Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1889 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. I, 28/01/2010, (ud. 05/11/2009, dep. 28/01/2010), n.1889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8425/2004 proposto da:

G.A. (c.f. (OMISSIS)), G.M.P.,

G.V., nella qualità di eredi di G.M. e

C.V., nonchè GA.VI., G.M.,

G.G., I.B., nella qualità di eredi di

G.E. (erede di G.M. e C.V.),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso

l’avvocato IANNOTTA Gregorio, che li rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), già Ferrovie

dello Stato – Società di Trasporti e Servizi p.a., in persona

dell’institore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C.

MONTBVERDI 16, presso l’avvocato CONSOLO Giuseppe, che la rappresenta

e difende, giusta procura a margine del controricorso;

ASFALTI SINTEX S.P.A. (c.f. 04175000373), in persona del Presidente

del Consiglio di Amministrazione pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. DONIZETTI 7, presso l’avvocato FRISINA

PASQUALE, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

contro

FALLIMENTO ASFALTI SINTEX S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 79/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 10/02/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

05/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato A. IANNOTTA, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente Asfalti Sintex Spa, l’Avvocato P.

FRISINA che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per la controricorrente FF.SS., l’Avvocato G. RUGGBRI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 10 febbraio 2003, ha determinato l’indennità dovuta dalla s.p.a. F.S. ad E., A., M.P. e G.V., nonchè C. V., quali eredi di G.M., per l’espropriazione in data (OMISSIS), di un terreno di loro proprietà ubicato nel comune di (OMISSIS) (in catasto all’art. 1137, fg. (OMISSIS), part. (OMISSIS)), onde realizzare un tratto di linea ferroviaria affidato alla s.p.a. Asfalti Sintex, in Euro 16.520,14; e quella di occupazione temporanea dell’immobile, disposta con decreto 22 aprile 1985 del Prefetto di Cosenza, in Euro 3188,61. Ciò in quanto: a) dopo che il Comitato reg. controllo aveva annullato il Programma di fabbricazione appr. dal Consiglio comunale di Mongrassano il con Delib. 30 dicembre 1980, n. 42; e quello successivo adottato il 24 luglio 1981 non era stato approvato dalla Regione, lo stesso Consiglio comunale aveva approvato una variante al P.F. con annesso regolamento edilizio questa volta approvato con Decreto Pres. Giunta Reg. 5 agosto 1983, n. 1473; b) poichè detta variante costituiva una integrazione di uno strumento urbanistico inesistente, ne era palese l’illegittimità, per cui, dovendo la stessa essere disapplicata il terreno espropriato non era soggetto ad alcuna regolamentazione urbanistica, e doveva quindi essere valutato con il criterio dell’edificabilità di fatto; c) e tuttavia mancando perfino nella zona le opere di urbanizzazione primaria, allo stesso doveva essere attribuita natura agricola ed il valore doveva calcolarsi mediante il metodo analitico, per capitalizzazione del reddito fornito alla data del decreto di esproprio.

Per la cassazione della sentenza gli eredi G. hanno proposto ricorso per due motivi; cui resistono le s.p.a F.S. ed Asfalti Sintex con controricorso. Le F.S. hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il secondo motivo del ricorso, dall’evidente carattere pregiudiziale, i G. e la C., deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e art. 116 cod. proc. civ., nonchè insufficienza ed illogicità della motivazione si dolgono che la Corte territoriale abbia disapplicato la variante regolarmente approvata con Decreto G.R. 5 agosto 1983, senza considerare: a) che anche ad applicare per la stima dell’indennità il criterio dell’edificabilità di fatto non poteva pervenirsi ad affermare la natura agricola del terreno in quanto detto strumento urbanistico e quelli precedenti, pur non approvati o annullati, avevano attribuito a parte della zona destinazione edificatoria e per tale ragione erano state già rilasciate alcune concessioni edilizie; b) che in ogni caso la ricognizione legale del terreno doveva essere compiuta alla data del decreto di esproprio (ed a quella del decreto di occupazione per il relativo indennizzo), in cui era operante la variante in questione, che gli attribuiva destinazione ad impianti artigianali ed industriali; sicchè in applicazione della menzionata norma doveva essergli riconosciuta destinazione edificatoria senza considerare la superficie destinata a fascia di rispetto dell’opera pubblica.

