Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18894 del 31/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/08/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 31/08/2010), n.18894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34906/2006 proposto da:

C.P., + ALTRI OMESSI

tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BERGAMO 3,

presso lo studio dell’avvocato ANDREONI Amos, che li rappresenta e

difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

SIDA – SOCIETA’ ITALIANA DI ASSICURAZIONI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE

COATTA AMMINISTRATIVA;

– intimata –

e sul ricorso 3164/2007 proposto da:

SIDA – SOCIETA’ ITALIANA DI ASSICURAZIONI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE

COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.G., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5347/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/12/2005 R.G.N. 3518/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/06/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato AMOS ANDREONI;

udito l’Avvocato GIOVANNI G. GENTILE per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per: accoglimento del 3^

motivo del ricorso principale, rigetto del 1^ e 2^, rigetto

dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte territoriale di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva in parte l’opposizione, avanzata dai lavoratori in epigrafe, avverso lo stato passivo della società SIDA, di cui erano stati dipendenti, posta in liquidazione coatta amministrativa. In particolare la Corte di appello modificava il predetto stato passivo ammettendo in via privilegiata solo gli importi corrispondenti agli interessi legali maturati, nel trimestre 26 luglio/25 ottobre 1993 sul TFR. Respingeva, però, la Corte del merito le istanze di ammissione allo stato passivo concernenti, la rivalutazione monetaria, l’indennità di mancato preavviso e le maggiorazioni retributive relative alle festività cadute di domenica.

I giudici di appello, richiamando la sentenza n. 1508 del 2002 della Cassazione, ritenevano infondata l’istanza di ammissione allo stato passivo dell’indennità di mancato preavviso, stante la previsione testuale del D.L. n. 576 del 1978, art. 5 e la riassunzione dei ricorrenti presso la cessionaria Previdentia spa subito dopo la cessazione ope legis del rapporto di Lavoro con la Sida spa, a seguito della sua messa in liquidazione coatta amministrativa. Nè mancavano di rilevare, detti giudici, l’inapplicabilità della invocata normativa comunitaria, afferente il trasferimento d’azienda e i licenziamenti collettivi, trattandosi, nella specie, di una differente fattispecie caratterizzata da licenziamento ope legis seguito da immediata riassunzione dei soggetti interessati. Quanto alle differenze retributive per maggiorazioni concernenti le festività coincidenti con la domenica la Corte territoriale confermava la sentenza impugnata in punto di accoglimento dell’eccezione di prescrizione rilevando, inoltre, la non incompatibilità di detta eccezione con l’assunto d’inesistenza del credito per mancata prova. Riconosceva, infine, la Corte in parola, la spettanza dei soli interessi sulla tardiva corresponsione del TFR avendo la controparte riconosciuto il diritto agli interessi sul TFR. Respingeva, di contro, il capo della domanda relativo alla rivalutazione monetaria “trattandosi d’interessi, e non già di somma in conto capitale, per il generale divieto di anatocismo”.

Avverso questa sentenza i lavoratori in epigrafe ricorrono in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la società SIDA in liquidazione coatta amministrativa che propone impugnazione incidentale assistita da due motivi, precisati da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con la prima censura i ricorrenti principali denunciano violazione dell’art. 2112 c.c., nel testo modificato dalla L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 3, in combinato disposto con la L. n. 223 del 1991, art. 24.

Contestano i ricorrenti la ritenuta inapplicabilità della direttiva 77/187/CEE e 75/129/CEE. Sottolineano al riguardo che la SIDA, nel momento in cui è stata sottoposta in liquidazione, rientrava nel novero della pubblica amministrazione allargata in quanto rappresentata nella persona del Commissario liquidatore, quindi, il licenziamento va imputato alla liquidazione coatta amministrativa e non alla società. Rimarcano l’identità tra l’oggetto elegie direttive ed il caso di specie.

La censura è infondata.

Invero nella giurisprudenza di questa Corte è oramai diritto vivente il principio in base al quale in tema di liquidazione coatta amministrativa di un’impresa assicurativa, con trasferimento di portafoglio e del personale ad altra impresa cosiddetta “cessionaria” (D.L. n. 576 del 1978, art. 5, D.L. n. 357 del 1977, art. 10), la risoluzione di diritto del rapporto di lavoro dei dipendenti dell’impresa in LCA è assimilabile, sotto il profilo morfologico e funzionale al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e non anche alla risoluzione del rapporto per impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 2119 cod. civ.; con la conseguenza che il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso va legittimamente riconosciuta ai soli dipendenti non riassunti in servizio dall’impresa cessionaria, e non anche a quelli che l’impresa stessa abbia, invece, assorbito nei quadri dei proprio personale, del D.L. n. 738 del 1978, ex art. 5, comma 2 (Cass. 12 ottobre 1993 n. 10086, Cass 25 ottobre 2002 n. 15058 cui acide Cass. 7 luglio 2008 n. 18565 o Cass 24 marzo 2009 n. 7046).

