Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18863 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/09/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 11/09/2020), n.18863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13882 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore

generale pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

FER S.C.p.A., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine

del controricorso, dagli Avv.ti Puri Paolo e Mula Alberto,

elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio, n. 43, presso lo

studio dei medesimi difensori;

– controricorrente e ricorrente incidentale-

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, 1196/9/2017, depositata in data 28 novembre

2017;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 16 ottobre

2019 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva rigettato l’istanza di rimborso presentata dalla società FER S.C.p.A. dell’accisa versata in conseguenza dell’erogazione di energia elettrica da fonti rinnovabili in favore delle proprie consorziate, a seguito di un mutamento di indirizzo interpretativo dell’Agenzia delle dogane, intervenuto nel 2013, in ordine alla applicabilità del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, per potere fruire dell’esenzione; avverso il diniego di rimborso FER S.C.p.A. aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Padova; avverso la decisione del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che, in via assorbente, sussisteva nella fattispecie la buona fede della contribuente, atteso che il diverso orientamento interpretativo, da parte dell’Agenzia delle dogane, della normativa di riferimento era intervenuto dopo una serie di atti e comportamenti della medesima che avevano ingenerato il legittimo affidamento della correttezza del proprio operato;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura, cui ha resistito FER S.C.p.A. depositando controricorso contenente ricorso incidentale condizionato, illustrato con successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, per avere ritenuto applicabile il principio del legittimo affidamento per esimere il contribuente dal pagamento del tributo, essendo la normativa unicamente applicabile al pagamento di sanzioni e interessi;

1.1. il motivo è fondato;

secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicchè deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009);

è stato altresì precisato che “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicchè, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2” (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002);

il principio in esame trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorchè prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sè e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta” (Cass. S.U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione);

1.2. è, peraltro, vero, come evidenziato dalla controricorrente, che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 comma 2, (relativi all’area della birrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. n. 620 del 12/01/2018; Cass. n. 537 del 14/01/2015; Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002; si veda anche Cass. n. 8197 del 22/04/2015, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni);

ma, come chiarito da questa Corte (Cass., civ., 20 novembre 2013, n. 25966), dire che la L. n. 212 del 2000, art. 10 sia una norma aperta significa unicamente “che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate”;

si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate “indicazioni contenute in atti” dell’Amministrazione ovvero i “fatti (…) conseguenti a ritardi, omissioni od errori” della stessa (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2) o ancora le “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva” (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo;

tali situazioni, in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, dovendo escludersi che rientrino in tali ipotesi quelle in cui l’induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dalla Amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative: dette ipotesi sono già espressamente contemplate dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dalla obbligazione tributaria (cfr. sempre Cass. n. 25966/2013, cit.);

1.3. proprio in considerazione di quanto sopra precisato, il fatto che, secondo quanto evidenziato dalla controricorrente, gli uffici hanno in più occasioni assunto, negli specifici confronti della contribuente ed in esito a valutazioni concrete della sua attività e forma giuridica, determinazioni esplicite, non muterebbe comunque le conclusioni raggiunte, ricadendo anche tale ipotesi nell’ambito della disposizione di cui alla alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, con la conseguenza che la società andrebbe esente dalle sanzioni pecuniarie e dagli interessi di mora ma non potrebbe sottrarsi in ogni caso al pagamento delle imposte;

a tal proposito, va evidenziato che parte controricorrente fonda la sussistenza del proprio legittimo affidamento sulla circostanza che l’Ufficio delle dogane di Foggia, a seguito di istanza di autorizzazione dalla medesima proposta, aveva specificato (con atto prot. N. 2008/A/2725 del 18 marzo 2008) che: alla luce della normativa vigente, innanzi riportata, codesto Consorzio potrà applicare l’esenzione d’accisa all’energia elettrica fornita ai propri Soci consorziati, nei limiti della quantità autoprodotta da fonti rinnovabili (pag. 3, controricorso) e che i successivi atti emessi dalle amministrazioni doganali avevano riconosciuto la sussistenza del diritto alla agevolazione in esame;

non può, tuttavia, ritenersi che gli atti indicati dalla controricorrente abbiano contenuto tale da fondare i presupposti per la sussistenza di un legittimo affidamento della stessa che possa avere incidenza non solo sulla spettanza della sanzione, ma anche del tributo, tenuto conto dei limiti sopra specificati di applicazione del suddetto principio;

il provvedimento in esame, invero, sebbene avesse fornito una interpretazione della disciplina in senso favorevole alla contribuente, aveva, altresì, specificato che questa avrebbe dovuto presentare al medesimo ufficio, nonchè a tutti gli altri uffici delle dogane territorialmente competenti per le province in cui erano insediati i soci consorziati, istanza di attribuzione del codice ditta, evidenziando, in tal modo, la necessità che l’applicazione della interpretazione della normativa in esame avrebbe dovuto essere confermata da tutti gli altri uffici doganali nei quali avveniva la fornitura di energia elettrica in favore dei propri consorziati;