Quest’ultimo profilo è fondato.

Come infatti rilevato dai ricorrenti, tanto questa Corte, quanto la Corte Costituzionale hanno ripetutamente affermato che nella L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, con l’espressione “le possibilità legali di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio”, il legislatore, proprio al fine di non penalizzare oltre misura i proprietari e privarli dei vantaggi derivanti da una disciplina urbanistica più attuale e contestuale al procedimento ablativo, ha inteso, non già spostare il dato temporale da tener presente per la determinazione del valore del bene espropriato, ma solo riaffermare il principio della irrilevanza del vincolo espropriativo ai fini del relativo accertamento; e recepire la regola del tutto consolidata che postula la ricognizione delle possibilità suddette al momento del verificarsi della vicenda ablatoria; che è quello di adozione del decreto ablativo, ove si tratta di determinare l’indennità di espropriazione ed il procedimento è, perciò, ritualmente definito dal provvedimento suddetto (Cass. 2474/2001; 3873/2000; 425/2000; sez. un. 818/1999 e succ.); o quella del decreto di occupazione temporanea per la stima della relativa indennità.

Pertanto siccome nel caso è pacifico tra le parti che quest’ultimo decreto è stato emesso il 22 aprile 1985 e quello ablativo il 31 maggio 1989, e poichè in entrambi i momenti vigeva la variante al P.F. con annesso regolamento edilizio regolarmente approvato con Decreto Pres. Giunta Reg. 5 agosto 1983, n. 1473, la ricognizione legale del terreno G. non poteva che essere compiuta al lume di detto strumento urabanistico: a nulla rilevando l’apodittica affermazione della Corte territoriale che detta variante fosse affetta da violazione di legge perchè mancava un Piano regolatore o un Programma di fabbricazione cui la stessa intendeva apportare delle modifiche.

Anche infatti a trascurare la possibile autonomia di detta variante (Cons. St. 1516/1999), la giurisprudenza di legittimità è fermissima nel ritenere che in base al combinato disposto della L. n. 2359 del 1865, artt. 2 e 5, l’area di operatività della disapplicazione del provvedimento amministrativo coincide con l’area della giurisdizione del giudice ordinario:dunque, delimitata dallo stesso criterio di riparto delle giurisdizioni, ed ammissibile esclusivamente in presenza di atti amministrativi emessi in carenza di potere, e quindi in materie nelle quali si faccia questione di un diritto soggettivo preesistente, ed il giudice suddetto, dunque, abbia la competenza giurisdizionale a conoscere della controversia in cui il problema dell’illegittimità dell’atto amministrativo si pone.

Al di fuori di questi casi, e quindi non solo nell’ipotesi di atto valido, ma anche in quella in cui i vizi denunciati siano di incompetenza (relativa), violazione di legge (ravvisato nella specie dalla sentenza impugnata) ed eccesso di potere, per la ritenuta equivalenza ai fini della “degradazione” dell’atto valido all’atto invalido, il sindacato di legittimità è precluso al giudice ordinario a qualunque titolo;e la giurisdizione a compierlo appartiene al giudice amministrativo, altrimenti configurandosi l’ipotesi di sindacato dell’A.G.O. su provvedimenti lesivi di interessi legittimi:quale è sicuramente quello dei proprietari all’adozione, modifica e rispondenza degli strumenti urbanistici ai presupposti per ciascuno di essi predisposti dalla legge (Cass. sez. un. 3835/2001; 5240/1993; 10957/1991; 2365/1985; 7344/1983).

