Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18897 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. I, 11/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 11/09/2020), n.18897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8762/2015 proposto da:

R. Costruzioni & C. S.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dagli avvocati Messina Antonio, Tarallo

Giovanni, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Salerno, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Cassiodoro n. 19, presso lo studio

dell’avvocato Torre Giuseppe, rappresentato e difeso dall’avvocato

Marino Gennaro, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

Comune di Eboli, Enel Distribuzione S.p.a.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 17/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 12/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 82/07, il Tribunale di Salerno accoglieva parzialmente la domanda proposta dalla R. Costruzioni S.r.l. (di seguito per brevità R.) nei confronti dell’I.A.c.p. della Provincia di Salerno (di seguito per brevità IACP), avente ad oggetto i danni subiti a causa del ritardo nella stipulazione del contratto di appalto, aggiudicato alla R. nel novembre 1995 per la costruzione di alloggi ERP, e nella consegna dei lavori, nonchè per i danni subiti a causa della ridotta produttività nel corso di esecuzione delle opere per la presenza nell’area di cantiere di un cavo elettrico di proprietà dell’ENEL S.p.a.. Il Tribunale condannava l’Istituto convenuto al pagamento della somma di Euro 129.65449, a titolo di spese generali e di mancato utile, e rigettava la domanda di manleva proposta dallo IACP nei confronti del Comune di Eboli e dell’Enel Distribuzione S.p.a., chiamati in causa dal convenuto.

2. Con sentenza n. 17/2015, pubblicata il 12-1-2015 e notificata il 271-2015, la Corte d’appello di Salerno, in parziale accoglimento dell’appello di IACP e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’Istituto appellante al pagamento, in favore della R. Costruzioni & C. S.r.l., della somma di Euro 65.531,65 a titolo di maggiori oneri per il ritardo nella consegna dei lavori, sia con riferimento al periodo tra la Delibera di aggiudicazione definitiva dell’appalto e la data di stipula del contratto di appalto, sia per il periodo antecedente alla manifestazione della volontà dell’appaltatrice di esercitare la facoltà di recesso, sia per il periodo successivo alla data di consegna dei lavori, di fatto resi impossibili a causa della presenza di cavo elettrico, nonchè per spese di fideiussione. La Corte territoriale ha escluso, invece, la debenza del risarcimento del danno da mancato utile, nonchè ha rigettato le censure relative al rigetto della domanda di manleva proposta da IACP nei confronti del Comune di Eboli e dell’Enel Distribuzione S.r.l..

3. Avverso questa sentenza l’Impresa R. propone ricorso, affidato ad un solo motivo, resistito con controricorso dallo IACP. Sono rimasti intimati il Comune di Eboli e Enel Distribuzione S.r.l..

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico articolato motivo l’impresa ricorrente si duole della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10, comma 8, Capitolato Generale delle Opere Pubbliche e al R.D. n. 350 del 1895, art. 5. Censura la statuizione con cui è stato riconosciuto dalla Corte d’appello, per il periodo di ritardo tra l’aggiudicazione definitiva dell’appalto, avvenuta il 28 novembre 2015, e la consegna dei lavori, avvenuta il 16 dicembre 1996, soltanto il diritto – ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10, comma 8 – al compenso per maggiori oneri da spese generali, imputabili a tale titolo e liquidati in Euro 64.707,39, oltre alle maggiori spese di fideiussione nelle misura di Euro 824,26, e non anche il diritto al risarcimento del danno per mancato utile, riferito sia al periodo intercorso tra aggiudicazione e consegna dei lavori, sia al periodo successivo alla consegna dei lavori, pure iniziati in ritardo, in cui la produttività era stata ridotta per causa imputabile alla stazione appaltante. La ricorrente, articolando la censura sotto un duplice profilo, si duole del mancato riconoscimento del danno da mancato utile per il ritardo nella consegna dei lavori ed assume che erroneamente la Corte territoriale abbia fatto applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10, comma 8, che, ad avviso della ricorrente, deve intendersi riferita solo alle fattispecie in cui il ritardo nella consegna dei lavori sia dovuto a causa di forza maggiore, caso fortuito o circostanze imprevedibili, ossia ad ipotesi non imputabili a condotte inadempienti alla stazione appaltante. Ritiene la ricorrente che nel caso di specie, stante l’incontroversa imputabilità all’IACP del ritardo, debba trovare applicazione il R.D. n. 350 del 1895, art. 5 e quindi debba riconoscersi, oltre al compenso per maggiori oneri da spese generali, anche il diritto al risarcimento del danno da mancato utile, con riferimento al periodo, di oltre un anno, trascorso tra l’aggiudicazione e la consegna dei lavori. Deduce, sotto altro profilo, che anche nel periodo successivo alla consegna dei lavori è imputabile all’Iacp l’inadempimento dell’obbligo di collaborazione nella fase esecutiva e dell’obbligo di porre l’appaltatrice in condizione di dare inizio ai lavori, consegnando l’area di cantiere libera da impedimenti. Assume che sia pertanto dovuto il risarcimento del danno da mancato utile anche con riferimento al suddetto periodo e che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, detto danno fosse stato provato nell’an, dovendosi presumere che l’appaltatore avrebbe potuto utilizzare l’organizzazione aziendale, rimasta immobilizzata nel cantiere Iacp, in altri appalti, nonchè richiama le risultanze della deposizione resa dal teste R.G.. Rileva che correttamente il Tribunale aveva ritenuto fornita la suddetta prova ed aveva quantificato il danno in via equitativa nella misura del 10% dell’importo netto dei lavori appaltati da Iacp.

2. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1. La normativa speciale e derogatoria dettata dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10, comma 8, in tema di appalti pubblici trova applicazione nell’ipotesi in cui il ritardo sia imputabile a condotta inadempiente della stazione appaltante (cfr. tra le tante Cass. n. 9233/2012). Tanto si desume dal tenore letterale del citato comma 8, che disciplina proprio la fattispecie di mancata consegna nel termine stabilito per “fatto dell’Amministrazione” (“Se la consegna non avvenga, nel termine stabilito per fatto dell’Amministrazione, l’appaltatore può chiedere di recedere dal contratto. Nel caso di accoglimento dell’istanza di recesso l’appaltatore ha diritto al rimborso dall’Amministrazione appaltante delle spese di cui al precedente art. 9, nonchè ad un rimborso delle altre spese da lui effettivamente sostenute, e comunque non superiori alle seguenti percentuali, calcolate sull’importo netto dell’appalto: 1,50% per la parte di importo fino a 50 milioni; 1% per la eccedenza fino ai 500 milioni a 0,50% per la parte eccedente i 500 milioni. Ove l’istanza dell’impresa non sia accolta e si proceda tardivamente alla consegna, l’appaltatore ha diritto ad un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo”).

Secondo l’orientamento espresso sul tema da questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità (cfr. tra le tante Cass. n. 9233/2012; n. 21100/2015; n. 20723/2017), l’inadempimento dell’obbligo di consegna dei lavori da parte dell’Amministrazione appaltante è disciplinato in modo diverso rispetto alle norme del codice civile, atteso che non conferisce all’appaltatore il diritto di risolvere il rapporto (nè con domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c., nè a seguito di diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c., nè di avanzare pretese risarcitorie), ma gli attribuisce, invece, in base alla norma speciale dell’art. 10 del capitolato generale cit., la sola facoltà di presentare istanza di recesso dal contratto, al mancato accoglimento della quale consegue il sorgere di un diritto al compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo. Di conseguenza il riconoscimento all’appaltatore di un diritto di un “indennizzo” per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo, oltre ad un congruo prolungamento del termine convenuto (così espressamente sulla qualificazione del compenso maggiorato come indennizzo Cass. n. 21100/2015), può venire in considerazione solo se egli abbia preventivamente esercitato tale facoltà di recesso. Il diritto dell’appaltatore ai maggiori oneri sostenuti sorge, quindi, per il protrarsi contro la sua volontà del rapporto contrattuale, in coerenza con la disciplina delineata dal capitolato generale tutte le volte in cui, per esigenze di tutela dalla P.A., a quest’ultima è attribuito lo specifico potere di alterare le originarie condizioni contrattuali (Cass. n. 7069/2004). La ratio dell’art. 10, citato comma 8, è di assicurare all’amministrazione la possibilità di valutare l’opportunità di mantenere in vita il rapporto ovvero di adottare una diversa determinazione in vista della eventuale superamento degli originari limiti di spesa, ossia in considerazione del fatto che all’appaltatore sarà dovuto il rimborso di “maggiori oneri” a titolo indennitario per avere egli esercitato la facoltà di recesso.

2.2. Nel caso di specie l’impresa aggiudicataria aveva notificato allo IACP istanza di recesso a causa del ritardo nella consegna dei lavori e lo IACP aveva rigettato detta istanza, rientrando, perciò, la fattispecie nell’ambito disciplinato dall’ultimo capoverso del comma 8 citato. L’interpretazione ed applicazione della menzionata disciplina da parte della Corte territoriale sono conformi all’orientamento di questa Corte di cui si è appena detto e, pertanto, sono immuni da censure.

Il richiamo al D.P.R. n. 350 del 1895, art. 5, che si riferisce all’obbligo dell’ente committente di verificare la fattibilità delle opere appaltate, non ha pregio nel senso invocato dalla ricorrente. La rilevanza dell’inadempimento dell’Amministrazione in ogni ipotesi di mancata consegna nel termine previsto, e quindi anche ove dipenda da non corretta verifica della fattibilità dell’opera, resta sempre disciplinata dall’art. 10, comma 8, citato, applicabile ratione temporis nel caso di specie, come incontroverso in causa.

2.3. Alla stregua della ricostruzione del quadro normativa in allora vigente e del meccanismo regolatore della fattispecie concreta, non sono pertinenti le ulteriori deduzioni svolte in ricorso circa la rilevanza, ai fini del riconoscimento del danno da mancato utile anche nel periodo successivo alla consegna, dell’inadempimento della stazione appaltante dell’obbligo di cooperazione e circa l’anomalo andamento dell’appalto, una volta chiarito che, in base all’espresso dettato dell’art. 10 citato, comma 8, all’appaltatore spetta il “compenso” maggiorato, corrispondente ai maggiori oneri sopportati dallo stesso nella “forzata” esecuzione dell’appalto e purchè dipendenti dal ritardo, oneri, infatti, riconosciuti dalla Corte territoriale con riferimento sia al periodo anteriore, sia a quello successivo alla consegna.

Peraltro, sempre in ordine al danno da mancato utile, la Corte territoriale ha espresso una doppia ratio decidendi, affermando, con adeguata motivazione, che in ogni caso l’impresa appaltatrice non aveva fornito la prova della sussistenza di quel pregiudizio, dopo aver dato conto delle allegazioni di detta parte e delle risultanze della prova testimoniale, escludendo così, in radice, la debenza di quella posta, liquidata in via equitativa dal Tribunale.

Parte ricorrente censura il suddetto iter motivazionale senza precisare quale sia il vizio denunciato e quali le norme violate, richiama le risultanze della prova testimoniale (teste R.) ed assume di avere adeguatamente provato nell’an la richiesta risarcitoria, rimarcando che l’attrezzatura era rimasta immobilizzata in cantiere senza poter essere utilizzata in altri appalti.

La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., n. 8053/2014).

3. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

 

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