Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18876 del 30/08/2010

Cassazione civile sez. I, 30/08/2010, (ud. 07/07/2010, dep. 30/08/2010), n.18876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. PROTO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. VITRONE Ugo – Consigliere –

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.D. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA RICCIOTTI 9, presso l’avvocato COLACINO VINCENZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DONNINI DONNINO, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato il

30/04/2008; n. 395/07 E.R.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2010 dal Presidente Dott. VINCENZO PROTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato il 19 aprile 2008 la Corte di appello de L’Aquila ha dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione del danno proposta dal siq. P.D., che aveva lamentato – ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 in riferimento alla conv.

per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848 ed entrata in vigore per l’Italia il 26 ottobre 1955 – la eccessiva durata del processo presupposto, da lui promosso per responsabilita’ da inadempimento contrattuale, sviluppatosi, nelle varie fasi (1 e 2 grado, cassazione, giudizio di rinvio), dal 29 marzo 1995 al 20 marzo 2007.

La Corte, accertata la durata complessiva del giudizio in 11 anni (posto che un anno era stato consumato per gli atti del gravame), ha rilevato che erano trascorsi oltre sei mesi dalla sentenza che aveva definitivamente chiuso la vicenda (20 marzo 2007) rispetto al deposito del ricorso de quo (24 nov. 2007) e che non era applicabile la sospensione dei termini nel periodo feriale, dovendosi qualificare come termine di decadenza il termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Avverso tale decreto il soccombente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L’Amministrazione intimata ha depositato atto di costituzione in giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, e deduce che erroneamente la Corte di appello ha considerato come dies a quo il 20 marzo 2007 (data della deliberazione della decisione della Corte di cassazione che ha definito il giudizio), anziche’ quella del suo deposito (25 maggio 2007). Formula quindi idoneo quesito. Il motivo e’ fondato.

Il termine previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 ai fini della proponibilita’ della domanda di riparazione, decorre dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e’ resa pubblica (cfr.

Cass. 2000/5855). L’esistenza della sentenza civile e’ infatti determinata (salvo casi specifici appositamente regolati) dalla sua pubblicazione mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata, ed il suo dispositivo e’ privo di rilevanza giuridica esterna.

Resta assorbita la questione dall’applicabilita’ nella specie della sospensione dei termini, esaminata dalla Corte di appello, e che non e’ oggetto di specifica censura.

Anche il secondo motivo, incentrato sulla irragionevole durata del giudizio presupposto, e’ fondato.

Il giudice a quo, infatti, accertata la durata complessiva del giudizio presupposto (nelle sue varie fasi) in anni 11 e appurato che il ritardo per la definizione del giudizio stesso entro tale termine non era imputabile alle parti, avrebbe dovuto procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale secondo i criteri stabiliti da questa Corte alla stregua della sentenza n. 21840 del 14 ottobre 2009 (quantificazione del danno non patrimoniale di regola non inferiore a 150,00 Euro per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi). In conclusione, vanno dunque accolti entrambi i motivi. L’impugnato provvedimento va in conseguenza cassato e la causa puo’ essere decisa nel merito – alla stregua dei suindicati criteri- condannando l’Amministrazione intimata al pagamento di Euro 2250,00 a titolo di danno non patrimoniale, a favore del ricorrente. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e decidendo nel merito condanna l’Amministrazione intimata a pagare al P. Euro 2,250,00, con gli interessi dalla domanda. Condanna altresi’ la parte intimata al pagamento delle spese dell’intero giudizio, liquidate – per il giudizio di merito – in Euro 500,00 per onorari, 320,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi e – per il giudizio di cassazione – in Euro 600,00 di cui Euro 500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 7 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2010

 

 

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