Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18877 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 12/07/2019), n.18877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23930-2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato

MARCO GIORGETTI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI ANCONA n. 7714/2018, depositato

il 20.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13.6.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

M.S. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione del provvedimento indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Ancona aveva respinto la sua domanda di riconoscimento di protezione sussidiaria e, in via subordinata, di protezione per motivi umanitari;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Bangladesh) dovuti al suo vissuto personale, narrando di aver lasciato il Paese a causa di minacce poste in essere da soggetti non statuali, senza che le forze di polizia intervenissero a sua tutela, nell’ambito di diatribe relative a rivendicazioni di terreni di proprietà della sua famiglia, a cui era conseguita anche l’uccisione del fratello, motivo per il quale aveva deciso di lasciare il Paese;

il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di censura il ricorrente lamenta il vizio di motivazione apparente (sia pure rubricato come “violazione e falsa applicazione della legge… – vizio di motivazione”) avendo il Tribunale reso una motivazione intrisa di clausole di stile, senza alcun riferimento agli elementi concretamente addotti ed alle censure sollevate al provvedimento di diniego della Commissione territoriale dal richiedente;

1.2. le doglianze sono infondate in quanto si scorge appieno dal contenuto della decisione impugnata la ratio decidendi posta a base della stessa, collegata alla mancanza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, sul presupposto che “il Bangladesh non…(era)… segnalato per alcun tipo di instabilità politica”, il che è sufficiente per escludere che il provvedimento impugnato possa rientrare nello stigma delle sentenze nulle per omissione della motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile, alla stregua di quanto affermato da Cass. S.U. n. 8053/2014 e n. 8054/2014;

2.1. con il secondo motivo di censura il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6 e 7 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in quanto il Tribunale di Ancona avrebbe dovuto riconoscere la protezione sussidiaria al ricorrente a cagione degli atti di violenza che egli potrebbe subire in caso di suo rimpatrio, non essendo in grado le autorità statali di offrire adeguata protezione al ricorrente e la minaccia di grave danno poteva derivare anche da soggetti non statuali;

2.2. con il terzo motivo di censura (erroneamente indicato come quinto) il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 in quanto il Tribunale di Ancona non aveva riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria sul presupposto che “nessun serio percorso di socializzazione… (fosse stato)… intrapreso” dal richiedente;

2.3. le censure, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

2.4. questa Corte ha invero affermato che il danno grave può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato in assenza di un’autorità statuale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela e protezione, ma nella fattispecie le doglianze del ricorrente non assumono rilievo rispetto alle specifiche affermazioni del Tribunale circa la mancanza di una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica derivante da sistemi di regole non scritte substatuali imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso, nè emerge che il ricorrente abbia espressamente dedotto, nel grado di merito, l’impossibilità di avvalersi dell’attività degli organi competenti del proprio Paese al fine di ottenere la necessaria protezione;

2.5. l’approfondimento istruttorio officioso è doveroso, quindi, solo in presenza di una puntualmente allegata tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali (cfr. Cass. nn. 7333/2015, 25319/2015), ma ciò presuppone che il soggetto interessato possa dimostrare di aver quanto meno dedotto di essersi rivolto inutilmente a quelle autorità, ovvero di non averlo potuto fare per una condizione di sistematica connivenza suscettibile di esser verificata da parte delle autorità di un paese terzo, tutti elementi che nel presente caso non sono emersi;

2.6. altresì va disatteso il terzo motivo di ricorso, in quanto con la protezione umanitaria il legislatore ha inteso apprestare una tutela residuale per le situazioni di vulnerabilità inerenti a diritti umani fondamentali alle quali, in base ad un giudizio prognostico, lo straniero sarebbe esposto in caso di suo rimpatrio oppure nei casi risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano (art. 5, comma 6, cit.);

2.7. in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul Giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine;

2.8. nella specie, il Giudice territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali;

2.9. da ultimo, non può essere preso in esame quanto dedotto circa il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, trattandosi di circostanza nuova, introdotta unicamente in sede di legittimità, non avendo dimostrato il richiedente di averla sottoposta all’esame del Giudice del merito;

3. il ricorso deve pertanto essere integralmente respinto;

4. le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

5. non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater, essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso, in favore del Ministero controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Prima Civile, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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