Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18890 del 15/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 15/07/2019), n.18890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piegiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 470-2016 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla

VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

I.G., D.M., V.G., PRESIDENZA

DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimati –

nonchè da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla

VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente incidentale –

contro

D.M., V.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA LISBONA 20, presso lo studio dell’Avvocato ANNA MARIA

NANGANO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

I.G., UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5566/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/10/2015 R.G.N. 1296/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 5566/2015, pronunciando sulle domande dei medici in epigrafe indicati, iscritti ai corsi di specializzazione presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata nel periodo dal 1998 al 2007, in parziale riforma della pronuncia di primo grado n. 1573/2013 resa dal Tribunale della stessa sede, accertava il diritto dei suddetti medici alla rideterminazione triennale delle borse di studio percepite, quantificate in Euro 11.588,93 per ogni anno di corso secondo i parametri previsti dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 condannando l’Università al pagamento di quanto dovuto; accertava, altresì, il diritto dei medici al risarcimento dei danni, subito in conseguenza della tardiva attuazione delle direttive comunitarie in materia e, in particolare, della direttiva 93/16/CE, condannando la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, a tale titolo, della differenza, per ciascuno degli anni accademici compresi tra il 1999 ed il 2000 e quello 2006-2007, tra il trattamento concretamente percepito, incrementato della rideterminazione triennale, e quello dovuto in base ai D.P.C.M. 7 marzo, D.P.C.M. 6 luglio e D.P.C.M. 2 novembre 2007.

2. Avverso la decisione di secondo grado hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione sia l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, affidato a due motivi, sia la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base di due motivi.

3. Hanno resistito D.M. e V.G. con controricorso, al ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre non ha svolto attività difensiva I.G..

4. Il PG non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il ricorso per cassazione, in sintesi, la Università degli Studi di Roma Tor Vergata denunzia: 1) la violazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto, in ordine al riconosciuto adeguamento triennale, che il termine di prescrizione applicabile fosse quello decennale e non quello quinquennale; 2) la violazione dell’art. 2909 c.c. – la violazione dell’art. 100 c.p.c. – la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere rilevato la Corte territoriale l’esistenza di un pregresso giudicato, quanto alla posizione di V.G., pienamente favorevole all’Amministrazione ricorrente, rappresentato dalla sentenza della Corte di appello di Roma n. 3088/2009; 3) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; il difetto assoluto di legittimazione sostanziale passiva dell’Ateneo e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito che dovesse essere l’Università a corrispondere le somme relative alla rideterminazione triennale dei compensi percepiti durante il periodo di frequentazione dei corsi di specializzazione sul presupposto inesatto che i rapporti di specializzazione fossero intercorsi con l’Università che, invece, agiva in ossequio alle modalità individuate dai competenti Dicasteri.

2. Con il proprio ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in sintesi, denunzia: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. – la violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CE e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente riconosciuto la Corte territoriale il diritto al risarcimento dei danni da mancata trasposizione, da parte dello Stato Italiano, della normativa Europea pur non sussistendo alcuna fonte normativa, nè comunitaria nè nazionale, che consenta di ritenere inadeguata la remunerazione corrisposta ai medici frequentanti i corsi di specializzazione nel periodo anteriore all’anno accademico 2006/2007; 2) la violazione dell’art. 2909 c.c. – la violazione dell’art. 100 c.p.c. – la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere rilevato la Corte territoriale l’esistenza di un pregresso giudicato, quanto alla posizione di V.G., pienamente favorevole all’Amministrazione ricorrente, rappresentato dalla sentenza della Corte di appello di Roma n. 3088/2009.

3. Va, preliminarmente, ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (Cass. SU 20 ottobre 2017, n. 24876; Cass. 30 novembre 2018, n. 31087; Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 13 dicembre 2011, n. 26723; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662).

4. Nella specie deve, pertanto, essere considerato principale il ricorso dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata perchè risulta depositato prima del ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri che va quindi considerato incidentale.

5. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica devono essere esaminati preliminarmente il secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo di quello incidentale, riguardanti entrambi l’omesso rilievo, da parte della Corte territoriale, dell’esistenza di un pregresso giudicato, quanto alla posizione di V.G., pienamente favorevole alle Amministrazioni Statali e alla Università, rappresentato dalla sentenza della Corte di appello di Roma n. 3088/2009.

6. Entrambi i motivi sono inammissibili per difetto di specificità.

7. Invero, nel giudizio di legittimità il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di sufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena di inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (Cass. n. 2617 dell’11.2.2015; Cass. Sez. Un. 274.1.2004 n. 1416).

