Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18872 del 03/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/07/2021, (ud. 22/03/2021, dep. 03/07/2021), n.18872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 757-2014 proposto da:

CAVA INFERNO SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI

43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO GAFFURI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 196/2013 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA

SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 13/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE;

Per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 196/67/13

depositata il 13.5.2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22 marzo 2021 dal relatore, cons. Francesco Mele.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Cava Inferno srl proponeva ricorso avverso avviso di accertamento di maggior reddito d’impresa per l’anno 2005 – con liquidazione di maggiori imposte (Ires, Irap ed Iva) – nascente dall’omessa fatturazione e contabilizzazione di ricavi relativi alla vendita di un fabbricato rurale con relativa area pertinenziale, da cui era derivata una minusvalenza (bene acquistato nel 1992 per Lire 170.000.000 e rivenduto nel 2005 per Euro 30.000,00).

– Resisteva l’Ufficio.

– La Commissione Tributaria provinciale di Brescia rigettava il ricorso con sentenza che, gravata di appello ad opera della contribuente, era confermata dalla CTR con la sopra menzionata sentenza, la quale motivava come segue: “l’appellante produce documentazione a supporto delle proprie tesi difensive, tenendo conto delle quali si evince che l’immobile in questione ha caratteristiche peculiari e sussistono dei vincoli alla ristrutturazione ed al restauro del medesimo. Tuttavia, pur considerando i certificati di destinazione urbanistica rilasciati in data (OMISSIS) e (OMISSIS) dal Comune di (OMISSIS), le limitazioni di cui alla L. n. 58 del 1953, ed alla L. n. 58 del 1963, per altro già note al momento dell’acquisto immobiliare avvenuto nel 1992, quindi considerate ai fini della determinazione del prezzo di acquisizione, sicuramente inferiore a quello corrente e normale di mercato, la perizia di stima, non avente valore istruttorio pregnante, essendo di parte, la Delib. del Consiglio comunale di Ghedi del 3.7.2008, prot. (OMISSIS), il certificato comunale del 29.12.2011, prot. (OMISSIS), l’appellante non dimostra che dette limitazioni comportino un abbattimento di entità pari a quella pretesa, decorsi ben 23 anni dall’acquisto alla vendita, periodo nel quale, sia pure in presenza di alterne vicende di natura economico-tecnica, vi è stata una considerevole rivalutazione dei beni immobiliari, ravvisabile chiaramente anche nel listino della PRO-BRIXIA summenzionata, con rifermento alla data di cessione. Giustamente i primi giudici, dopo avere fatto riferimento alla normativa di riferimento cennata in narrativa, hanno preso in considerazione i dati e gli elementi identificativi della fattispecie, valutando i quali, come esposto in motivazione, hanno concluso per la conferma della legittimità dell’operato dell’Ufficio; valga la statuizione della Corte Suprema di Cassazione, secondo cui nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione contabile”. Sulla scorta della trascritta motivazione, la CTR ha poi conclusivamente ritenuto come assorbita ogni altra deduzione.

– Per la cassazione di tale sentenza la società contribuente propone ricorso – illustrato da memoria – affidato a cinque motivi.

– Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Il ricorso consta di cinque motivi che recano: 1) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. (nel testo in vigore all’epoca dei fatti) 85 e 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, delle regole sull’inopponibilità all’Amministrazione finanziaria delle operazioni antieconomiche, nonchè dell’art. 53 Cost., in riferimento al ritenuto conseguimento di un ricavo superiore a quello effettivamente conseguito dalla ricorrente e all’impossibilità di dedurre la perdita prodotta con la vendita di un immobile ad un prezzo inferiore a quello di acquisto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 2) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in riferimento alla ripartizione dell’onere della prova e alla indebita inversione di questo a carico della contribuente, nonchè all’ammissione da parte del giudicante di presunzioni (la supposta antieconomicità dell’operazione) prive di gravità precisione e concordanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 3) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) (valevole anche per l’Irap), del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, mancando nella fattispecie i requisiti per eseguire un accertamento analitico induttivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 4) “Omessa o insufficiente motivazione o, laddove si ritengano applicabili anche al processo tributario le modifiche recate all’art. 360 c.p.c., dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in riferimento alla totale inutilizzabilità del cespite e all’esistenza delle condizioni per considerare l’operazione immobiliare antieconomica, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”; 5) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in riferimento al mancato esame di alcuni fatti essenziali dedotti da parte ricorrentè in secondo grado, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

