Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18899 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/07/2017, (ud. 21/06/2017, dep.28/07/2017),  n. 18899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23200-2015 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.M., MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 8242/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 22/4/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/6/2017 dal Consigliere Dott. MAROTTA CATERINA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– con sentenza di questa Corte n. 8242/2015 del 22 aprile 2015, veniva rigettato il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri avverso la decisione della Corte di appello di Torino n. 546/2011 che aveva confermato la pronuncia di primo grado di accoglimento della domanda di P.M. e declaratoria del suo diritto, in attuazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 39 e 41, di recepimento della direttiva CEE 93/16, quale medico che aveva frequentato la scuola di specializzazione in anestesia e rianimazione dal 1 gennaio 2002 al 31 dicembre 2005 ed aveva beneficiato di una borsa di studio dell’università da 1 gennaio 2002 al 3 dicembre 2004 ad un’adeguata retribuzione a partire dall’anno accademico 2006/07 e condannato la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca al pagamento della somma di Euro 40.099,17 a titolo risarcitorio;

– avverso tale sentenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone ricorso per revocazione;

– P.M. e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sono rimasti intimati;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– non sono state depositate memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– la Presidenza del Consiglio deduce omessa pronuncia sui motivi di ricorso ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, rilevando che la sentenza revocanda si è limitata a percepire in termini pedissequi il principio di diritto espresso dalle SSUU nella sentenza n. 9147 del 17 aprile 2009 senza pronunciarsi sulle questioni poste dalla ricorrente afferenti alla erroneità della sentenza d’appello in quanto nella specie non si verteva in una ipotesi di illecito comunitario bensì di adeguamento del quantum della remunerazione fruita dagli specializzandi non prevista da alcuna direttiva comunitaria. Lamenta, altresì, l’erroneità della motivazione della sentenza rispetto ai motivi di ricorso evidenziando la non pertinenza della stessa riguardo al concreto contesto come reso evidente dal pedissequo richiamo alla sentenza delle SSUU di questa Corte n. 9147 del 17 aprile 2009 afferente ad una diversa tipologia di contenzioso;

– il ricorso è inammissibile;

– innanzitutto si evince dallo svolgimento del processo che la Corte di cassazione ha ben avuto presenti le questioni poste dalla Presidenza del Consiglio con il ricorso per cassazione (si vedano i passaggi in cui si è chiaramente evidenziato che con il primo motivo di ricorso era stato dedotto che la questione in giudizio avrebbe riguardato un adeguamento del quantum della remunerazione fruita dagli specializzandi, non oggetto di una direttiva CEE, e non un illecito comunitario come sostenuto nella sentenza impugnata, per cui andrebbe applicato il termine di prescrizione quinquennale e che con il secondo motivo la ricorrente aveva lamentato che la sentenza impugnata avrebbe considerato la questione di un adempimento parziale alle direttive comunitarie mentre invece si controverterebbe su differenze retributive a medici specializzandi, non previste da alcune direttiva comunitaria;

– va osservato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, vale a dire quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità e positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali: vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass., Sez. un., n. 7217/2009, nonchè Cass. nn. 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005);

– non vi è dubbio allora che nella specie non sussiste alcuna delle ipotesi idonee a determinare la revocabilità della sentenza atteso che, stanti le sopra evidenziate premesse circa la chiara consapevolezza delle questioni sottoposte dalla ricorrente all’attenzione della Corte, non vi è stato alcun errore di percezione del fatto processuale, rappresentato dalla supposizione erronea dell’inesistenza dei motivi, le ulteriori doglianze attengono all’attività valutativa, insuscettibile in quanto tale quand’anche risultante errata – di revocazione (Cass. s.u. 28 maggio 2013, n. 13181), e tendono solo a sollecitare in modo inammissibile un nuovo esame piuttosto che a individuare un errore percettivo nei termini di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4;

– ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 391 bis c.p.c., comma 3, per la definizione camerale del processo;

– in conclusione, la proposta va condivisa ed il ricorso va dichiarato inammissibile;

– nulla va disposto in ordine alle spese non avendo le parti intimate svolto attività difensiva;

– non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. n. 1778/2016).

PQM

 

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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