Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18903 del 17/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 18903 Anno 2018
Presidente: CRUCITTI ROBERTA
Relatore: D’ORAZIO LUIGI

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15996/2011 R.G. proposto da
Gestione Servizi Aeroporti Campani – GESAC spa, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Pierluigi
Giammaria, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Salaria, n.
227, in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

ricorrente

contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
ricorrente incidentale –

Data pubblicazione: 17/07/2018

e
Amministrazione dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro
tempore
-intimataavverso la sentenza della Commissione Regionale delle Campania n.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 gennaio 2018 dal
Consigliere Luigi D’Orazio;
udito l’Avv. Pierluigi Giammaria per la ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Sergio Del Core, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo di
ricorso principale, l’accoglimento del secondo e del terzo motivo e
l’assorbimento del quarto, con dichiarazione di inammissibilità o rigetto del
ricorso incidentale.

FATTI Di CAUSA
1.Con avviso di accertamento relativo all’anno 2001 l’Agenzia delle entrate
recuperava a tassazione nei confronti della Gestione Servizi Aeroporti Campani
(Gesac) spa, per quel che ancora qui interessa, ai fini Ires ed Irap costi per C
939.861,17, relativi a transazioni su clausole penali contrattuali per i ritardi
nell’avanzamento dei lavori, che non potevano essere dedotti, in quanto la
società avrebbe dovuto procedere alla capitalizzazione ed all’ammortamento.
Inoltre, l’Agenzia recuperava a tassazione ai fini Iva la somma di C 687.687,00
per il mancato assoggettamento ad Iva di prestazioni di servizio che la società
aveva ritenuto non imponibili ai sensi dell’art. 9, comma 1, punto 6 del d.p.r.
633/1972.
2.Avverso tale avviso proponeva ricorso la contribuente dinanzi alla
Commissione tributaria provinciale.
3.La Commissione tributaria provinciale accoglieva parzialmente il ricorso

98/33/2010 depositata il 4 maggio 2010.

dichiarando “dovute le imposte dirette sulla liquidazione dei corrispettivi per la
transazione avvenuta” anche se “al netto delle quote di ammortamento
rapportate alla durata della concessione”. Riteneva non dovuta l’Iva sui servizi
aeroportuali.
4.Avverso tale sentenza proponeva appello la società ritenendo pienamente
deducibili nel conto economico i costi straordinari a contenuto risarcitorio,
derivanti dalle transazioni su clausole penali contrattuali. Non riteneva

stato patrimoniale con la conseguente sottoposizione al processo di
ammortamento.
5.Avverso la sentenza proponeva appello incidentale l’Agenzia delle Entrate
evidenziando l’assoggettabilità ad Iva delle operazioni svolte presso
l’aeroporto.
6.La Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza depositata
il 4-5-2010, rigettava l’appello principale dichiarando non deducibili i costi per
penali, mentre accoglieva l’appello incidentale della Agenzia delle Entrate
dichiarando non deducibile l’ammortamento per C 11.317,00, rigettando “nel
resto”. In particolare, in motivazione si affermava che le somme pagate per le
“penali” alle ditte appaltatrici da parte della società appaltante (Gesac spa)
rientravano in un unico corrispettivo, da corrispondere per l’esecuzione
dell’intera opera, anche ai sensi dell’art. 1664 comma 2 c.c.. Pertanto, le
somme pagate per penali a seguito di transazioni stipulate, anche se riferite ad
eventi eccezionali, non rappresentavano autonomi costi, ma maggiori
corrispettivi corrisposti alle ditte appaltatrici per l’esecuzione dei diversi
contratti di appalto. Si trattava, quindi, di costi incrementativi dei cespiti,
sostenuti per l’ampliamento ed il miglioramento degli elementi strutturali di
una immobilizzazione, sicchè erano oggetto di capitalizzazione se si
traducevano in un aumento significativo e misurabile di capacità o di
produttività o di sicurezza o di vita utile. Pertanto, tali costi di ristrutturazione
partecipavano alla gestione dell’impresa attraverso l’imputazione al conto
economico di quote di ammortamento. Inoltre, si precisava che non poteva
procedersi all’ammortamento in quanto la società non aveva provveduto,
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condivisibile la necessità di capitalizzazione del costo tra i beni materiali dello

all’atto della formazione del bilancio, ad effettuare la relativa capitalizzazione.
7.Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la Gesac spa.
8.Proponeva ricorso incidentale per Cassazione l’Agenzia delle entrate.
9.L’Annministrazione finanziaria non proponeva controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione
della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via
incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione,
con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può
considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte,
indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé
stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del
termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto
degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., indipendentemente dai termini
(l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (Cass.Civ., 20
marzo 2015, n. 5695).
Il ricorso presentato dalla società, in quanto notificato prima, va qualificato
come ricorso principale, mentre il ricorso della Agenzia delle entrate va indicato
come ricorso incidentale.
Inoltre, va dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione proposto nei
confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che non ha preso parte ai
precedenti gradi di giudizio.

