Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18866 del 15/09/2011

Cassazione civile sez. I, 15/09/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 15/09/2011), n.18866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.Q.P.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE AMERICA 11, presso l’avvocato ALTIERI

ANTONELLA, rappresentato e difeso dagli avvocati BALBO CIRO, IZZO

ANGELO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI CASERTA;

– intimata –

sul ricorso 5253-2005 proposto da:

PROVINCIA DI CASERTA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Prefetto

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. CANDIANI 35,

presso il sig. BASSO SALVATORE, rappresentata e difesa dall’avvocato

BUONPANE ANGELA RAFFAELLA, giusta procura a margine del controricorso

e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.Q.P.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3471/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per, previa riunione, rigetto

di entrambi i ricorsi e compensazione delle spese.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – adito da D.Q. P.R. per il risarcimento del danno da occupazione espropriativa (verificatasi nel 1997) di un terreno di sua proprietà sito nel Comune di (OMISSIS), occupato (in data 28 aprile 1990) per la realizzazione di un istituto tecnico-commerciale per geometri da realizzare a cura della Provincia di Caserta -, in contraddittorio con la Provincia di Caserta, la quale nel resistere alla domanda aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva – disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio e ritenuta sia la legittimazione passiva della Provincia convenuta, sia la natura edificatoria del fondo occupato, sia l’applicabilità alla fattispecie del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 -, con la sentenza n. 3316 del 7 novembre 2000, tra l’altro, condannò la Provincia al pagamento della somma di L. 172.805.763 già rivalutata, a titolo di risarcimento del danno, e della somma di L. 59.859.975, a titolo di indennità per l’occupazione legittima, oltre interessi;

che avverso tale sentenza la Provincia di Caserta interpose appello dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli, lamentando l’erroneità della decisione impugnata, per aver ritenute la legittimazione passiva della stessa appellante e la natura edificatoria del fondo, nonchè per aver riconosciuto la rivalutazione monetaria della somma liquidata a titolo risarcitorio;

che la Corte adita – in contraddittorio con il D.Q., il quale resistette al gravame -, con la sentenza n. 3471/2003 del 3 dicembre 2003, in accoglimento dell’appello ed in riforma della decisione impugnata, determinò la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, già rivalutata, in Euro 7.068,00 e la somma dovuta a titolo di indennità per l’occupazione legittima in Euro 2.892,75;

che preliminarmente, quanto alla questione della legittimazione passiva della Provincia di Caserta, i Giudici a quibus hanno affermato: A parte il fatto che l’appellante non contesta quanto posto dal primo giudice a base del rigetto della sollevata eccezione, va … osservato che è indubbio che l’occupazione è stata disposta dal Comune nell’interesse della Provincia, che il Comune di (OMISSIS) si è limitato a compiere gli atti della procedura espropriativa di sua competenza rientrando il fondo nel proprio territorio, senza avere alcun interesse a detta procedura, e che la mancata realizzazione dell’opera nel termine stabilito è addebitabile ad essa appellante e non certamente al Comune;

che in particolare, quanto alla natura del fondo oggetto dell’occupazione acquisitiva, i Giudici a quibus hanno affermato: Il primo giudice ha riconosciuto essere tale edificatoria la natura del fondo occupato sulla base di una relazione del tecnico del Comune …

del 10.2.91, allegata alla produzione di parte attrice, secondo la quale il fondo “è stato soggetto a variante urbanistica in quanto da esistente zona agricola è stato, con l’approvazione del progetto, variato in zona F con destinazione ad attrezzature di interesse generale quali scuole superiori all’obbligo ecc.. Non v’è, tuttavia, chi non veda che di tale variazione non poteva tenersi conto ai fini che qui interessano, essendo la stessa conseguenza proprio della realizzazione dell’opera pubblica e dovendosi, invece, fare riferimento alla situazione preesistente. Occorreva, quindi, far riferimento alla temporalmente successiva nota del Sindaco di (OMISSIS) del 3.1.92, allegata alla relazione di consulenza tecnica, dalla quale emerge che “le particelle espropriate (rectius:

occupate) sono riportate come zona E zona agricola rispetto al P.R.G. vigente e quello all’epoca del decreto di esproprio (rectius: di occupazione);

che inoltre, quanto alla misura del risarcimento del danno, i Giudici a quibus – esclusa l’applicabilità alla specie del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 – hanno applicato il criterio del valore venale, escluso, però, ogni riferimento a possibilità edificatorie, aggiungendo che per la determinazione del danno ben può farsi riferimento, in mancanza, come nel caso in esame, di altri dati, al valore agricolo medio, tenuto conto che il terreno de quo è classificabile come terreno agricolo seminativo, ed hanno rivalutato la somma così determinata, trattandosi di debito di valore;

che infine, quanto alle spese del doppio grado del giudizio, i Giudici a quibus le hanno compensate per la metà tra le parti, in considerazione dell’esito complessivo del giudizio;