– Con il primo motivo, la ricorrente si duole della ritenuta – da parte della CTR – antieconomicità della condotta tenuta da essa contribuente, rilevando che l’ufficio impositore avrebbe arbitrariamente determinato i proventi con conseguente illegittimità della tassazione dei ricavi.

– Il motivo non è fondato: esso è costituito di argomenti già prospettati nei giudizi di merito, risolvendosi, in realtà, in una censura sulla valutazione operata dalla CTR che ha vagliato – e disatteso con ampia motivazione – le deduzioni della contribuente per come evidenziato nell’ampia parte della sentenza sopra trascritta.

– Invero l’atto impositivo per cui è causa si fonda sulla presunzione semplice fondata sull’elemento di oggettiva rilevanza costituito dall’enorme divario tra il prezzo di acquisto e di vendita a fronte di situazione di fatto e normativa immutata, e le cui limitazioni erano ben note sin dall’origine, sì da integrare una operazione – evasiva e non elusiva – caratterizzata da antieconomicità, a fronte della quale avrebbe dovuto la società fornire – in adempimento del relativo onere incombente sulla parte (consolidata è la giurisprudenza in materia: ex multis e di recente, Cass. n. 34215 del 2019) – la prova della legittimità fiscale dell’operazione, prova che la ricorrente non ha recato in giudizio.

– La ricorrente infine completa la illustrazione del motivo, secondo una modalità prettamente discorsiva, riproponendo le argomentazioni già esposte nella fase del merito, dirette a criticare l’apprezzamento del merito espresso nella sentenza impugnata, qui neppure deducibile.

– Con i motivi secondo e terzo – che possono essere trattati congiuntamente perchè connessi – la ricorrente censura la sentenza per avere violato la normativa in tema di assolvimento dell’onere della prova e per avere posto in essere un accertamento analitico induttivo in assenza dei requisiti di legge.

– I motivi sono infondati, risolvendosi la censura, anche qui, in una contestazione sull’apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito, fermo restando – quanto all’accertamento analitico-induttivo che esso ben può fondarsi anche su una sola presunzione, secondo una interpretazione, ormai consolidata (v. Cass. n. 22184 del 14/10/2020).

– Con i motivi quarto e quinto – che possono essere trattati congiuntamente perchè connessi – la ricorrente denuncia vizi di motivazione con riferimento ad un fatto decisivo per il giudizio che avrebbe costituito oggetto di discussione tra le parti e al mancato esame di alcune circostanze essenziali dedotte dalla società in secondo grado.

– I motivi non sono fondati e sono al limite dell’inammissibile.

– Da un lato, infatti, non è proponibile il vizio di insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile (trattandosi di sentenza del 13.5.2013); dall’altro la contribuente non indica nessun fatto che non sia stato oggetto di disamina, come i limiti della ristrutturazione dell’immobile, espressamente esaminati dalla CTR, mentre tali non sono le cd. osservazioni critiche che integrano una mera valutazione; parimenti privo di rilievo è l’omessa produzione del listino dei prezzi, non decisiva, neppure essendo contestati i valori desumibili da questo.

– Sotto il secondo profilo, la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile, dovendosi incentrare sull’omessa decisione su una domanda specificamente individuata – qui neppure riprodotta per autosufficienza – e non su mere argomentazioni.

– Conclusivamente, il ricorso va rigettato e le spese liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2021

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