1.1.Con il primo motivo di ricorso per cassazione la Gesac deduce la assenza di
motivazione della sentenza impugnata in ordine alla doglianza della
contribuente sulla carenza radicale di motivazione dell’avviso di accertamento
per mancata esplicitazione delle ragioni poste a suo fondamento, per violazione
dell’art. 360 comma 1 , n. 3, c.p.c. e dell’art. 42 del d.p.r. 29-9-1973 n. 600.
In particolare, per la ricorrente non è sufficiente il mero rinvio ai rilievi
formulati nel processo verbale di constatazione.
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1.Anzitutto, si rileva che il principio dell’unicità del processo di impugnazione

1.2.Tale motivo è inammissibile.
Invero, per la Suprema Corte (Cass.Civ., 28 giugno 2017, n. 16147), in base al
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366
c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una
commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel
giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è
necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto

consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del
ricorso.
Nella specie, è del tutto omessa la trascrizione del contenuto dell’avviso di
accertamento oggetto di impugnazione.
Tra l’altro, in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione
tributaria, l’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel prevedere
che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni
documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli
atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per
effetto di precedente comunicazione – nel caso trattato dalla Suprema Corte
l’avviso di accertamento era stato motivato con riferimento ad un processo
verbale di constatazione, precedentemente consegnato in copia previa
sottoscrizione – (Cass.Civ., 14 gennaio 2015, n. 407).
2.Con il secondo motivo di impugnazione la Gesac spa deduce la violazione o
falsa applicazione degli articoli 103, relativo ad ammortamento di beni
immateriali, 109, recante norme generali sui componenti del reddito d’impresa,
e 110 comma 8 del d.p.r. 917 del 1986, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3
c.p.c. Per la ricorrente, invero, non è corretto il ragionamento della
Commissione regionale che ha ritenuto che i costi per risarcimento da clausola
penale non devono essere inseriti nel conto economico, ma tra le
immobilizzazioni immateriali, con capitalizzazione dei costi e successivo
ammortamento nel conto economico. Al contrario, trattandosi di oneri derivanti
dalla definizione di transazioni aventi natura risarcitoria il costo è stato
correttamente indicato nel conto economico nella voce “oneri diversi di
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avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di

gestione”, sottoconto “penalità diverse”, per C 942.044,47. Non si tratta di un
maggiore corrispettivo liquidato alle ditte appaltatrici per l’esecuzione di opere.
In effetti, si rileva che non vi è stato accrescimento della dotazione di impianti
o di cespiti, e quindi della dotazione patrimoniale dell’azienda, ma solo il
risarcimento in via transattiva di danni subiti dalle società appaltatrici in
conseguenza dei ritardi, alle stesse non imputabili, verificatisi nella fase di
realizzazione dei lavori. Gli introiti derivanti da transazioni scaturite dalla scelta

essere assimilati alla nozione di “compensi aggiuntivi” per le variazioni delle
opere realizzate, trattandosi, invece, di costi straordinari ed imprevedibili legati
solo in modo casuale all’opera realizzata.
3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la violazione degli
artt. 53 della Cost. e degli artt. 69 del d.p.r. 600/1973 e 163 del d.p.r.
917/1986, in quanto la Commissione regionale non si è limitata a sancire la
non deducibilità dei costi nel conto economico dell’esercizio, ma ha anche
impedito per il futuro la deducibilità delle quote di ammortamento annue nel
conto economico, non avendo la società provveduto alla capitalizzazione dei
costo nello stato patrimoniale del bilancio. Si è così violato il divieto della
“doppia imposizione” ex art. 163 d.p.r. 917 del 1986. La ricorrente, in
concreto, è privata del diritto di detrarre costi regolarmente sostenuti ed
attinenti alla gestione imprenditoriale, non solo con riferimento all’annualità in
corso, ma anche per il futuro, con impossibilità di detrarre un costo legittimo.
Nè ciò può costituire “accidentale ma necessitata conseguenza del principio di
competenza”. L’Agenzia delle entrate avrebbe, comunque, dovuto procedere
d’ufficio alla riliquidazione delle dichiarazioni che generavano la doppia
imposizione (cfr. pagina 26 del ricorso per cassazione “chiarisca la Corte
se.. .comporti l’obbligo per lo stesso Ufficio di tener conto della suddetta
rettifica anche in relazione agli esercizi successivi…”), stante l’oggettiva
impossibilità della ricorrente di procedere, a termini ormai decorsi, a
ricostruzioni incidenti si più annualità di imposta.
4.11 secondo ed il terzo motivo di impugnazione, che vanno trattati
congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.
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di estinguere profili di responsabilità imputabili all’imprenditore non possono