Nell’individuare la ratio della menzionata previsione questa Corte ha rimarcato come il disposto del comma 2 del citato art. 5 – dalla cui lettera si evince con certezza che il personale riassunto dall’impresa cessionaria non ha diritto, ancorchè si verifichi, la risoluzione del rapporto con il precedente datore di lavoro, alla indennità sostitutiva del preavviso – non può essere correlato a una (inesistente) ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, ma trova la sua giustificazione nel principio secondo il quale scopo dei preavviso, in caso di recesso intimato dai datore di lavoro, è quello di permettere al lavoratore la ricerca di un’altra occupazione e poichè per legge tale ricerca non è necessaria, la risoluzione del contratto, comportando la contemporanea assunzione dei lavoratori da parte dell’impresa cessionaria, ne determina e ne giustifica l’esclusione del pagamento dell’indennità.

Ritiene questo Collegio di ribadire in questa sede per ragioni di nomofilachia il suddetto principio.

Nè il richiamo alle direttive comunitarie in tema di trasferimento d’azienda, licenziamenti collettivi e sulla tutela in caso d’insolvenza può comportare, ai fini della loro applicazione, il venir meno della natura e della funzione sostanziale dell’indennità sostitutiva dei preavviso. In altri termini una volta esclusa la spettanza, nel caso in esame, dell’indennità sostitutiva del preavviso perchè alla cessazione del rapporto di lavoro è seguita la immediata riassunzione dei lavoratori da parte dell’impresa cessionaria, riconoscere il diritto a siffatta indennità, sia pure in applicazione delle citate Direttive, significherebbe negare la funzione stessa dell’indennità in questione e riconoscere conseguentemente – e non in coerenza con la ratio delle predette Direttive (che non consentono di assegnare alla indennità di cui si discute una diversa funzione) – il diritto a percepire una mera somma di denaro non giustificata da alcuna causa e per di più in una lettura dell’impianto normativo non costituzionalmente orientata venendosi a determinare delle evidenti disparità di trattamento rispetto ai lavorato licenziati e non immediatamente assunti dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Tanto del resto, giustifica sul piano logico-giuridico il riconoscimento, appunto, dell’indennità in questione a coloro i quali licenziati non vengono immediatamente riassunti come nel caso dei dirigenti (V. Cass. Cass. 7 luglio 2008 n. 18565 cit.).

Con la seconda censura i ricorrenti deducono violazione dell’art. 2955 cod. civ., n. 2, in combinato disposto con l’art. 2959 cod. civ. e con la L. n. 260 del 1949, artt. 1 e 2, nonchè motivazione contraddittoria.

Assumono i ricorrenti l’inammissibilità della accolta eccezione di prescrizione presuntiva del credito, afferente le maggiorazioni retributive relative alle festività non godute in quanto coincidenti con la domenica,perchè contraddetta dalla pregiudiziale contestazione in ordine alla esistenza del debito.

La censura è infondata.

Premesso che secondo questa Corte in tema di prescrizioni, presuntive, l’indagine sul contenuto delle dichiarazioni della parte (o del suo comportamento processuale), al fine di stabilire se importino o meno ammissione della non avvenuta estinzione del debito agli effetti dell’art. 2959 cod. civ., da luogo ad un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato sulle ragioni all’uopo adottate dal giudice del merito in quanto confacenti e coerenti ( Cass. 16 ottobre 2006 n. 2218); rileva il Collegio che la Corte del merito esclude la “decadenza” dall’eccezione di prescrizione presuntiva sul presupposto che la controparte ha contestato, contemporaneamente, il credito ex adverso azionato perchè “non provato”.

Non ritiene questa Corte che le ragioni poste a base dell’argomentazione della Corte territoriale siano contraddittorie o non confacenti. Infatti l’assunto della mancanza di prova del credito vantato da controparte non equivale a negazione, sotto il profilo sostanziale, di esistenza del debito, ma piuttosto a rilievo di ordine processuale che impedirebbe l’accoglimento della domanda.

Con il terzo motivo i ricorrenti principali allegano violazione dell’art. 429 cod. proc. civ.. Rilevano che la Corte di appello non ha tenuto erroneamente conto che la rivalutazione monetaria trova pacifica applicazione anche con riguardo alla liquidazione coatta amministrativa e prescinde del tutto dalla colpa nei ritardo del pagamento.

Con la prima censura del ricorso incidentale la società in liquidazione coatta amministrativa denuncia violazione degli artt. 1218 e 1224 cod. civ., nonchè contraddittoria motivazione. Allega che la Corte del merito ha erroneamente interpretato quanto da essa Liquidazione affermato in comparsa relativamente al riconoscimento della spettanza degli interessi. Sostiene, Inoltre, che questi, non sono dovuti non essendovi un colpevole ritardo.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale la società in liquidazione coatta amministrativa deduce motivazione contraddittoria in quanto, afferma, la Corte territoriale prima asserisce che il pagamento del TFR è avvenuto in tempi congrui e, poi, riconosce, la spettanza degli interessi legali.

