Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18880 del 28/07/2017

Cassazione civile, sez. II, 28/07/2017, (ud. 16/02/2017, dep.28/07/2017),  n. 18880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1160-2013 proposto da:

(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 332, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE DE MAJO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

PRATI DEGLI STROZZI 21, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE

SCARNATI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALESSANDRA SCARNATI;

– controricorrente –

nonchè contro

V.M., G.V., G.N., G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4250/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2017 dal Consigliere Dott. SCALISI ANTONINO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE DE MAJO, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso; udito l’Avvocato RAFFAELE

SCARNATI, difensore della controricorrente, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso verificata

la procedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c..

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.M. e i sigg. G. ( V., N., A.) con atto di citazione del 6 giugno 2005 conveniva in giudizio il (OMISSIS), chiedendo la declaratoria di nullità o annullamento della delibera condominiale del 9 maggio 2005 con la quale era stata revocata l’autorizzazione concessa il 24 marzo 2003 al sig. V. G. concernete l’allaccio all’impianto di riscaldamento condominiale del locale sito al seminterrato costituente la pertinenza destinata a cantina dell’appartamento int. 4 dello stabile di via (OMISSIS), intestato ai sigg. G. e V.. Gli attori evidenziavano che avevano presentato domanda di concessione in sanatoria per il cambio di destinazione d’uso dal locale cantina ad abitazione della anzidetta pertinenza e di averlo poi venduto come abitazione a T.M..

Si è costituito il (OMISSIS) per resistere alla domanda e chiederne il rigetto.

Con separato atto di citazione, anche la sig.ra T.M. ha impugnato la stessa delibera condominiale del 9 maggio 2005, chiedendo in via preliminare la sospensione della delibera e, in ipotesi di rigetto dell’impugnazione, la condanna dei venditori al risarcimento dei danni tutti.

Anche in questo caso si è costituito il Condominio di via (OMISSIS) chiedendo il rigetto della domanda attorea.

Riuniti i due procedimenti, il Tribunale di Roma con sentenza 1601 del 2009 rigettava la domanda proposta dagli attori per difetto di legittimazione attiva, per contro accoglieva la domanda, successivamente proposta dalla T., ritenendo la revoca della delibera non giustificata alla luce della presumibile suscettibilità dell’impianto condominiali di tollerare nuovi allacci.

Avverso questa sentenza ha interposto appello il (OMISSIS), chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

Si costituiva T., eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione perchè tardiva. Eccezione, tuttavia, che è stata rigettata dalla Corte di appello di Roma.

Espletata la fase istruttoria, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4250 del 2012, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata, condannava il Condominio al pagamento delle spese di lite a favore della T.. Secondo la Corte di Roma, l’eccezione formulata dal Condominio in ordine alla mancanza della qualità di condomina della T., nonchè il motivo relativo alla irrilevanza delle giustificazioni addotte dal condominio convenuto a sostegno della legittimità della revoca della delibera condominiale erano inammissibili per il divieto del novum in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c.. Andava riconfermata la decisione del Tribunale di rigettare la domanda di revoca perchè correttamente giustificata dalla presumibile tollerabilità del nuovo impianto dagli impianti condominiali esistenti.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dal Condominio di via (OMISSIS) con ricorso affidato a quattro motivi. T. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. V.M., G.V., G.N., G.A. in questa fase non hanno svolto alcuna attività giudiziale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo del ricorso il (OMISSIS) lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nonchè dell’art. 1137 c.c.. Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile, per tardività, l’eccezione di mancanza di qualità di condomina della sig.ra T. ritenendo che tale eccezione fosse stata sollevata solo in appello perchè non avrebbe tenuto conto che la mancanza di qualità di condomina della sig.ra T. risolvendosi in un difetto di legittimazione della stessa ad impugnare la delibera condominiale non avrebbe potuto ricadere nel divieto del novum in appello ex art. 345 c.c..

1.1.= Il motivo è infondato, nonostante la sentenza impugnata necessiti di essere corretta in alcune affermazioni. Va qui precisato che la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto, assumendo di esserne titolare e la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio, e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Ora, nel caso in esame, il Condominio aveva fatto valere nel giudizio di appello la mancanza di legittimazione della sig.ra T., sostenendo che la stessa non fosse condomina. Tale eccezione era ammissibile e non incontrava -come erroneamente ha affermato la Corte distrettuale – il divieto del novum in appello. Tuttavia, il fatto che avrebbe comportato una carenza di legittimazione ad agire della sig.ra T., così come richiamato e riportato dallo stesso ricorrente, non è un fatto idoneo ad escludere la qualità di condomina della sig.ra T., perchè anche l’acquisto di un bene pertinenziale, il quale ai sensi dell’art. 818 c.c., può formare oggetto di separati rapporti giuridici, comporta l’acquisizione della qualità di condomino, ai sensi dell’art. 1117 c.c., indipendentemente dall’entità della quota condominiale. Irrilevante e/o non influente sarebbe poi il fatto che il Condominio non avesse ancora identificato la quota condominiale che spetterebbe alla sig.ra T. perchè la qualità di condomino è dipendente semplicemente dal titolo di proprietà, e, dunque, dall’essere proprietario di una porzione dell’immobile in condominio.

