Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18899 del 17/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 18899 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: D’ASCOLA PASQUALE

SENTENZA
sul ricorso 18764-2010 proposto da:
MATTIAZZO GELMI DI CAPORIACCO MARINA, GELMI DI
CAPORIACCO SERGIO, elettivamente domiciliati in ROMA
VIA A. GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato
ANTONELLA GIGLIO, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MAURIZIO LEONE giusta delega
in calce;
– ricorrenti contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 17/07/2018

STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 73/2009 della COMM.TRIB.REG. di
MILANO, depositata il 22/07/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. PASQUALE

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito per i ricorrenti l’Avvocato FEDREGHETTI per
delega dell’Avvocato LEONE che ha chiesto
l’accoglimento.

D’ASCOLA;

Fatti di causa
Il ricorso in esame narra che gli eredi Gelmi Caporiacco presentarono “svariate
dichiarazioni di successione di cui cinque relative a quote di società per azioni e
a responsabilità limitata che diedero luogo ad avvisi di rettifica e liquidazione

16 d.lgs. 346/90).
Gli avvisi vennero impugnati con unico atto davanti alla commissione tributaria
provinciale, che accolse il ricorso con sentenza n. 195 del 2002.
In pendenza dell’appello proposto dall’Agenzia, i contribuenti si avvalsero del
“condono fiscale” con istanze ai sensi dell’art. 16 legge 289/02.
Dopo il pagamento di tutto quanto previsto per due delle istanze e di alcune
rate delle altre tre istanze, venne emessa circolare dell’Agenzia delle Entrate
favorevole alla tesi sostenuta dai ricorrenti in ordine all’art. 16 della normativa
del 1990; i contribuenti, preso atto del mancato abbandono della pretesa da
parte dell’Agenzia territoriale, proseguirono nei pagamenti, asseritamente
“onde evitare le sanzioni”; il giudizio di appello venne definito con declaratoria
di cessazione della materia del contendere.
Nel giugno 2006, prosegue il ricorso odierno, i contribuenti presentarono
istanza di rimborso per chiedere la restituzione di euro 1.685.531,50 euro,
somma versata a loro dire senza titolo, oltre interessi. Formatosi il silenzio
rifiuto, presentarono ricorso alla CTP di Milano, che lo respinse con sentenza
151/18/08.
La Commissione regionale ha respinto l’appello con sentenza del 22 luglio
2009.
n. 18764-10

D’Ascola rei

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relativi alla determinazione del valore delle azioni di società non quotate (art

I ricorrenti hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione svolgendo otto
motivi.
L’amministrazione ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.

2) Con il primo motivo parte ricorrente deduce che negare il diritto al rimborso
costituisce violazione dell’art 38 dpr 602, il quale richiede soltanto che il
versamento sia stato effettuato per errore materiale o duplicazione, o, come
sarebbe avvenuto nella specie per «inesistenza totale dell’obbligo di
versamento».
Con il secondo motivo viene dedotta «omessa motivazione» in ordine alla
legittimità della procedura rimborso e al diritto a ottenerlo.
Il terzo motivo lamenta contraddittoria motivazione sulla possibilità di rimborso
ex art. 16 legge 289, che sarebbe stato argomentato rilevando che l’omesso
versamento di rate di condono successive alla prima avrebbe solo comportato il
recupero, circostanza non decisiva in ordine al diritto al rimborso.
Il quarto motivo censura la sentenza di appello nella parte in cui ha affermato
che la declaratoria di estinzione del giudizio emessa a seguito dell’integrale
pagamento comporta il passaggio in giudicato del provvedimento: secondo
parte ricorrente trattavasi non di una sentenza, ma di un decreto presidenziale,
che non potrebbe passare in giudicato.
Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 36 comma 2 del d.lgs 546/92.
Parte ricorrente sostiene che la tesi della inconciliabilità della revoca della
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Ragioni della decisione

domanda di definizione agevolata per incompatibilità con la finalità deflativa
dell’art. 16 non sarebbe idoneamente illustrata e che anche il far rientrare la
definizione delle liti fiscali nello schema civilistico della transazione non sarebbe
motivazione giuridicamente sostenibile, ma illogicamente preconcetta, posto