Invero, è circostanza pacifica che i costi in questione siano sorti a seguito di
transazioni relative alla operatività di clausole penali per i ritardi nella
esecuzione dei lavori da parte delle società appaltatrice a causa di condotte
della appaltante Gesac spa.
Secondo la Commissione regionale, invece, in tale ipotesi, non si sarebbe in
presenza di costi deducibili nel conto economico, ma di corrispettivi versati per
l’esecuzione dell’intera opera nel suo complesso. In tal modo tali somme,

eccezionali, non rappresentano autonomi costi, ma maggiori corrispettivi
versati alle ditte appaltatrici per l’esecuzione dei contratti di appalto. Si
tratterebbe di costi incrementativi dei cespiti, che si sono sostenuti, quindi, per
l’ampliamento, l’ammodernamento e il miglioramento degli elementi strutturali
di una immobilizzazione, con un aumento significativo e misurabile di capacità
o di produttività o di sicurezza o di vita utile.
Nel conto economico, quindi, dovrebbero essere ricomprese solo le quote di
ammortamento, a seguito di capitalizzazione delle immobilizzazioni immateriali
nello stato patrimoniale. Nella specie, peraltro, non avendo provveduto la
società a tale capitalizzazione in bilancio, sarebbe impossibile detrarre le quote
di ammortamento.
Nell’art. 102 comma 6 del d.p.r. 917 del 1986, infatti, vi è la disciplina delle
spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione dei
beni materiali strumentali. Si distinguono, quindi, le spese di manutenzione
ordinaria, che sono imputate al conto economico, ed incidono, dunque, sul
risultato dell’esercizio nel corso del quale sono sostenute, e quelle di
manutenzione straordinaria, di ammodernamento o di trasformazione di
cespiti. Queste ultime servono, infatti, ad innalzare la produttività ed a
prolungarne la vita utile, spiegando effetti positivi anche sugli esercizi
successivi a quello in cui sono state sostenute. Tali spese devono, allora, essere
capitalizzate, quindi portate ad incremento del costo dei cespiti cui si
riferiscono e, poi, ammortizzate unitamente al costo originario.
Tuttavia, a tale soluzione osta il costante orientamento della Suprema Corte sul
punto (Cass.Civ., 5 luglio 2017, n. 16561; Cass.Civ., 27 settembre 2011, n.
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pagate per penali a seguito di transazioni, anche se riferite ad eventi

19702), per cui, in tema di imposte dei redditi, sono deducibili dal reddito
d’impresa le penalità contrattuali per ritardata consegna alla clientela, stabilite
in base all’art. 1382 c.c., in quanto, per la natura di patto accessorio del
contratto, inidoneo ad interrompere il nesso sinallagmatico, non hanno finalità
sanzionatorie o punitive ma, assolvendo la funzione di rafforzare il vincolo
negoziale e predeterminare la misura del risarcimento in caso
d’inadempimento, sono inerenti all’attività d’impresa.

alla sussistenza del requisito di “inerenza” dei costi sostenuti per clausola
penali (“penalità per ritardata consegna ai clienti”) con il reddito di impresa,
per la natura “sanzionatoria” delle penali. La correlazione tra costo e reddito di
impresa è stata esclusa solo però con riferimento al pagamento di sanzioni
pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente (per le
infrazioni stradale cfr. Cass.Civ., n. 7071 del 2000). Ciò perchè la condotta
illecita “spezza” il nesso di inerenza. La sanzione, quindi, non può costituire un
costo deducibile dal reddito, in quanto così ragionando si vanificherebbe la ratio
punitiva delle sanzioni pecuniarie, trasformandole in un risparmio di imposta, e
quindi in un premio per le imprese che hanno agito in violazione di norme
imperative. Diversamente le penalità contrattuali di cui all’art. 1382 c.c., per le
ritardate consegne ai clienti, hanno solo la finalità di determinare
preventivamente il risarcimento del danno. Trattasi di un patto accessorio del
contratto con funzione sia di coercizione all’adempimento, sia di
predeterminazione della misura del risarcimento.
La tesi della società, quindi, deve essere condivisa, essendo, appunto, pacifico
tra le parti che le transazioni hanno avuto ad oggetto esclusivamente il diritto
al risarcimento dei danni derivante da clausole penali per il ritardo nella
esecuzione delle opere, senza alcun riferimento alla esecuzione di ulteriori
opere rispetto a quelle già previste nel contratto di appalto.
Nel ricorso principale per Cassazione, infatti, si legge che “tali ritardi nei tempi
di completamento delle opere, scaturiti da fatti non prevedibili – quali la
sopravvenuta richiesta di varianti ai progetti da parte di soggetti istituzionali
terzi presenti nel perimetro aeroportuale, l’esigenza di bonifica delle aree da
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In queste decisioni, infatti, era oggetto di discussione la questione in ordine

