Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18894 del 15/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 15/07/2019), n.18894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piegiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19848-2016 proposto da:

D.P.V., L.F., F.L., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio

dell’Avvocato GIUSEPPE PINELLI, che li rappresenta e difende;

– R.I. elettivamente domiciliata in Roma VIA CRESCENZIO 25

presso lo studio dell’avvocato NUNZIO PINELLI, che la rappresenta e

difende unitamente agli Avvocati FRANCESCO PINELLI e FRANCESCO

CARONIA;

– ricorrenti –

contro

– UNIVERSITA’ CAMPUS BIO-MEDICO DI ROMA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

F. PAULUCCI DE’ CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato PIERO

SANDULLI, che la rappresenta e difende;

– PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente

del Consiglio pro tempore; MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona dei rispettivi Ministri pro

tempore, tutti rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domiciliano ope legis, in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI, 1;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1056/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/02/2016 R.G.N. 1621/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Roma, con sentenza pubblicata il 26 febbraio 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto le domande di D.P.V., F.L., L.F., R.I. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Ministero della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze nonchè della Università degli Studi Campus Bio Medico presso cui avevano frequentato corsi di specializzazione in medicina;

2. i medici avevano agito – per come riferisce la sentenza impugnata – per l’accertamento, in via principale, della natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti; in via subordinata, per la dichiarazione del diritto a percepire le somme della borsa di studio con adeguamento al tasso di inflazione programmata; in ogni caso per il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. ovvero in relazione all’inadempimento dell’obbligo dello Stato per avere tardivamente o inesattamente dato attuazione alla direttiva n. 93/16/CEE;

3. per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso D.P.V., F.L., L.F., R.I. con sette motivi, cui hanno resistito le amministrazioni in epigrafe con unico controricorso, illustrato da memoria, nonchè l’Università Campus Bio-Medico di Roma con distinto controricorso;

4. i ricorrenti hanno comunicato memoria contenente istanza di rimessione alle sezioni unite, per un prospettato contrasto nella giurisprudenza di questa Corte in ordine: a) alla sussistenza o meno del diritto alla rideterminazione triennale con decreto del Ministero della Sanità in funzione del miglioramento minimo previsto dalla contrattazione collettiva del personale medico del SSN, previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1; b) alla spettanza o meno del diritto risarcitorio per mancata o ritardata attuazione da parte dello Stato italiano di direttive comunitarie;

in realtà, nessuno dei due contrasti rappresentati sussiste:

a) non il primo, posto che l’indirizzo giurisprudenziale che riconosce il blocco della contrattazione collettiva limitatamente al biennio 1992/93 e non anche al periodo successivo al 31 dicembre 1993 (Cass. n. 16385 del 2008; Cass. n. 18562 del 2012; Cass. n. 12624 del 2015) non è stato smentito dalla più recente sentenza n. 4449 del 2018 di questa Corte; ed infatti, questa sentenza – in esito a critica ricognizione del quadro normativo in materia di c.d. “blocco” del tasso di inflazione (p.ti 42 – 45 in motivazione), in più specifico riferimento all’incremento delle borse di studio al tasso programmato di inflazione (p.ti 46 – 52 in motivazione) e quindi alla rideterminazione triennale in questione (p.ti 53 – 58 in motivazione) – ha concluso che a partire dal 1998 e sino al 2005 le borse di studio dei medici specializzandi non siano soggette a detto incremento (p.to 59 della motivazione), sulla base della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12 secondo cui: “A partire dal 1998 resta consolidata in Lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui al predetto D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1”; così valorizzando un dato normativo che, lungi dall’essere stato diversamente interpretato, neppure è stato esaminato dalle precedenti sentenze;