Consegue che nel caso l’asserita violazione di legge della variante non rilevata dal comune di Mongrassano in sede di autotutela e non fatta valere dai soggetti interessati davanti al giudice amministrativo, rendeva il provvedimento suddetto efficace e vincolante anche per la Corte di appello; la quale per la ricognizione dell’immobile G. doveva applicare i criteri dati dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, secondo cui, per la valutazione dell’edificabilità delle aree si devono considerare le possibilità1 legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’emissione del decreto ablativo (o di quello di occupazione) che nega rilevanza autonoma ed esaustiva alla mera edificabilità di fatto, esigendo che essa si armonizzi con quella legale: e così escludendo che debba procedersi ad un apprezzamento edificatorio de facto, parallelamente allo sfruttamento edilizio di aree prossime, posto che l’introduzione di una generale e incondizionata bipartizione dei suoli, agricoli ed edificabili, da parte della norma non ammette figure intermedie, ed è associata ad una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può esser data solo dalla classificazione urbanistica dell’area in considerazione.

Da qui la ripetuta affermazione di questa Corte che non può essere classificata come “edificabile” un’area che gli strumenti urbanistici non preordinati all’espropriazione assoggettino a vincolo di inedificabilità o alla quale attribuiscano destinazione agricola, perchè in entrambi i casi alla stessa vengono precluse le possibilità legali di edificazione, e l’indennità di espropriazione deve essere determinata secondo il criterio agricolo tabellare di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, e segg.. E, per converso, ove il piano regolatore o il programma di fabbricazione, o altri strumenti equivalenti (fra i quali rientrano proprio le varianti), prevedano l’edificabilità della zona in cui è ubicato l’immobile, dichiarandola espressamente edificabile, regolandone la densità edilizia, consentendo la presentazione di piani di lottizzazione, ecc, siffatta destinazione legale è sufficiente ad imprimere allo stesso detta qualità; la quale non richiede, perchè rilevi giuridicamente, di essere volta a volta confermata da ulteriori indagini sulle sue caratteristiche materiali, essendo state queste già preventivamente apprezzate in un certo modo nella fase di elaborazione dello strumento urbanistico e tradotte nelle conseguenti prescrizioni che le rispecchiano: e si realizza per ciò solo il presupposto (e la condizione) dello sfruttamento edificatorio da parte del proprietario, il quale (concorrendo ogni altra condizione di legge) ha diritto di ottenere la concessione edilizia.

Pertanto siccome il terreno G. rientra in una zona destinata dalla variante in questione ad usi artigianali ed industriali (come riferito dalle parti), non gli può essere disconosciuta natura edificatoria, salvo poi a considerare la sua edificabilità di fatto per accertare il suo effettivo valore di mercato;mentre l’immobile (o parte di esso) deve essere dichiarato non edificabile solo se lo strumento urbanistico suddetto vincoli la zona a destinazioni ed utilizzazioni esclusivamente pubblicistiche: quale esemplificativamente quella menzionata dagli stessi ricorrenti di costituire area di rispetto della ferrovia.

La destinazione in questione, infatti, discende direttamente dal D.P.R. n. 753 del 1980, art. 49, che ponendo il divieto di costruire o ampliare edifici lungo i tracciati delle linee ferroviarie ad una distanza minore di 30 m. dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia esclude, da un lato, ogni possibilità legale di edificazione del bene nell’ambito di questa fascia di rispetto; ed impone nel contempo che dalla sua esistenza non si possa prescindere nella qualificazione di essa, classificata direttamente dal legislatore “non edificabile”: perciò configurando in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con il suddetto bene demaniale (analoghe regole derivano dalla legge urbanistica e dal codice della strada in ordine alle fasce di inedificabilità senza indennizzo di varia misura dalle strade ed autostrade); Per cui non può dubitarsi che la destinazione ad area di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili (L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3) e soggette ai divieti previsti dalle menzionate norme (Cass. 8121/2009; 26899/2008, – 18563/2004;

13248/2001). Assorbito, pertanto il primo motivo del ricorso, la sentenza impugnata che non si è attenuta a questi principi va cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Catanzaro, che in diversa composizione provvederà alla ricognizione del terreno G. applicando le regole avanti enunciate e determinando di conseguenza le indennità richieste.

Vorrà, infine, la Corte di rinvio provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il secondo motivo del ricorso, ed assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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