ordigni esplosivi, etc. – sono alla base delle richieste di risarcimento
formalizzate, con riserve, dalle ditte”.
La società, dunque, ha indicato correttamente gli importi tra i costi deducibili.
La Commissione tributaria regionale deve, quindi, in sede di giudizio di rinvio,
adeguarsi al principio di diritto qui indicato.
5.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la illegittimità
della sentenza impugnata per mancata rilevazione della non irrogabilità delle

commi 1 e 2, del d.lgs. 18-12-1997 n. 472/1997. In particolare si chiede di
accertare la sussistenza delle cause di non punibilità per l’applicazione delle
sanzioni in presenza di obiettive ragioni di incertezza, determinate anche da
pronunce contrastanti delle Commissioni tributarie.
5.1.Tale motivo deve ritenersi assorbito, in ragione dell’accoglimento dei motivi
secondo e terzo, con conseguente nuova valutazione dei fatti da parte del
giudice del rinvio.
6.Con ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza della
Commissione regionale per omessa motivazione ai sensi dell’art. 36 comma 2
n. 4 del d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. In
particolare, con l’appello incidentale l’Agenzia delle entrate ha impugnato la
decisione della Commissione provinciale che aveva ritenuto non dovuta l’Iva sui
servizi aeroportuali. La Commissione regionale si è limitata a statuire “rigetta
nel resto” senza alcuna motivazione.
6.1.Tale motivo è fondato.
6.2.Inoltre si evidenzia che il motivo, contrariamente a quanto dedotto dalla
società nel controricorso, è ammissibile, anche con riferimento al richiamo
dell’ipotesi di cui al n. 4 dell’art. 360 c.p.c..
Invero, per la Suprema Corte, in tema di ricorso per cassazione, è
contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa
pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il
primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile
per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112
cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art.
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sanzioni con violazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., dell’art. 6,

360 cod. proc. civ., n. 4, e non con la denuncia della violazione di norme di
diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc.
civ., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di
doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in
modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va
denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass.Civ., 18 giugno
2014, n. 13866).

completamente assente, come è avvenuto nella specie, in cui nel dispositivo si
legge “rigetta nel resto”, ma nella motivazione non v’è alcuna motivazione sulla
questione.
In tal caso per la Suprema Corte, è integrata l’ipotesi di assoluta carenza di
motivazione, quando appunto la sentenza, in violazione degli artt. 132,
secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118, primo comma, disp att. cod. proc.
civ., manca delle argomentazioni atte a palesare le ragioni della decisione,
perché una siffatta carenza, incidendo sul modello della sentenza descritto da
tali disposizioni – costituenti attuazione del principio costituzionale (art. 111
Cost) secondo il quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati -, ne determina la nullità, prevista come motivo di ricorso per
cassazione dall’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. (Cass.Civ., 2 luglio 2004, n.
12114).
Nella specie, come dedotto dalla Agenzia, ricorrente incidentale, manca
qualsiasi motivazione in ordine al motivo di impugnazione proposto con
l’appello incidentale dall’Agenzia, ove si chiedeva di riformare la sentenza della
Commissione provinciale che aveva escluso il pagamento dell’Iva per le
operazioni all’interno degli aeroporti.
Nè è possibile, come richiesto dalla Gesac nel controricorso pronunciare nel
merito, in quanto la questione involge accertamenti in fatto, che vanno
demandati al giudice di merito, in sede di rinvio.
7.La decisione va cassata con rinvio alla Commissione regionale della
Campania in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del
giudizio di legittimità, attenendosi al principio di diritto enunciato in
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Ben diversa è l’ipotesi in cui la motivazione di un punto della decisione sia

motivazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della Amministrazione
dell’Economia e delle Finanze dello Stato.
In accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale, rigettato
il primo ed assorbito il quarto, e in accoglimento del ricorso incidentale della
Agenzia delle entrate, cassa la sentenza, con rinvio alla Commissione regionale

giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 18 gennaio 2018
Il Consigliere est.
Luigi D’Orazio
Il Presidente

della Campania in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del

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