Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18898 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. I, 11/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 11/09/2020), n.18898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9691/2015 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n.

104, presso la sig.ra De Angelis Antonia, rappresentato e difeso

dall’avvocato Ballero Benedetto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia Laore Sardegna, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Zebio n. 30,

presso lo studio dell’avvocato Biagini Alfredo, rappresentata e

difesa dagli avvocati Corona Maria Elisabetta, Santoru Maria, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 18/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2020 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

V.L., componente del c.d.a. dell’Ersat (Ente regionale di sviluppo e assistenza tecnica in agricoltura), oggi Agenzia Laore Sardegna, è stato condannato dal tribunale di Cagliari, ai sensi dell’art. 2033 c.c., a restituire la somma di 49.295,51 Euro che gli era stata erogata in eccedenza quale compenso per la carica assunta;

il tribunale ha motivato affermando che il compenso era stato originariamente fissato dalla L.R. Sardegna n. 20 del 1995, art. 6, nel 50% di quello spettante al presidente, il quale era stato a sua volta ai fini specifici equiparato al dipendente dell’amministrazione regionale inquadrato nella qualifica dirigenziale con venti anni di anzianità, con maggiorazione dell’indennità di carica prevista per il coordinatore generale;

posto che la figura del coordinatore generale era stata soppressa con L.R. Sardegna n. 31 del 1998 e che erano sorti dubbi a proposito della successiva Det. n. 38 del 2001, del direttore generale, che aveva commisurato i compensi a quelli previsti relativamente alla vecchia figura anzichè a quelli maggiori riconosciuti al direttore generale medesimo; posto invece che a questa era seguita una diversa Delibera del c.d.a. di Ersat, che aveva disposto l’adeguamento dei compensi al trattamento retributivo spettante alla nuova figura apicale, la quale Delibera era stata tuttavia recisamente contestata dall’assessorato regionale alla programmazione e al bilancio; posto tutto ciò, il tribunale ha osservato che la L.R. Sardegna n. 7 del 2005, aveva infine superato ogni dubbio interpretativo mediante una norma di interpretazione autentica: e segnatamente mediante l’art. 22, stando al quale della sopra citata L.R. n. 20 del 1995, art. 6, doveva essere interpretato nel senso che “il compenso spettante al Presidente degli enti è commisurato alla retribuzione spettante, al momento di entrata in vigore della stessa L. n. 20 del 1995, ai coordinatori generali dell’amministrazione regionale senza possibilità di automatica equiparazione a figure apicali successivamente introdotte dalla stessa amministrazione”;

la sentenza è stata confermata dalla corte d’appello di Cagliari e avverso la relativa statuizione, depositata il 18-2-2014, non notificata, è ora proposto ricorso per cassazione da parte del V. sulla scorta di un unico motivo;

l’Agenzia Laore resiste con controricorso;

le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – con unico per quanto articolato motivo il ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione della L.R. Sardegna n. 20 del 1995, art. 6, art. 12 delle preleggi, L.R. Sardegna n. 31 del 1998, artt. 8, 13, 23 e 24, L.R. Sardegna n. 7 del 2005, art. 22, L.R. Sardegna n. 3 del 2008, art. 3, oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo, censura la sentenza per non avere correttamente identificato come “mobile” il tipo di rinvio operato nel contesto delle riferite fonti normative, e per non avere adeguatamente ricostruito la portata della norma asseritamente interpretativa nel quadro dei principi costituzionali, essendosi dinanzi, infine, a una norma-provvedimento, praticamente mirata sulla situazione specifica degli amministratori degli enti nel periodo dal 1994 al 2004;

in questo senso il ricorrente sollecita, in subordine, l’eventuale rimessione degli atti alla corte costituzionale;

II. – il ricorso è infondato;

lo stesso ricorrente ha specificato di esser stato nominato componente del c.d.a. di Ersat il 22-6-2000;

dalla sequenza di riferimenti operati dall’impugnata sentenza, di riflesso all’accertamento già fatto dal tribunale di Cagliari, emerge che solo dopo l’assunzione della carica, e segnatamente con Delib. c.d.a. in data 10 novembre 2001, il compenso, inizialmente parametrato all’indennità del coordinatore generale in base alla vigente L.R. n. 20 del 1995, art. 6, era stato rideterminato in commisurazione con quello spettante alla nuova figura apicale del direttore generale; questo perchè la figura del coordinatore generale era stata soppressa con L.R. n. 31 del 1998 e sostituita con quella (diversamente retribuita) del direttore generale; per cui si poneva un problema interpretativo in ordine alla effettiva portata del rinvio operato dalla ripetuta L.R. n. 20 del 1995, tanto che erano sopravvenuti i rilievi del competente assessorato regionale fino alla revoca della Delibera del c.d.a. di rideterminazione del compenso;

in tale congerie di interventi, dopo che a seguito della revoca era stato disposto il recupero delle somme indebitamente percepite dagli amministratori (tra cui V.), era infine intervenuta la L.R. n. 7 del 2005, che aveva dato l’interpretazione autentica dell’art. 6 della L.R. vigente al momento dell’assunzione della carica da parte del ricorrente, nel senso della individuazione del compenso nella misura spettante, al momento della legge detta, al coordinatore generale dell’amministrazione regionale;