che avverso tale sentenza D.Q.P.R. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura, illustrati con memoria;

che resiste, con controricorso, la Provincia di Caserta, la quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

preliminarmente che, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., debbono essere riuniti i ricorsi principale (n. 2503 del 2005) ed incidentale (n. 5253 del 2005), proposti contro la stessa sentenza;

che, sempre in via preliminare, la ricorrente incidentale eccepisce l’inammissibilità del ricorso principale, in quanto la procura speciale ivi apposta in calce non reca nè la sottoscrizione della parte nè la certificazione dell’autografia della sottoscrizione del ricorrente principale, sottoscrizione e certificazione che, invece, sono contenute in un foglio separato, con conseguenti non riferibilità della stessa procura al sig. D.Q. ed incertezza in ordine all’oggetto della certificazione medesima;

che tale eccezione non è fondata;

che, nella specie, la procura ad litem risulta conferita nell’ultima pagina del ricorso per cassazione in calce alla sottoscrizione dei difensori, mentre la sottoscrizione del ricorrente e la certificazione dell’autografìa di tale sottoscrizione sono contenuti in un foglio separato congiunto materialmente al precedente;

che, secondo il prevalente e consolidato orientamento di questa Corte, il requisito, posto dall’art. 33 c.p.c., comma 3, ultimo periodo, (aggiunto dalla L. 27 maggio 1997, n. 141, art. 1), della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata, e l’atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui si tratta, con la conseguenza che, ai fini della validità della procura, non è richiesto che il rilascio di essa su foglio separato sia reso necessario dal totale riempimento dell’ultima pagina dell’atto cui accede, nè che la procura sia redatta nelle prime righe del foglio separato, non essendo esclusa la congiunzione dalla presenza di spazi vuoti (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 12332 del 2009 e 7731 del 2004);

che, alla luce di tale orientamento, non possono sussistere dubbi sulla validità della procura ad litem per la sola circostanza che la sottoscrizione del ricorrente e la certificazione della autografia di tale sottoscrizione sono contenute in un foglio separato da (ma materialmente congiunto a) quello in cui è contenuto il negozio di conferimento della rappresentanza processuale, in quanto, contrariamente a quanto opinato dalla ricorrente incidentale, proprio il tenore testuale della procura (Avv.ti Ciro Balbo e Angelo Izzo con la presente procura speciale Vi nomino miei procuratori, e difensori nel presente giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione …), il suo conferimento in calce al ricorso seguito dalla data e la sottoscrizione autenticata della parte contenuta nel foglio immediatamente successivo congiunto materialmente al precedente costituiscono un contesto di elementi tale che consente di ritenere raggiunta la ragionevole certezza in ordine sia alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza sia alla riferibilità della procura stessa al presente giudizio;

che con il primo (con cui deduce: Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), con il secondo (con cui deduce: Violazione e falsa applicazione della L. 359 del 1992, art. 5/bis di conversione del D.L. n. 333 del 1992, nonchè della L. n. 865 del 1971, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con il terzo (con cui deduce: Ulteriore profilo di violazione di legge anche in rapporto alla Convenzione europea), con il quarto (con cui deduce: Ulteriore profilo di violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5/bis come modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65 nonchè della L. n. 865 del 1971, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 3) e con il quinto motivo (con cui deduce: Violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anche in rapporto al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 37 e 43) – i quali possono essere esaminati congiuntamente avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente principale critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) hanno fondato la decisione sulla sola nota sindacale del 3 gennaio 1992, omettendo di tener conto di tutti gli altri atti, sia del Comune sia dell’U.T.E. sia della Provincia, che valutavano i fondi interessati al medesimo procedimento nella misura di L. 65.000/50.000 al mq. e, quindi, presupponevano la natura edificatoria dei fondi, natura confermata dal consulente tecnico d’ufficio; b) hanno omesso di tener conto del criterio della cosiddetta “edificabilità di fatto” relativamente al fondo in questione, criterio richiamato anche dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 37 e 43; c) hanno violato l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della Corte EDU, che affermano la necessità di un risarcimento rapportato al valore integrale ed effettivo del bene oggetto di espropriazione;

che, con i tre motivi – con i quali denuncia vizi di violazione di norme di diritto e di motivazione -, la ricorrente incidentale critica a sua volta la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) hanno omesso di tener conto che la Provincia non solo non era titolare del potere espropriativo, ma aveva anche posto in essere tutti gli atti di impulso endoprocedimentale, come emerge dalla nota della provincia al Sindaco di (OMISSIS) del 29 ottobre 1990, con la quale si invita il Sindaco all’emissione del decreto di determinazione dell’indennità di espropriazione; b) hanno erroneamente disposto la rivalutazione della somma liquidata, trattandosi di obbligazione di valuta e di fondo di natura agricola;

c) hanno erroneamente compensato per la metà le spese di entrambi i gradi del giudizio, omettendo di considerare la prevalente soccombenza del ricorrente principale;

