Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18866 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 12/07/2019), n.18866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25106/2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei

Consoli 62 presso lo studio dell’avvocato Enrica Inghilleri e

rappresentata e difesa dall’avvocato Lucia Paolinelli in forza di

procura speciale in calce al ricorso,

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 19/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 30/1/2018 M.M., cittadino del Senegal, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Ancona – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, proveniente dal villaggio di (OMISSIS), provincia di (OMISSIS), in Senegal, di religione (OMISSIS) ed etnia (OMISSIS), aveva raccontato: di essersi trasferito a casa dello zio materno nel 2010 in seguito alla morte dei suoi genitori; di essere però malvisto dalla famiglia dello zio; di essere stato accusato, del tutto ingiustamente, nel 2014, dalla cugina di aver abusato di lei e pertanto picchiato da tutti i familiari, con conseguente ricovero in ospedale; una volta dimesso e rifugiatosi da un amico, di aver appreso dell’accusa di violenza sessuale mossa nei suoi confronti; a fronte dell’impossibilità di difendersi, non potendo pagare un legale, e delle condizioni carcerarie disumane in tutto il Senegal, di aver abbandonato il Paese, arrivando alla fine in Libia ove era rimasto dieci mesi (di cui 8 trascorsi in carcere per arresto arbitrario) e quindi in Italia.

Con decreto del 11/7/2018 il Tribunale di Ancona ha rigettato il ricorso, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso M.M. con atto notificato il 14/8/2018, con il supporto di due articolati motivi.

L’intimata Amministrazione si è costituita con memoria 9/10/2018 al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, diretto contro i p. 4, 5 e 6 del decreto impugnato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento all’elencazione di tutti i riscontri rinvenuti nelle fonti consultate, comune peraltro ad ogni provvedimento redatto dal collegio giudicante, configurante mera clausola di stile priva di reale contenuto motivazionale.

1.1. La prima parte della censura è inammissibile in primo luogo perchè formulata con riferimento all’abrogata formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, anzichè l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: infatti al presente procedimento si applica il testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

In secondo luogo il ricorrente non indica un preciso fatto storico oggetto di omesso esame e si limita a predicare l’irrilevanza motivazionale di affermazioni, neppure identificate e descritte, del provvedimento impugnato per il solo fatto, comunque indimostrato, che esse sarebbero comuni ad altri provvedimenti dello stesso Tribunale.

1.2. La seconda parte della censura è correttamente riferita al nuovo e vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e si riferisce effettivamente a un fatto storico, ossia la permanenza in Libia per 10 mesi nel corso del viaggio migratoria che ha condotto il M. in Italia, ma non ne deduce e tantomeno dimostra la decisività.

Tale carenza appare tanto più evidente a fronte della giurisprudenza di questa Corte in tema di Paesi di transito, secondo cui nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Sez. 1, n. 31676 del 06/12/2018, Rv. 651895 – 01; Sez. 6 – 1, n. 29875 del 20/11/2018, Rv. 651868 – 01; Sez. 6 – 1, n. 2861 del 06/02/2018, Rv. 648276 – 01).

2. Con il secondo motivo, sempre diretto contro i p. 4, 5 e 6 del decreto impugnato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 il ricorrente deduce violazione di legge.

2.1. La prima parte della censura viene rivolta contro i capi (4 e 5) della decisione afferenti al diniego della protezione internazionale, principale e sussidiaria, deducendo violazione dell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi da 1 a 5 e art. 14, dell’art. 8, comma 3 e 11, nonchè difetto di motivazione.

Il Tribunale ha rifiutato la protezione internazionale perchè la vicenda riferita riguardava un problema privato e un solo caso di non rilevante lesività; la protezione sussidiaria era stata invece negata in difetto di un rischio effettivo di grave danno in caso di rientro.