III. – ora il ricorso infondatamente richiama la figura giuridica del rinvio mobile, poichè proprio la norma di interpretazione autentica osta al concetto;

la L.R. n. 7 del 2005, art. 22, ha chiarito che il riferimento operato dalla L.R. n. 20 del 1995, andava considerato non come formale (ossia appunto mobile) ma come sostanziale e fisso, vale a dire parametrato al livello di retribuzione spettante “al momento di entrata in vigore della stessa L. n. 20 del 1995, ai coordinatori generali dell’Amministrazione regionale, senza possibilità di automatica equiparazione a figure apicali successivamente introdotte nella stessa Amministrazione”;

ne consegue che tutta la questione sulla quale il ricorso si dilunga è infine compendiabile nell’unico interrogativo se quella di cui alla citata L.R. n. 7 del 2005, art. 22, fosse o meno concretamente (e legittimamente) annoverabile tra le norme di interpretazione autentica;

IV. – a questo riguardo è corretta l’esegesi fatta dalla corte d’appello di Cagliari;

ciò non tanto perchè, come altrove ritenuto (seppur con eguale esito), sia necessario contrapporre all’affermazione di merito profili di criticità debitamente conducenti (così Cass. n. 1075120), quasi che la questione sottostante dipenda, per essere affrontata dalla Corte, dal modo con cui la censura sia stata formulata, quanto perchè non si può in generale prescindere, nel qualificare la norma, da ciò che ha specificato lo stesso legislatore;

quella che rileva è una questione di diritto e tale questione va considerata in base al principio iura novit curia;

ora l’interpretazione di una norma è autentica quando proviene da chi quella stessa norma ha fatto;

è assolutamente pacifico che il legislatore regionale nel 2005 ha stabilito che l’interpretazione da dare alla L.R. n. 20 del 1995, art. 6, vigente al momento della nomina di V., dovesse essere giustappunto quella formalmente fissata dalla norma di interpretazione;

il tentativo di incidere sulla rilevanza della norma interpretativa mediante l’assunto che si sarebbe trattato di una norma innovativa è fallace, in quanto dal raffronto tra le disposizioni ben si comprende che la norma suddetta in niente ha innovato rispetto al precetto contenuto nell’art. 6 della legge interpretata; è pure fallace ipotizzare che la legge interpretativa non dovesse in qualche modo vincolare nel significato peculiare da essa stabilito;

la stessa legge interpretativa è vincolante per come formulata, in base all’efficacia propria della legge stessa;

V. – ciò stante, non può sostenersi – come fatto dal ricorrente in guisa del paventato sospetto di incostituzionalità che si sia trattato di una norma-provvedimento;

per una tale configurazione nel ricorso si dice che con successiva L.R. n. 3 del 2008, art. 3, la regione Sardegna è nuovamente intervenuta con riguardo alla posizione degli amministratori “successivi”, disponendo che questi siano soggetti all’indennità spettante al direttore generale;

ma una simile prospettazione non giova alla tesi;

la funzione della norma interpretativa ben si ricava nel caso concreto dalla riferita (e non contestata) sussistenza di antecedenti dubbi di tipo esegetico in ordine alla effettiva portata del rinvio di cui alla L. n. 20 del 1995;

come detto, il legislatore regionale, nel redigere la menzionata norma, in niente ha innovato rispetto al precetto contenuto nell’art. 6 della legge interpretata;

che lo stesso legislatore regionale sia poi nuovamente intervenuto a disciplinare la determinazione dei compensi degli amministratori degli enti pubblici successivamente assunti alla carica è cosa ininfluente, poichè rientra nella generale possibile antinomia di norme succedute nel tempo;

quel che unicamente interessa è invece questo: che la L. n. 7 del 2005, contiene una norma di interpretazione autentica rispetto alla L.R. n. 20 del 1995 – norma consistente nel riconoscimento di irrilevanza di successive figure apicali dall’ambito specifico preso a parametro dalla legge (la n. 20, appunto) vigente al tempo dell’assunzione della carica da parte degli amministratori degli enti regionali; e ciò rileva fintanto che questa legge non sia ulteriormente modificata o seguita da una successiva previsione generale antinomica, poichè serve a dire che la norma di interpretazione ha operato essa stessa in senso generale e astratto;

e difatti:

(a) sul piano soggettivo i destinatari della disposizione non sono stati determinati o di numero limitato, perchè la norma ha offerto un’interpretazione destinata a valere non solo nei riguardi di coloro che, al momento della sua entrata in vigore, avevano già in essere il rapporto, ma nei confronti di tutti coloro che, anche in futuro, si fossero venuti a trovare nella stessa situazione soggetta alla norma originaria;

(b) sul piano oggettivo la disposizione non si è distinta per contenuto particolare e concreto, ma per aver dettato una regola di carattere astratto, destinata a risolvere in via generale il profilo problematico scaturente dal riferimento della L.R. n. 20 del 1995, alla retribuzione complessiva presa a parametro;

la semplice considerazione, allora, che la legge

di interpretazione autentica si sia mossa esclusivamente sul piano delle fonti normative, con l’imposizione cioè di uno dei significati compresi fra le possibilità di senso ragionevolmente ascrivibili al testo della disposizione interpretata, conduce a negare che il legislatore, adottandola, abbia avocato a sè una determinazione normalmente affidata all’autorità amministrativa; la fattispecie della legge-provvedimento ricorre quando (e solo quando) con una previsione di contenuto particolare e concreto si incide su un numero limitato di destinatari attraendo alla sfera legislativa quanto è normalmente affidato all’autorità amministrativa (v. C. Cost. n. 28 del 2018, n. 114 del 2017 e n. 214 del 2016); mentre la portata e il contenuto specifico della disposizione in esame escludono che si ricada nell’ambito di questa definizione;

la questione di costituzionalità prospettata dal ricorrente è dunque manifestamente infondata e il ricorso, per le ragioni esposte, va rigettato;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 5.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro, per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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