che il primo motivo del ricorso incidentale – il quale, involgendo la questione preliminare della legitimatio ad causam della Provincia di Caserta, va scrutinato con precedenza rispetto a tutti gli altri – è inammissibile;

che la Corte di Napoli, nel respingere l’analogo motivo di appello dedotto dalla odierna ricorrente incidentale, ha affermato che l’occupazione è stata disposta dal Comune di (OMISSIS) nell’interesse della Provincia, che lo stesso Comune si è limitato a compiere gli atti della procedura espropriativa di sua competenza, in quanto il fondo era localizzato nel proprio territorio, senza avere alcun interesse a detta procedura, e che la mancata realizzazione dell’opera nel termine stabilito è addebitabile alla Provincia e non certamente al Comune;

che la ricorrente incidentale non censura specificamente nessuna di queste rationes decidendi, limitandosi a richiamare le proprie difese svolte nei precedenti gradi di giudizio e a denunciare genericamente l’ingiustizia delle relative decisioni;

che il ricorso principale non merita accoglimento;

che, quanto alle censure attinenti alla ritenuta natura non edificatoria del fondo, le stesse sono prive di fondamento;

che la Corte napoletana ha fondato la qualificazione dell’area oggetto di occupazione espropriativa siccome “non edificatoria” sulla base della nota del Sindaco di (OMISSIS) in data 3 gennaio 1992, allegata alla relazione di consulenza tecnica d’ufficio, con la quale si attestava le particelle occupate risultavano comprese nella zona “E” – agricola – in riferimento al piano regolatore generale vigente all’epoca sia dell’occupazione sia della irreversibile trasformazione dell’area;

che – pur a prescindere da consistenti ragioni di inammissibilità delle censure, nella misura in cui il ricorrente, richiamando diversi atti del Comune, dell’Ufficio tecnico erariale e della Provincia dai quali risulterebbe la natura edificatoria dell’area, non specifica se, dove e quando tali atti sono stati prodotti nel presente giudizio, nè riproduce il loro contenuto ai fini del controllo sulla loro decisività – sta di fatto che la qualificazione del piano regolatore generale di un’area siccome agricola, in mancanza di altri elementi contrari, assume rilievo determinante;

che le censure attinenti ai criteri di determinazione dell’indennizzo riconosciuto dai Giudici a quibus sono parimenti infondate;

che, al riguardo, la Corte di Napoli, sul presupposto della natura non edificatoria dell’area de qua, ha applicato il criterio del suo valore venale con riferimento, “in mancanza … di altri dati, al valore agricolo medio”;

che – pur a prescindere dal rilievo che le censure in esame muovono tutte dall’erroneo presupposto della natura edificatoria dell’area de qua, natura esclusa dalla odierna reiezione delle precedenti censure – la decisione impugnata è sostanzialmente coerente con il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, in tema di liquidazione del danno da occupazione espropriativa, ove si tratti di terreno agricolo, debbono essere applicati – indicativamente – i criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (e non del D.L. n. 333 del 1992, art. 5-bis, comma 1-bis, convertito in legge dalla L. n. 359 del 1992, come introdotto dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65), avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo in relazione alle utilizzazioni consentite dallo strumento urbanistico, ma senza considerazione delle potenzialità edificatorie, dovendo per questo ritenersi consentito al proprietario di dimostrare che il valore del terreno eccede l’utilizzazione strettamente agricola, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo (ad es., parcheggio, caccia, sport, agriturismo), purchè non attinente al concetto di edificabilità di fatto (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 14783 del 2007 e 26615 del 2008);

che, infatti, i Giudici a quibus, per determinare il danno da occupazione espropriativa, hanno applicato il criterio del valore venale dell’area e, per calcolarne la misura, hanno fatto riferimento al valore agricolo medio in mancanza di altri dati obiettivi ovvero dedotti e dimostrati dal ricorrente principale;

che, dunque, i Giudici a quibus non hanno applicato direttamente la L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 17 – dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011 -, ma hanno richiamato il “valore agricolo medio” dell’area come mero criterio di riferimento, in mancanza di altri dati, per determinarne il “valore venale”, criterio questo effettivamente applicato e del tutto conforme all’esito della pronuncia del Giudice delle leggi;

che il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale sono parimenti privi di fondamento;

che, quanto al secondo, è sufficiente ribadire che l’obbligazione risarcitoria da occupazione espropriativa costituisce debito di valore e, in quanto tale, suscettibile di rivalutazione (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 9410 del 2006);

che, quanto al terzo, è del pari sufficiente rammentare che anche la più recente giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 17868 del 2009 e 7766 del 2010);

che, nella specie, i Giudici a quibus, compensando per la metà tra le parti le spese del doppio grado in considerazione dell’esito complessivo del giudizio, hanno adeguatamente motivato le ragioni della disposta parziale compensazione, tenuto conto della soccombenza della Provincia di Caserta in primo grado e dell’accoglimento solo parziale dell’appello proposto dalla stessa;

che la reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2011

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