Il terzo motivo del ricorso principale e quelli dell’impugnazione incidentale vanno esaminati, congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica.

E’ principio consolidate nella giurisprudenza di questa Corte che la disciplina degli accessori (interessi legali e rivalutazione monetaria) dei crediti di lavoro dettata dall’art. 429 cod. proc. civ., differisce da quella di diritto comune per le seguenti tre caratteristiche: a) la liquidazione del maggior danno è effettuata dal giudice d’ufficio e senza la necessità di una apposita domanda da parte del lavoratore; b) gli accessori decorrono dal giorno in cui matura il credito indipendentemente dai presupposti previsti dall’art. 1219 cod. civ., comma 2, per la mora ex re; c) l’elemento della colpa del datore di lavoro è irrilevante ai fini dell’imputabilità del ritardo nell’adempimento (Vedi Sent., Corte costituzionale n. 207 del 1994 e Cass. 28 dicembre 1998 n. 1235 nonchè Cass. 15 aprile 1996 n. 3513).

In particolare, poi, con riguardo alla liquidazione coatta amministrativa di compagnia di assicurazione, questa Corte ha sancito che il meccanismo di cui all’art. 429 cod. proc. civ., riguardo ai crediti di lavoro rimane ferino per effetto della declaratoria d’incostituzionalità (Corte Cost. sent. n. 204 del 1989) del combinato disposto della L. Fall., art. 59, e art. 429 cod. proc. civ., comma 3, nella parte in cui non prevede la rivalutazione di detto credito tra l’apertura del fallimento e La definitività dello stato passivo, nonchè della L. Fall., art. 55, comma 1, e art. 54, comma 3, nella parte in cui non estendono il privilegio agli interessi dovuti su tali crediti nel periodo successivo alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. 17 novembre 1994 n. 9705 e Cass. 25 ottobre 2002 n. 15058 la quale ha precisato che la dichiarazione di incostituzionalità della L. Fall., art. 59, nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti di lavoro con riguardo al periodo successivo alla dichiarazione di fallimento e fino al momento in cui lo stato passivo divenga definitivo – Corte Cost., sentenza n. 204 del 1989, cui adde Corte Cost. n. 567 del 1989 – con riferimento al periodo successivo al decreto ministeriale con cui si dispone la procedura di amministrazione controllata). Principi questi che trovano applicazione non soltanto in caso di fallimento, ma anche di liquidazione coatta amministrativa di compagnia di assicurazione, giusta e disposto della L. Fall., art. 201, che espressamente sancisce l’applicabilità, alla procedura di LCA, di tutte le disposizioni contenute nel titolo 2^, capo 3^, sez. 2^, della detta legge. Il rinvio de quo, di fatti, deve intendersi operato al testo vigente della citata L. Fall., art. 59, così, come modificato per effetto della predetta declaratoria di incostituzionalità, con la conseguenza che anche i crediti vantati dai lavoratori delle compagnie assicurative poste in LCA sono suscettibili di rivalutazione dall’inizio della procedura concorsuale sino ai deposito dello stato passivo.

A tale riguardo è opportuno rimarcare – a conclusione del precedente excursus sulla problematica scrutinata- come questa Corte abbia già precisato che la ratio della L. Fall., art. 59 – quale risulta dalla sentenza additiva n. 204 del 1989 del giudice delle leggi – è, in riferimento al dato temporale, quella di riconoscere la rivalutazione del credito fino al momento della definitiva quantificazione dello stesso nell’ambito di un contesto di accertamento unitario che non determina attenuazione della par condictio creditorum in ragione di diverse scadenze della rivalutazione dei crediti ammessi (Cfr. Cass., 25 ottobre 2002 n. 15058 cit. che ha anche precisato come il diverso articolarsi della procedura di verifica del passivo nella liquidazione coatta amministrativa rispetto al fallimento non giustifica una diversa determinazione della data di riferimento terminale della rivalutazione dei crediti).

E’ quindi, corretta la impugnata sentenza in punto di riconosciuta spettanza d’interessi legali a prescindere dalla colpa nel ritardo del soggetto debitore. Conseguentemente il ricorso incidentale va respinto.

Non è, invece, conforme al diritto la detta sentenza in punto di disconosciuta rivalutazione monetaria dei crediti vantati dai lavoratori e, pertanto, in accoglimento del terzo motivo del ricorso principale la sentenza impugnata va in parte qua annullata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che procederà all’esame del suddetto motivo attinente al disconoscimento della rivalutazione dei crediti, dei lavoratori di cui in epigrafe.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta nel resto il ricorso principale ed il ricorso incidentale, cassa, in relazione – al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010

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