concessioni», ma vincolate alle disposizioni di legge, questione ripresa nel
sesto motivo, richiamando gli artt. 1969 e 1970 c.c.
ohm))
Il settimo motivo censura la frase della sentenza i,6 – cui la domanda di condono
sarebbe equiparabile a un negozio processuale soggetto ad impugnazione solo
nelle ipotesi in cui è ammessa la revocazione della sentenza ex art. 395 c.p.c..
L’ultimo motivo torna a sostenere la tesi della revocabilità della domanda di
condono e trae argomento dalla mancanza nella legge 289/02 di una
disposizione analoga all’art. 53 comma 11 della legge 413/91 ( che stabiliva che
le domande di definizione sono irrevocabili. Nella medesima ottica viene letta
la previsione di cui agli artt. 7 e 9 della vecchia legge / relativi alla non
rimborsabilità di importi
3) Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate per la stretta
connessione dei profili giuridici e motivazionali sollevati, sono da rigettare.
Esse muovono in primo luogo da una premessa che è priva di fondamento,
costituita dall’affermazione che si fosse in presenza di “inesistenza totale
dell’obbligo di versamento”.
Tale asserzione è desunta dalla circostanza che sarebbe sopravvenuta, nelle
more del contenzioso instaurato a suo tempo contro gli avvisi di liquidazione,

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che nel caso del condono le parti non sono libere «di farsi reciproche

una circolare di segno favorevole a parte ricorrente nell’interpretazione della
normativa in tema di tassazione successoria delle società.
Tuttavia, come ha osservato la sentenza impugnata, con ratio decidendi che da
sola è già sufficiente a reggere la decisione, una circolare interpretativa non

esaminati, non “per i casi pregressi”, per i quali ha già spiccato l’atto che fa
valere la pretesa tributaria.
Questa affermazione è corretta: qualora la parte non si fosse avvalsa della
normativa sul condono, la sua situazione giuridica non sarebbe stata di diritto
allo sgravio della pretesa tributaria, né sarebbe stato certo l’esito vittorioso del
giudizio di appello che era pendente.
In tal caso il giudizio sarebbe stato definito secondo diritto dal giudice di
appello ed eventualmente dal giudice di legittimità, poiché la circolare non
avrebbe potuto assumere valore vincolante.
La scelta dei contribuenti di avvalersi della definizione agevolata presuppone
proprio l’incertezza circa il possibile esito della lite in sede giudiziaria e la
volontà della parte di avvantaggiarsi della normativa più favorevole proprio
per sottrarsi a questa incertezza, volontà non revocabile dopo l’avvenuta
formulazione dell’istanza di definizione e il pagamento del relativo importo.
4) La pretesa restitutoria avanzata con l’istanza di rimborso è quindi infondata
e la giurisprudenza più recente ha avuto modo di stabilirlo.
Cass. 4566/15 ha sancito che «In tema di condono fiscale, la presentazione
della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le
annualità d’imposta definite in via agevolata, anche nell’ipotesi di asserito
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vincola l’autorità giudiziaria ma solo l’Amministrazione per i casi non ancora

difetto del presupposto, giacché il condono – determinando la formazione di un
titolo giuridico nuovo in forza del quale il contribuente volontariamente sceglie
di versare le somme risultanti dall’applicazione di parametri predeterminati costituisce una modalità di definizione “transattiva” della controversia, da cui

fronte di eventuali ulteriori rivendicazioni del Fisco, della richiesta del
contribuente al rimborso.»
Nella stessa logica, Cass. 6108/16 ha escluso che la scelta del contribuente di
avvalersi del ravvedimento operoso (art 13 d.lgs 472/97) possa essere
revocata con una richiesta di rimborso di quanto corrisposto, giacchè implica
riconoscimento della violazione e della ricorrenza dei presupposti di
applicabilità della sanzione.
Il controricorso coglie dunque nel segno allorquando afferma che “ragione
assorbente” di infondatezza del ricorso è l’impedimento al rimborso costituito
dall’adesione al condono; questo concetto è stato espresso anche dalla
sentenza impugnata, laddove ha respinto la richiesta di rimborso in quanto
“inconciliabile” con la normativa sulla definizione agevolata, mirante a
eliminare il contenzioso, in forma assimilabilE alla transazione, come anche la
Suprema Corte ha avuto modo di affermare.
4.1) Superfluo è quindi discutere di ipotizzate ambiguità o incertezze
espressive della motivazione resa dai giudici di merito o di ulteriori deduzioni
difensive dell’amministrazione (p. es. in tema di decadenza del termine ex art.
38 c. 1 dpr 602/73), atteso che la decisione merita conferma con la
puntualizzazione dei principi di diritto sopraenunciati.

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consegue il componimento delle opposte pretese e quindi l’azzeramento, a

5) Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla
refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.

10.000 per compenso, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della V sezione Tributaria tenuta
il 20 settembre 2017

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro

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