Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18890 del 15/09/2011

Cassazione civile sez. I, 15/09/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 15/09/2011), n.18890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via Lombardia

14, int. 7, presso sè medesima, rappresentata e difesa dagli

avvocati ALONGI Vittorio e Flaviana Alongi, del Foro di Napoli, per

procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma in data 14 gennaio

2008, nel procedimento n. 52955/06 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio in

data 25 maggio 2011 dal relatore, Cons. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha

osservato.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“il Consigliere relatore, letti gli atti depositati;

ritenuto che:

1. A.P. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso il decreto in data 14 gennaio 2008, con il quale la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale la stessa A. ha chiesto la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore di una somma a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo penale a suo carico, iniziato nel 2001 con la sua iscrizione nel registro delle indagini della Procura della Repubblica di Napoli e definito con decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Napoli in data 7 dicembre 2005;

1.1. il Ministero intimato ha resistito con controricorso;

Osserva:

2. il ricorso appare inammissibile; infatti la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso sulla base di due autonome rationes decidendo entrambe sufficienti da sole a giustificare la decisione assunta, da un lato affermando che a carico della A. non si era mai instaurato un procedimento penale e dall’altro rilevando che la ricorrente ha avuto formale notizia delle indagini solo con il decreto di archiviazione; la ricorrente, con il terzo motivo, censura la seconda ratio, deducendo vizio di motivazione, ma non ha concluso l’illustrazione della doglianza con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto o delle ragioni di insufficienza della motivazione controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897); appaiono di conseguenza inammissibili per difetto di interesse anche le censure di cui ai primi due motivi, riguardanti la prima ratio decidendi, in quanto tali censure, anche se risultassero fondate, non potrebbe mai condurre alla cassazione del provvedimento impugnato, che rimarrebbe pur sempre fermo sulla base della prima ratio (Cass. 2006/12372);

3. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulatasi ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio, dopo aver deliberato che la motivazione dell’ordinanza venga redatta in forma semplificata, ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione di cui sopra, non inficiate dalle argomentazioni svolte alla ricorrente nella memoria suddetta, la quale non fornisce elementi che inducano al riesame delle questioni trattate o a differenti conclusioni; osservato in particolare che la menzionata memoria riepiloga le censure già svolte nel ricorso per cassazione, ma non contiene specifiche critiche alla motivazione esposta nella relazione qui condivisa e richiamata, in particolare per quanto riguarda la mancanza di un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) illustrativo della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, e neppure all’enunciato principio, in forza del quale, dichiarata inammissibile la doglianza su di una delle due autonome rationes decidendi su cui si fonda il provvedimento impugnato, restano di conseguenza inammissibili per difetto di interesse anche le censure di cui ai primi due motivi, riguardanti la prima ratio decidendi, in quanto tali censure, anche se risultassero fondate, non potrebbe mai condurre alla cassazione del provvedimento impugnato, che rimarrebbe pur sempre fermo sulla base della prima ratio;

rilevato altresì che il terzo motivo è da ritenersi inammissibile anche perchè con il medesimo motivo è stata dedotta genericamente sia la mancanza, che l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in violazione dell’obbligo di formulare le censure (e quindi anche i quesiti di diritto e i momenti di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.) in modo rigoroso e preciso, secondo le regole di chiarezza indicate dall’art. 366 bis c.p.c. (Cass. 2008/9470), evitando doglianze multiple e cumulative (Cass. 2008/5471), così da non ingenerare incertezze in sede di formulazione e di valutazione della loro ammissibilità (Cass. 2008/2652);

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2011

Cassazione civile sez. I, 15/09/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 15/09/2011), n.18890

Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via Lombardia

14, int. 7, presso sè medesima, rappresentata e difesa dagli

avvocati ALONGI Vittorio e Flaviana Alongi, del Foro di Napoli, per

procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma in data 14 gennaio

2008, nel procedimento n. 52955/06 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio in

data 25 maggio 2011 dal relatore, Cons. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha

osservato.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“il Consigliere relatore, letti gli atti depositati;

ritenuto che:

1. A.P. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso il decreto in data 14 gennaio 2008, con il quale la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale la stessa A. ha chiesto la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore di una somma a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo penale a suo carico, iniziato nel 2001 con la sua iscrizione nel registro delle indagini della Procura della Repubblica di Napoli e definito con decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Napoli in data 7 dicembre 2005;

1.1. il Ministero intimato ha resistito con controricorso;

Osserva:

2. il ricorso appare inammissibile; infatti la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso sulla base di due autonome rationes decidendo entrambe sufficienti da sole a giustificare la decisione assunta, da un lato affermando che a carico della A. non si era mai instaurato un procedimento penale e dall’altro rilevando che la ricorrente ha avuto formale notizia delle indagini solo con il decreto di archiviazione; la ricorrente, con il terzo motivo, censura la seconda ratio, deducendo vizio di motivazione, ma non ha concluso l’illustrazione della doglianza con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto o delle ragioni di insufficienza della motivazione controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897); appaiono di conseguenza inammissibili per difetto di interesse anche le censure di cui ai primi due motivi, riguardanti la prima ratio decidendi, in quanto tali censure, anche se risultassero fondate, non potrebbe mai condurre alla cassazione del provvedimento impugnato, che rimarrebbe pur sempre fermo sulla base della prima ratio (Cass. 2006/12372);

3. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulatasi ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio, dopo aver deliberato che la motivazione dell’ordinanza venga redatta in forma semplificata, ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione di cui sopra, non inficiate dalle argomentazioni svolte alla ricorrente nella memoria suddetta, la quale non fornisce elementi che inducano al riesame delle questioni trattate o a differenti conclusioni; osservato in particolare che la menzionata memoria riepiloga le censure già svolte nel ricorso per cassazione, ma non contiene specifiche critiche alla motivazione esposta nella relazione qui condivisa e richiamata, in particolare per quanto riguarda la mancanza di un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) illustrativo della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, e neppure all’enunciato principio, in forza del quale, dichiarata inammissibile la doglianza su di una delle due autonome rationes decidendi su cui si fonda il provvedimento impugnato, restano di conseguenza inammissibili per difetto di interesse anche le censure di cui ai primi due motivi, riguardanti la prima ratio decidendi, in quanto tali censure, anche se risultassero fondate, non potrebbe mai condurre alla cassazione del provvedimento impugnato, che rimarrebbe pur sempre fermo sulla base della prima ratio;

rilevato altresì che il terzo motivo è da ritenersi inammissibile anche perchè con il medesimo motivo è stata dedotta genericamente sia la mancanza, che l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in violazione dell’obbligo di formulare le censure (e quindi anche i quesiti di diritto e i momenti di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.) in modo rigoroso e preciso, secondo le regole di chiarezza indicate dall’art. 366 bis c.p.c. (Cass. 2008/9470), evitando doglianze multiple e cumulative (Cass. 2008/5471), così da non ingenerare incertezze in sede di formulazione e di valutazione della loro ammissibilità (Cass. 2008/2652);

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2011

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