in questo quadro fattuale, non risulta, in primo luogo, che, successivamente, lo stesso ufficio doganale di Foggia aveva rilasciato il codice ditta, dando, quindi, concreta attuazione alla determinazione assunta;

in secondo luogo, va osservato che è la stessa parte controricorrente che segnala che si era adoperata, sulla base delle istruzioni fornite dall’ufficio delle dogane di Foggia, per ottenere l’autorizzazione all’applicazione dell’esenzione da accisa anche agli altri uffici delle dogane territorialmente competenti in relazione alla sede degli altri consorziati, specificando, peraltro solo genericamente, che molti dei quali accoglievano espressamente l’istanza presentata dal consorzio;

si tratta, a ben vedere, di una affermazione non solo generica, in quanto parte controricorrente non specifica nè riproduce espressamente il contenuto dei provvedimenti delle altre amministrazioni che avrebbero riconosciuto il diritto all’esenzione nel caso di cessione dell’energia elettrica in favore dei propri consorziati, ma anche contraria alla tesi della medesima parte, laddove, nel riferire che molti degli uffici avevano accolto l’istanza, segnala, implicitamente, che non tutti gli uffici doganali erano andati di pari avviso con l’impostazione interpretativa fornita dall’Ufficio doganale di Foggia;

tale ultimo profilo incide notevolmente sulla valutazione della sussistenza di una situazione di legittimo affidamento prospettato, poichè, proprio la circostanza che non tutti gli uffici avevano accolto l’istanza, è ostativa alla formazione di una situazione di consolidamento nei confronti della stessa di una legittima aspettativa sulla sussistenza del diritto all’esenzione, non essendo una presa di posizione interpretativa generalizzata presso tutti gli uffici doganali presso cui avveniva la cessione dell’energia elettrica in favore delle consorziate;

nè può ritenersi che la sussistenza del legittimo affidamento potesse trovare concreto fondamento sugli atti cui la contribuente fa riferimento nel controricorso e nella memoria, in particolare: il provvedimento di rilascio del codice ditta da parte dell’ufficio di Brescia, con il quale, nel rilasciare il codice ditta, era stato chiarito che il Consorzio, in qualità di autoproduttore, era tenuto al versamento delle sole addizionali provinciali; il provvedimento dell’ufficio delle dogane di Brescia con il quale, in ordine alla modalità di versamento dell’addizionale provinciale, veniva riconosciuta la qualifica di soggetto autoproduttore; i provvedimenti con cui gli uffici locali dell’Agenzia delle dogane avevano, di volta in volta, determinato l’importo della cauzione e accettato le polizze fideiussorie presentate a garanzia delle addizionali provinciali;

ed invero, si tratta di atti nei quali non è in alcun modo specificato se, ai fini dell’esenzione, l’energia autoprodotta doveva essere autoconsumata ovvero poteva anche essere ceduta ai soci consorziati, questione invero dirimente ai fini della valutazione della sussistenza del legittimo affidamento, secondo quanto sopra precisato;

la norma così interpretata non è incostituzionale, come invece prospettato dalla contribuente, perchè al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa, comunque, da contraltare il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonchè gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte;

nè, infine, sembra possibile dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, tenuto conto che, come evidenziato dalla stessa parte controricorrente, la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento “si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito” (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C-26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia “il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione” (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6);

rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi, e in proposito, la valutazione del giudice del gravame, che ha fatto rientrare la tutela della ricorrente nell’ambito di applicazione dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, è pienamente coerente con il formante giurisprudenziale interno, a sua volta rispettoso dei principi evincibili dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della UE;

ne consegue che, se l’Amministrazione finanziaria non ha fornito una corretta interpretazione del dato normativo, non per questo è possibile escludere il diritto alla riscossione dell’imposta, opportunamente temperato, nel caso di specie, con la mancata applicazione di sanzioni ed interessi;

pertanto, la pronuncia del giudice del gravame, è conforme a diritto, laddove ha escluso, nel caso in esame, l’applicabilità del principio del legittimo affidamento ai fini del pagamento del tributo;

2. con il secondo motivo di ricorso di censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 52, comma 3, lett. b), per avere erroneamente ritenuto che la esenzione dal pagamento dell’accisa potesse trovare applicazione anche nel caso in cui la società consortile cede l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ai propri consorziati, in considerazione del fatto che, pur essendo soggetti giuridici distinti, operano comunque per conto ed interesse dei soci;