8. Nel caso in esame, manca il richiamo, nelle due censure, del testo integrale del giudicato del quale si assume la scorretta interpretazione da parte del giudice di appello e di cui si chiede a questa Corte di accertarne la portata, di talchè le doglianze sono state inammissibilmente formulate.

9. Il terzo motivo del ricorso principale è, invece, fondato.

10. Va infatti data continuità all’orientamento già espresso da questa sezione (Cass. 14 giugno 2018, n. 15634; Cass. 27 luglio 2016, n. 18710), nonchè ora dalla sezione terza (Cass. 27 febbraio 2019, n. 5706) di questa Corte, in parziale superamento di quanto precedentemente ritenuto da Cass. 17 maggio 2012, n. 7753; Cass., S.U., 20 agosto 2009, n. 18501 e Cass. 18 giugno 2008, n. 16507; in particolare, l’originaria tesi secondo cui i Ministeri interessati al finanziamento ed alla ripartizione delle somme spettanti ai medici e le Università fossero tutti solidalmente responsabili del debito (Cass. 16507/2008 cit. e le altre successive conformi) è stata successivamente affinata nel senso, su cui deve qui incentrarsi il ragionamento giuridico, che le Università, risultando estranee ad ogni onere di stanziamento di somme ed essendo incaricate della sola gestione del rapporto finale con gli specializzandi, operano come delegate al pagamento (art. 1269 c.c., comma 1) delle borse di studio e di quanto ad esse consegue, restando prive, come tali, di legittimazione sostanziale rispetto all’azione dei borsisti – creditori. La legittimazione in tal senso, nella peculiarità della fattispecie, spetta dunque soltanto al Ministero delle Finanze (già Ministero del Tesoro) quale titolare della potestà non solo di ripartizione, ma anche di assegnazione degli importi alle Università, oltre che al Ministero della Sanità e al Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica (quali proponenti della ripartizione e officiati della determinazione concretata degli incrementi), in via tra loro solidale, come del resto sempre ritenuto, rispetto ad essi, dalla giurisprudenza dl questa Corte sopra citata.

11. All’accoglimento di tale motivo segue l’assorbimento della trattazione del primo, concernente le questioni sulla natura e sulla decorrenza della prescrizione le quali diventano irrilevanti ai fini del decidere.

12. Anche il primo motivo del ricorso incidentale è fondato.

13. L’indirizzo espresso da questa Sezione, con le sentenze n. 794 del 2014 e n. 15362 del 2014 e recepito anche da altre Sezioni di questa Corte, cui si intende dare continuità, è nel senso che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto una adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui) e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999. Quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva CEE n. 93/16 (che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363 con le relative successive modificazioni) ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione da stipulare, e rinnovare annualmente tra Università e Regioni e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti: contratto che, come si è detto, non dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.

14.Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, D.P.C.M. 6 luglio e D.P.C.M. 2 novembre 2007. Per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006-2007 è stato espressamente disposto che continuasse ad operare la precedente disciplina di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (sia sotto il profilo ordinamentale che economico). La Direttiva CEE n. 93/16 (che costituisce, dichiaratamente, un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti) non ha d’altra parte carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione. La previsione di una adeguata remunerazione per i medici specializzandi è, infatti, contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 96/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica) e i relativi obblighi risultano già attivati dallo Stato Italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257.

15. L’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente ed idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di legittimità che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza nella sua iniziale misura, anche a prescindere dalle questioni connesse alla svalutazione monetaria.

16. Il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999 ed il relativo meccanismo di retribuzione non possono, pertanto, ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi.

17. L’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991 di talchè non è ipotizzabile un risarcimento del danno da inadempimento agli obblighi, per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, derivanti dalle direttive comunitarie (cfr. Cass. 14.3.2018 n. 6355; Cass. 29.5.2018 n. 13445).

18. Alla stregua di quanto esposto, quindi, deve essere accolto il terzo motivo del ricorso principale ed il primo del ricorso incidentale; devono essere dichiarati inammissibili il secondo motivo sia del ricorso principale che di quello incidentale, assorbito il primo del ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e, decidendo la causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e le domande proposte dai medici con i rispettivi ricorsi introduttivi devono essere rigettate.

19. Le spese dell’intero processo vanno compensate avuto riguardo alla complessa stratificazione del quadro normativo delineatosi in ordine agli aggiornamenti delle borse di studio dei medici iscritti alle scuole di specializzazione.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale ed il primo del ricorso incidentale; dichiara inammissibile il secondo motivo del ricorso principale e di quello incidentale, assorbito il primo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, dichiara il difetto di legittimazione passiva dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e rigetta le domande proposte da I.G., D.M. e V.G. nei rispettivi ricorsi introduttivi dei giudizi. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2019

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