Il ricorrente a causa della sua infima condizione sociale ha temuto la persecuzione congiunta delle istituzioni e dei familiari che lo avevano ingiustamente accusato, scegliendo la fuga piuttosto che l’arresto e il duro regime delle carceri senegalesi, al cui riguardo l’autorevole rapporto 2017/2018 di Amnesty International disegnava una situazione estremamente critica.

Era mancato nel provvedimento impugnato l’autonomo esame dei parametri normativi di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, condotto alla luce del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Difettava inoltre il necessario collegamento fra la vicenda narrata circa la falsa accusa di un reato infamante e le conseguenze subite e la possibilità del giovane orfano privo di istruzione e occupazione di difendersi ad esempio con la nomina di un legale. In tale situazione era sicuramente ravvisabile il rischio di danno grave con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) previo accertamento officioso della situazione al proposito del Paese di origine.

2.2. La censura è fondata perchè il Tribunale di Ancona non si è riferito in modo specifico e pertinente alla vicenda personale del ricorrente, che, tra l’altro, ha omesso di illustrare o, anche solo, di sintetizzare schematicamente nel provvedimento impugnato.

Il Tribunale non ha mostrato di dubitare della credibilità del racconto del M., al cui proposito si è limitato ad argomentare in forma concessiva, a pagina 4, primo paragrafo del provvedimento impugnato (“tali dichiarazioni, anche laddove credibili….”): tale affermazione non si espone alla critica del ricorrente, che si duole della mancanza nel decreto impugnato dell’autonomo esame dei parametri normativi di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente condotto alla luce del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 solo per difetto di interesse, visto che il Tribunale non ha comunque escluso che il racconto del M. fosse credibile.

Tanto premesso, il Tribunale di Ancona non si è confrontato con la specifica vicenda riferita dal richiedente asilo (falsa accusa e imputazione penale di stupro della cugina, mossa da parte della famiglia dello zio e impossibilità di difendersi legalmente per le sue condizioni di isolamento e indigenza) che implicava la necessità di una valutazione da parte del Giudice sia della normativa penale senegalese in tema di stupro, sia della disciplina del diritto di difesa dei non abbienti in Senegal e della sua concreta effettività, sia delle condizioni carcerarie in quel Paese, prospettate come inumane e degradanti.

Circostanze tutte potenzialmente rilevanti nella prospettiva della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2,lett. g) e art. 14, lett. b); è infatti ammissibile alla protezione sussidiaria il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, tra cui las forma della pena o un trattamento inumano o degradante, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese.

A tal proposito il Giudice avrebbe dovuto assumere d’ufficio al riguardo le informazioni aggiornate rilevanti D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 mentre si è limitato a ritenere la vicenda privata e di giustizia comune e ad assumere che il richiedente avrebbe dovuto richiedere la protezione del suo Paese, ignorando lo specifico profilo di rischio personale denunciato dal racconto del richiedente.

2.3. La seconda parte della censura viene rivolta contro il capo 6 della decisione afferenti al diniego della protezione umanitaria, deducendo violazione dell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 nonchè difetto di motivazione.

La protezione umanitaria deve essere riconosciuta in attuazione della piena ampiezza del diritto di asilo costituzionale in tutti i casi in cui i diritti umani siano posti in pericolo in situazioni non standardizzate, a fronte di un’aggressione imprevista e improvvisa, meritevole di protezione attraverso la tutela atipica.

Nella fattispecie le condizioni personali del ricorrente (orfano non scolarizzato, vittima di una grave accusa mossa dalla famiglia, incapace di difendersi) congiuntamente alla generica pericolosità della zona di provenienza meritavano la tutela umanitaria al fine di evitare un rimpatrio che avrebbe esposto il M. a una situazione di estrema difficoltà sociale ed economica.

Il profilo critico resta assorbito per effetto dell’accoglimento della prima parte della censura.

3. Il ricorso deve quindi essere accolto in relazione al secondo motivo, nei sensi, sopra esposti, con la cassazione del provvedimento impugnato e il rinvio al Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE

accoglie il secondo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione; respinto il primo; cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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