2.1. il motivo è fondato;

la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 52, comma 3, lett. b), riconosce il diritto all’esenzione solo ai soggetti autoproduttori di energia elettrica da fonti rinnovabili che la consumano direttamente per sè, mentre diversa è l’ipotesi, quale quella di specie, in cui il soggetto autoproduttore, cioè la società consortile, cede a titolo oneroso l’energia elettrica autoprodotta: in questo caso, invero, il soggetto che autoproduce non coincide con il soggetto che la consuma;

sicchè, l’esenzione deve essere riconosciuta unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (nello stesso senso, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull’energia elettrica, vd. Cass. civ., 9 aprile 2014, n. 8293; Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23529), pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa;

occorre precisare che la giurisprudenza riguardante la traslazione delle agevolazioni Iva spettanti alla società consortile sui singoli consorziati attraverso il meccanismo del c.d. ribaltamento dei costi e dei ricavi (Cass. civ., 4 ottobre 2018, n. 24320; Cass. civ., 9 febbraio 2018, n. 3166; Cass. civ., 26 luglio 2017, n. 18437) segue uno schema differente, ma ciò in quanto, nelle fattispecie considerate, il contratto di appalto stipulato dal committente con la società consortile è direttamente imputabile alle società consorziate, con conseguente neutralità del consorzio, che non esercita attività commerciale in proprio;

diversa è, invece, la fattispecie in esame, relativa al caso dell’autoproduzione, in cui è la stessa società consortile a svolgere, legittimamente (Cass., Sez. U., 14 giugno 2016, n. 12190), attività commerciale in proprio e a cedere il prodotto ai consorziati;

nè può ritenersi corretta la interpretazione del soggetto autoproduttore indicata dalla controricorrente, che si fonda sulla nozione di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2; sul punto, va osservato che questa Corte (Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23529) ha precisato che non può influire sulla regolamentazione della presente fattispecie una definizione contenuta in una legge diretta a scopi diversi da quelli perseguiti dalla normativa tributaria, essendo il D.Lgs. n. 79 del 1999 finalizzato a regolare il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, restando la materia fiscale estranea a tale normativa;

pertanto, la nozione di autoproduttore di cui al citato D.Lgs. n. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52 TUA, comma 3, lett. b), i quali non rientrano nella menzionata definizione;

ad ulteriore supporto di tale argomento valgano le seguenti considerazioni: a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, del precisa che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale; b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la Direttiva n. 96/92/Ce sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, mentre il T.U. Accise, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del T.U. Accise;

alle suddette considerazioni va aggiunto che la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 911, applicabile solo con riferimento all’anno d’imposta 2016 (e, pertanto, non alla presente controversia), ha previsto che “il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’art. 4, n. 8), della L. 6 dicembre 1962, n. 1643, in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”;

la suddetta disposizione richiama pedissequamente solo la prima parte del decreto Bersani, art. 2, comma 2, includendo, pertanto, nell’esenzione, i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, ma non estendendo l’esenzione agli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili;

da ciò deriva, ai fini interpretativi, che la estensione dell’esenzione alle sole società cooperative di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, implica, a contrario, che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d’imposta successivi al 2016;

ciò precisato, non corretta è la tesi difensiva di parte controricorrente secondo cui la qualifica di autoproduttore di cui all’art. 52, T.U. Accise, andrebbe riferita non solo all’ipotesi in cui il consorzio consumi per sè l’energia autoprodotta, ma anche a quella in cui l’energia sia consumati dai propri consorziati;

va, infatti, osservato, differentemente da quanto sostenuto dalla controricorrente, che l’esenzione prevista dall’art. 52 T.U.A., comma 3, lett. b), con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione;

la sentenza impugnata, pertanto, è viziata da violazione di legge per avere ritenuto applicabile, nella fattispecie, la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b);

3. con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per avere ritenuto che la società contribuente non aveva dato prova di produrre energia autonomamente e direttamente, nonostante che si trattasse di questione, oltre che irrilevante, anche estranea al thema decidendum;

4. con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697, c.c., e 115, c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 52, comma 2, lett. b), in quanto era da considerarsi fatto pacifico e non contestato che la contribuente producesse in maniera autonoma e diretta l’energia elettrica da fonti rinnovabili, sicchè sulla stessa non gravava alcun onere di prova in merito;

5. i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono inammissibili per difetto di interesse;

ed invero, gli stessi censurano, sotto diverse prospettive, il passaggio motivazionale della sentenza con cui si è ritenuto che la società contribuente non aveva dato alcuna prova in ordine al fatto che produceva energia elettrica in modo autonomo e diretto;

tuttavia, la circostanza che sono stati accolti i motivi di ricorso principale in ordine al profilo della non corretta applicazione della previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 52, comma 2, lett. b), rende del tutto irrilevanti i motivi di ricorso in esame in quanto il loro eventuale accoglimento non comporterebbe conseguenze diverse sull’esito del giudizio;

6. in conclusione, sono fondati i motivi di ricorso principale, inammissibili per carenza di interesse i motivi di ricorso incidentale, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, e rigetto del ricorso originario, con compensazione delle spese di lite, sussistendo giusti motivi, atteso il recente formante giurisprudenziale sulla questione in esame, relativamente ai giudizi di merito e del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario;

compensa interamente le spese di lite dei gradi di merito e del presente giudizio.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

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