2.= Il ricorrente lamenta, ancora:

a) Con il secondo motivo la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1117 e 1118 c.c., nonchè degli artt. 1102 e 1137 c.c., il quale sostiene il ricorrente, che l’assunto secondo cui una delibera condominiale adottata senza che il relativo argomento fosse stato preventivamente indicato nell’ordine del giorno e sopra tutto essere stata assunta senza l’unanimità del consensi (unanimità necessaria, secondo il ricorrente), trattandosi di delibera avente ad oggetto l’uso ed il funzionamento delle cose comuni, non presenterebbe un vizio meramente formale, ma sarebbe nulla per contrarietà a norme inderogabili alla normativa di cui agli artt. 1117 e 1118 c.c., per i quali le decisioni concernenti i diritti dei condomini sulle cose comuni e sulle modalità d’uso non possono essere prese se non con l’unanimità dei consensi dei condomini.

b). Con il terzo motivo, la motivazione assolutamente incongrua e contraddittoria su un punto decisivo della controversia. Secondo il ricorrente. la corte territoriale si sarebbe contraddetta, perchè da un verso ha dimostrato di tenere presente i casi di nullità delle delibere assembleari di condominio come è l’elencazione contenuta nella seconda metà di pag. 5 della sentenza, per altro, giunta al momento di dover ricomprendere nell’elenco di cui sopra la fattispecie in esame, l’avrebbe incredibilmente esclusa.

2.1. = I motivi che per la loro innegabile connessione vanno esaminati congiuntamente sono infondati. Va qui premesso che la Corte distrettuale, confermando la sentenza del Tribunale, ha annullato la delibera di revoca oggetto del giudizio sul presupposto che la revoca di che trattasi non era giustificata. E sia pure perchè la delibera che si intendeva revocare era pienamente valida, comunque non affetta da un vizio di nullità. D’altra parte, ai sensi dell’art. 1137 c.c., l’impugnazione delle delibere condominiali può essere proposta dai condomini: assenti all’assemblea, che si sono astenuti nella votazione, o che si sono dichiarati contrari nella votazione. Questa regola non si applica in caso di delibera nulla che, invece, può essere impugnata da chiunque ne abbia interesse. Pertanto, correttamente, la Corte distrettuale ha affermato che le doglianze relative alla validità delle delibere condominiali (e in questo caso si trattava della validità della delibera che si intendeva revocare) sarebbero state deducibili esclusivamente dai condomini assenti o dissenzienti e non già dal Condominio. La validità della delibera che si intendeva revocare, dunque, non poteva rappresentare materia di valutazione nel giudizio di annullamento della delibera di revoca di precedente delibera condominiale. Non solo, ma correttamente, con motivazione adeguata, comunque, chiara e coerente con i presupposti indicati, la Corte distrettuale ha evidenziato che la delibera autorizzativa del 24 marzo 2003, che si intendeva revocare, non era, comunque, nulla, anche se adottata senza che l’oggetto fosse stato posto all’ordine del giorno e senza che fossero stati presenti tutti i condomini, dato che nulle, come hanno chiarito le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sent. 4806 del 2005) e la più attenta dottrina, sono le delibere prive dei requisiti essenziali perchè assunte con maggioranze inesistenti o solo apparenti o senza la maggioranza prescritta in relazione all’oggetto delle delibere o con contenuto illecito o impossibile o infine concernenti innovazioni lesive dei diritti dei condomini sulle cose e servizi comuni mentre annullabili sono le delibere contrarie alla legge o al regolamento.

3.= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta ultrapetizione, motivazione incongrua e contraddittoria su altro punto, pure, decisivo della controversia. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale, il giudizio sulla tollerabilità di nuovi allacci per l’impianto centralizzato di riscaldamento sarebbe ultrapetita, dato che la sig.ra T., con l’atto di citazione per l’impugnazione della delibera, non aveva formulato motivo che l’impianto potesse supportare anche nuovi allacci.

3.1. = Il motivo è infondato. Va qui evidenziato che l’annullamento della delibera di revoca era condizionato solo alla validità e legittimità della revoca stessa. La Corte di appello per respingere il terzo motivo del gravame di merito avrebbe potuto limitarsi a questa semplice affermazione, non specificamente impugnata, costituendo il successivo excursus, rispetto al quale si lamenta l’ultrapetizione, un’autonoma e non necessaria ulteriore ratio decidendi. Infatti come è evidente la Corte distrettuale, oltre che a ritenere che la delibera che si intendeva revocare non era nulla, per le ragioni di cui si è già detto, ha ritenuto, altresì, confermando quanto aveva evidenziato il Tribunale, di ribadire che la revoca di che trattasi non trovava neppure giustificazione, soprattutto, alla luce della presumibile, “in mancanza di prova contraria”, suscettibilità dell’impianto condominiale di tollerare nuovi allacci. Si tratta, come è evidente, di una considerazione di principio, che tiene conto del fatto che l’allaccio all’impianto di riscaldamento condominiale, essendo tecnicamente possibile, non determinava un uso anomalo delle cose comuni e, quindi, non ridondava a pregiudizio degli altri condomini e, per ciò stesso, la validità della delibera non era condizionata all’unanimità dei consensi.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate con il dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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