Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1886 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 28/01/2021), n.1886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9323-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MAS SRL IN FALLIMENTO, elettivamente domiciliata in 2020 ROMA,

PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE BERTONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato AMEDEO BASSI;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 72/2013 della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA,

depositata il 16/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. NOVIK ADET TONI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 72/29/13, emessa in data 9 aprile 2013, depositata

il successivo 16 aprile, la ommissione tributaria regionale della Campania (CTR) rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate di Caserta (di seguito, l’Agenzia) nei confronti di Mas Srl (dichiarata fallita, di seguito, la contribuente), confermando la decisione emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Caserta (CTP).

2. La controversia ha ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento per il recupero del credito Iva 2005, emessa in seguito al controllo formale della dichiarazione: si contesta che la contribuente aveva esposto erroneamente un credito di Euro 8754,00, riportato dall’anno precedente, nonostante che questa annualità si fosse chiusa a debito; ad avviso dell’agenzia, la società avrebbe dovuto richiedere il rimborso del credito nel termine di prescrizione;

– per il primo giudice, non avendo la società utilizzato il credito erroneamente esposto, l’agenzia non aveva nulla da recuperare, ma avrebbe dovuto limitarsi a disconoscerlo, stante la previsione della facoltà del contribuente di procedere alla rettifica dei dati erroneamente esposti in dichiarazione.

3. La CTR, nel disattendere i motivi di gravame dell’ufficio, ha ritenuto che, non avendo la società utilizzato il credito Iva, erroneamente esposto in dichiarazione, l’irregolarità posta in essere andava compresa tra le violazioni formali “non incidenti sulla determinazione e nel pagamento dei tributi da sottoporre alla sanzione residuale prevista dalla legge”.

4. L’agenzia ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sulla base di un unico motivo, al quale la contribuente ha replicato con contro ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’agenzia con il suo motivo deduce “violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″. Omesso esame di fatto decisivo”. Si contesta che la CTR non avrebbe considerato che, secondo quanto dedotto dall’ufficio, l’erroneo riporto del credito per il meccanismo dell’Iva doveva essere recuperato e sanzionato perchè, in caso contrario, si sarebbe consolidato in capo alla contribuente e la stessa, nel termine ordinario prescrizionale, avrebbe potuto richiedere il credito spettante, “senza che quest’ultima possa eccepire alcuna valida rimostranza giuridica”;

– aggiunge che, sebbene, come sostenuto dal giudice di appello, sia sempre prevista la facoltà del contribuente di rettificare i dati erroneamente esposti, questi aveva riportato il credito in contestazione anche nell’ultima dichiarazione.

2. Il ricorso è inammissibile. In base all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il “decisum” della sentenza gravata (così ad es. sez. 5 n. 17125 del 2007 e sez. 1 n. 4036 del 2011). In altri termini, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi della citata disposizione (così Cass., sez. 5, n. 21296 del 2016; Sez. 6 – 5, n. 187 del 08/01/2014; Sez. 5, n. 17125 del 03/08/2007; sez. 3, n. 359 del 2005, e altre);

– nella specie, mentre nella sentenza impugnata si legge che “…la società non ha utilizzato il credito IVA erroneamente esposto in dichiarazione”, nel ricorso invece (primo e secondo rigo di pag. 4) si legge che la società “aveva indebitamente portato in detrazione un credito IVA non spettante riferito all’anno 2004”;

– in prosieguo, il ricorso, nel criticare le argomentazioni della sentenza, sembra riconoscere che il credito è stato esposto erroneamente, ma le affermazioni inziali rendono impossibile enucleare le specifiche ragioni portate a fondamento della doglianza, per difetto di specificità;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in Euro 1.500,00 oltre rimborso forfettario 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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