– l’obbiettivo effettivamente perseguito dalla società era quello
di evitare che la Mumble Mumble, che aveva la stessa compagine
sociale della XL, non fallisse

(«appare rilevante la circostanza

ammessa dalla XL che la Mumble e Mumble, senza la nota di
credito per 460.000,00 “avrebbe subito una perdita tale da fallire”
“tale interessamento … trova il suo fondamento nel fatto che i soci
di entrambe le società sono gli stessi»);
– l’operazione generava una rilevante e inspiegabile perdita
(«nel calcolo della marginalità Full Cost … tecnicamente corretto e
che questa Commissione condivide e non contestato dalla società …
13

connessione tra costo ed l’attività d’impresa»..

nell’ipotesi della mancanza del cliente … a fronte del venir meno di
ricavi per C 402.204,00 ci sarebbe stata una diminuzione di costi di
produzione per C 704.674,23»).
6.1. Il giudizio espresso dal giudice d’appello sulla carenza di
inerenza della citata componente negativa, dunque, pur ancorato
agli orientamenti pregressi della Corte, non è stato tanto o solo di

poiché – in piena corrispondenza ai principi sopra affermati – ha
posto in evidenza la sostanziale alterità della spesa, non correlata
all’attività d’impresa ma a finalità ulteriori, di cui l’evidente
antieconomicità (rilevata in termini obbiettivi) costituiva ulteriore e
significativo indice rivelatore della mancanza di inerenza.
Tale giudizio, inoltre, è stato articolato con motivazione logica,
lineare ed onnicomprensiva del complesso degli elementi in
giudizio, che ha portato al conseguente apprezzamento che il
riconoscimento del premio nella misura e alle condizioni accertate
integrasse una anomalia priva di giustificazione economica, esclusa
ogni asserita interferenza «nel merito delle scelte imprenditoriali».
6.2. Quanto al contestato mancato esame da parte della CTR
della documentazione asseritamente prodotta dalla contribuente, la
doglianza è inammissibile sia per totale carenza di autosufficienza
(avendone omesso integralmente la riproduzione), sia per carenza
di decisività, non essendo rilevante né l’effettività delle vendite, né
l’esistenza di premi anche a favore di altri clienti (riconosciuti,
comunque, in misura notevolmente inferiore).
7. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 108, comma 3, tuir, in relazione al rilievo n. 3, relativo alla
ripresa a tassazione della deduzione, per quota annuale, del prezzo
di cessione del contratto di leasing immobiliare.
7.1. La doglianza è infondata.
7.2. Occorre osservare, infatti, che, in caso di cessione
anticipata di un contratto di leasing, l’acquisto, proprio per la
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tipo quantitativo ma ha avuto carattere concretamente qualitativo

natura del rapporto ceduto, è caratterizzato da una doppia causa:
da un lato viene in rilievo l’acquisizione del diritto di godimento del
bene per il periodo di durata residua del rapporto di leasing (ossia,
il diritto di utilizzare il bene); dall’altro, invece, ha ad oggetto
l’opzione di acquisto della proprietà del bene alla scadenza naturale
(ossia il diritto di riscatto).

componente e ciascuna delle parti che lo compongono fruisce di un
diverso regime fiscale: la porzione che afferisce all’acquisizione del
diritto di godimento si correla ai canoni futuri e, quindi, va ripartita.
con la tecnica dei risconti sulla residua durata del contratto; la
porzione che afferisce, invece, all’opzione di acquisto si riferisce
all’esercizio del diritto di riscatto (solo eventuale) e, quindi, potrà
essere ammortizzata, unitamente al prezzo di riscatto, se e da
quando verrà esercitato il suddetto diritto.
Ne deriva, in particolare, che questa seconda componente non
è né certa, né riferibile agli esercizi di competenza anteriori al
riscatto.
7.3. La determinazione delle singole componenti del prezzo non
è espressamente disciplinata.
Il legislatore, invero, si è espressamente occupato della
cessione del contratto di leasing solo con riguardo al versante del
cedente: l’art. 88, ultimo comma, tuir, infatti, prevede «In caso di
cessione del contratto di locazione finanziaria il valore normale del
bene costituisce sopravvenienza attiva».
Inoltre, quanto al valore “normale”, occorre riferirsi a quello
determinabile ai sensi dell’art. 9, comma 3, tuir, ossia «il prezzo o
corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa
specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo
stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o
servizi sono stati acquisiti o prestati» e, dunque, quando sono in