b) ma neppure il secondo, perchè questa Corte ha sempre affermato che la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 si applichi, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006 – 2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, soggetti al regime istituito dal D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè la Direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio prevista dal D.Lgs. cit., senza alcuna irragionevole diversità di trattamento, essendo il legislatore libero di differire gli effetti di una riforma e costituendo il fluire del tempo elemento di per sè idoneo di diversificazione della disciplina (da ultimo: Cass. n. 4449 del 2018; Cass. n. 6355 del 2018; Cass. n. 17051 del 2018; Cass. n. 5715 del 2019; Cass. n. 12749 del 2019; Cass. n. 14168 del 2019); piuttosto, le sentenze indicate come espressive di un diverso indirizzo, che riconoscerebbe anche agli specializzandi destinatari della borsa di studio il diritto al risarcimento del danno per mancata o ritardata attuazione da parte dello Stato italiano di direttive comunitarie, in realtà interessano i medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, ai quali è stato riconosciuto il diritto risarcitorio per inadempimento dello Stato italiano alla tempestiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE (come anche recentemente ribadito, con opportune precisazioni temporali, da: Cass. SS.UU. n. 20348 del 2018; Cass. SS.UU. n. 30649 del 2018), situazione che ha avuto termine con l’istituzione della borsa di studio; a quest’ultima problematica – ormai superata – si riferiscono anche le richiamate sentenze di questa Corte n. 8242 e n. 8243 del 2015, il cui percorso argomentativo è esclusivamente fondato sulla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite 17 aprile 2009, n. 9147, la quale, in riferimento all’omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie: n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE), ha affermato il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica;

l’istanza di rimessione esaminata deve pertanto essere disattesa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di plurime norme di legge nonchè “omessa pronuncia” circa il “mancato riconoscimento dell’adeguamento della borsa di studio per rideterminazione triennale in funzione del miglioramento stipendiale tabellare previsto dal CCNL del personale medico di prima nomina del SSN D.Lgs. n. 257 del 1991, ex art. 6”;

con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di plurime norme di legge nonchè “omessa pronuncia” circa il “mancato riconoscimento dell’adeguamento della borsa di studio per indicizzazione annuale in funzione di adeguamento al costo della vita D.Lgs. n. 257 del 1991, ex art. 6”;

i motivi risultano infondati alla stregua dell’orientamento già ribadito più volte da questa Corte, da cui non si ravvisa motivo per discostarsi, secondo cui: “L’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, in quanto la L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, con disposizione confermata dalla L. n. 289 del 2002, art. 36, comma 1, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del citato art. 6”; inoltre “l’importo della borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, comma 1, non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni 1993 – 2005” (per tutte v. Cass. n. 4449 del 2018, cui si rinvia integralmente per ogni ulteriore aspetto; negli stessi sensi v. anche Cass. n. 15293 del 2018; Cass. n. 15294 del 2018; Cass. n. 15520 del 2018; Cass. n. 15637 del 2018; Cass. n. 16137 del 2018; sul secondo aspetto v. anche Cass. n. 12346 del 2016); innanzi si è dato conto delle ragioni per cui sul punto non si ravvisa il denunciato contrasto di giurisprudenza;

2. con il terzo motivo si denuncia “omessa pronuncia e violazione e falsa applicazione” di norme di legge e di direttive comunitarie “in merito al mancato riconoscimento del risarcimento del danno conseguente alla mancata decretazione ministeriale prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991” nonchè “in merito al mancato riconoscimento del risarcimento del danno di natura indennitaria per mancata o inesatta attuazione della disciplina comunitaria”;

con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè “omessa pronuncia” in ordine “alla mancata declaratoria sulla domanda di applicazione retroattiva D.Lgs. n. 368 del 1999”;

i motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, sono infondati alla stregua dell’orientamento già ribadito più volte da questa Corte secondo cui: “La disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti; tale diversità di trattamento non è irragionevole, in quanto il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sè idoneo elemento di diversificazione della disciplina”; inoltre “la disciplina recata dalla direttiva 93/167CEE in ordine alle modalità ed ai tempi della formazione specialistica, in continuità con la direttiva 82/76/CEE, mira a garantire che i medici specializzandi dedichino alla loro formazione pratica e teorica tutta la propria attività professionale, ovvero nel caso degli specialisti in formazione a tempo ridotto, una parte significativa di quest’ultima, ma non obbliga gli Stati membri a disciplinare l’attività di formazione specialistica dei medici secondo lo schema del rapporto di lavoro subordinato; la Direttiva 93/16/CEE, al pari della Direttiva 82/76/CE, non contiene alcuna definizione comunitaria della remunerazione da considerarsi adeguata, nè dei criteri di determinazione di tale remunerazione; 82. con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368 il legislatore ha dato attuazione della direttiva 93/16/CEE e nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 e la sostanziale conferma del contenuto del D.Lgs. n. 257 del 1991 ha esercitato legittimamente la sua potestà discrezionale” (per tutte v. Cass. n. 4449 del 2018, cui si rinvia integralmente per ogni ulteriore aspetto; negli stessi sensi v. anche Cass. n. 15293 del 2018; Cass. n. 15294 del 2018; Cass. n. 15520 del 2018; Cass. n. 15637 del 2018; Cass. n. 16137 del 2018); il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi da tale consolidato orientamento, più volte ancora di recente confermato (cfr. Cass. n. 5503 del 2019; n. 5502 del 2019; n. 24805 del 2018; n. 24804 del 2018; n. 24803 del 2018; n. 24802 del 2018; n. 24708 del 2018; n. 20419 del 2018; n. 6355 del 2018; n. 13445 del 2018) ed innanzi si è dato conto delle ragioni per cui sul punto non si ravvisa il denunciato contrasto di giurisprudenza;

3. con il quinto motivo si lamenta “omessa pronuncia” circa “la mancata declaratoria di legittimazione passiva e di responsabilità solidale della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri evocati e dell’Università”;

con il sesto motivo si lamenta “omessa pronuncia” circa “la mancata declaratoria sul regime di prescrizione applicabile alle domande proposte” ex art. 2948 c.c., n. 4;

i motivi sono entrambi inammissibili perchè non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata che, avendo escluso in radice ogni diritto degli attori, non aveva necessità di pronunciarsi sulla “responsabilità solidale” dei convenuti ovvero sulla eccepita prescrizione di un diritto mai sorto;

4. con il settimo motivo si critica la sentenza impugnata “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e art. 92 c.p.c.”, per non avere operato la compensazione e perchè “la quantificazione effettuata dal giudice appare francamente abnorme”;

la censura non merita accoglimento atteso che l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato non postula alcune specifica motivazione e la compensazione implica l’esercizio di un potere discrezionale rispetto al quale non vi è alcuna pretesa tutelabile (tra molte Cass. n. 2730 del 2012); per il secondo aspetto riveste valenza l’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (v. Cass. n. 20289 del 2015); l’assunto è stato specificamente ribadito anche nel caso di liquidazione delle spese processuali sulla base delle tariffe approvate con il D.M. n. 140 del 2012, rilevando unicamente che la liquidazione sia contenuta entro i limiti, massimo e minimo, delle tariffe medesime, peraltro nemmeno vincolanti, come si desume dall’art. 1, comma 7 menzionato decreto (cfr. Cass. n. 18167 del 2015); il principio ha trovato applicazione anche in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, per cui non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. n. 2386 del 2017; Cass. n. 26608 del 2017; Cass. n. 29606 del 2017); nella specie parte ricorrente si è limitata ad una lapidaria contestazione della liquidazione, qualificata come “abnorme” senza neanche dedurre che sarebbero stati violati i massimi della tariffa applicabile;

5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto ma il Collegio reputa che le spese del giudizio di legittimità possano essere compensate, avuto riguardo alla complessa stratificazione del quadro normativo delineatosi in ordine agli aggiornamenti delle borse di studio dei medici iscritti alle scuole di specializzazione; occorre invece dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2019

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