15

Il prezzo costituisce, dunque, il corrispettivo di questa duplice

questione immobili, assume rilievo, in linea di massima, il prezzo di
mercato.
Le posizioni del cedente e del cessionario, peraltro,
rappresentano i due lati della medesima vicenda: l’esistenza di una
sopravvenienza attiva condiziona necessariamente l’esistenza e
l’ammontare delle quote riferibili al cessionario.

della cessione in questione corrisponde al valore del bene detratto
l’ammontare (attualizzato) dei canoni ancora dovuti e, in ipotesi,
del prezzo di riscatto.
Ne deriva, quindi, che a fronte dell’incremento di imponibile
(sopravvenienza attiva) per il cedente, il cessionario, per
determinare se e quale sia la quota imputabile a ciascun esercizio,
non potrà che fare riferimento alla differenza tra costo da lui
sostenuto (Le.

prezzo della cessione) e sopravvenienza attiva

tassabile, ossia al valore “normale” netto del bene.
7.4. La CTR, nel valutare la deducibilità delle quote in oggetto,
non ha violato i criteri previsti dall’art. 108 tuir ma, semplicemente,
ha considerato – con accertamento in fatto in alcun modo
censurato dalla contribuente – che il prezzo di cessione era
notevolmente inferiore a quello normale, sicché non avrebbe potuto
essere dedotto anteriormente al riscatto (eventuale).
7.5. Né, in ogni caso, il giudice d’appello ha dato preminenza,
facendone diretta applicazione, alla “norma di comportamento n.
141/2000” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, che è
stata richiamata solo in via argomentativa a ulteriore suffragio,
tecnico, della validità del ragionamento («in armonia con la norma
di …»).
7.6. È inammissibile, infine, la richiesta di non applicazione
delle sanzioni, solo irritualmente formulata nel corpo del motivo,
neppure essendo censurata l’espressa statuizione, sul punto, della
CTR («vanno confermate le sanzioni … le norme di comportamento
16

Sotto un profilo strettamente economico, infatti, il corrispettivo

emanate dal Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti
debbono essere applicate, caso avverso non avrebbero motivo di
esistere tenuto conto che il loro scopo è di impartire corrette
disposizioni per la contabilizzazione di particolari e complessi
accadimenti aziendali. Non sussiste, pertanto, alcuna valida
motivazione per escludere le sanzioni connesse a tale ripresa»).

all’errore di calcolo sulla determinazione dell’importo di C
36.500,00 (quota del corrispettivo di subentro nel contratto di
leasing) di cui al rilievo n. 2.
8.1. Il motivo è inammissibile.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, infatti, «è
inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il
ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia
del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non
siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì
da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte
non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi
senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte»
(Cass. n. 17049 del 2015, rv. 636133; Cass. n. 14561 del 2012,
rv. 623618).
Il ricorrente, del resto, pur affermando di aver proposto
l’eccezione in entrambi i gradi di giudizio si limita, ferma la
mancata riproduzione della censura, ad indicare le pagine del
ricorso introduttivo quale sede ove è stata proposta l’eccezione.
8.2. Giova sottolineare, per completezza, che la CTR ha
comunque esclu4b che «i costanti riferimenti svolti, quali motivi di
appello dalla Società a quanto dedotto in primo grado, non possono
trovare accoglimento per la loro genericità», statuizione in alcun
modo censurata, sicché la censura è inammissibile pure per tale
profilo.

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8. Il quarto motivo denuncia omessa pronuncia in ordine

9. Il quinto motivo denuncia nuovamente omessa pronuncia in
ordine all’errore di calcolo sulla determinazione dell’importo ripreso
a tassazione di C 16.953,73 (scorporo della quota capitale del
terreno dal totale dei canoni di leasing) di cui al rilievo 2.
9.1. Il motivo presenta le medesime insufficiente e mancanze
esaminate al quarto motivo, sicché è parimenti inammissibile.

soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in
complessive euro 10.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, il 19 febbraio 2018
Il Presidente

10. Il ricorso, pertanto, va rigettato e le spese liquidate per

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