Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1886 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/01/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 28/01/2020), n.1886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 427-2018 proposto da:

G.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA IOVINO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 379/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 16/06/2017 r.g.n. 261/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato STEFANO FIORELLI per delega verbale Avvocato LUCA

IOVINO;

udito l’Avvocato MARIA PASSARELLI per delega verbale Avvocato

ANTONIETTA CORETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 16.6.2017, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di G.R. volta ad ottenere dall’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, il pagamento del TFR maturato alle dipendenze di (OMISSIS) s.r.l.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che, nell’ipotesi di chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo che fosse intervenuta senza previa formazione dello stato passivo, era onere del lavoratore che chiedesse l’intervento del Fondo di garanzia di procurarsi un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro e di esperire preventivamente un qualche tentativo di esecuzione forzata, di talchè, non essendosi l’appellato attivato in tal senso, nessuna pretesa poteva vantare nei riguardi dell’INPS.

Ricorre per la cassazione di tali statuizioni G.R., deducendo un unico motivo di censura. L’INPS ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, in relazione alla L. Fall., art. 102 e art. 118, comma 1, n. 4, per avere la Corte di merito ritenuto che, nell’ipotesi di chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo e senza previa formazione dello stato passivo, fosse suo onere di procurarsi un titolo esecutivo nei confronti del suo datore di lavoro ed esperire infruttuosamente l’esecuzione forzata per poter fondatamente rivendicare l’intervento del Fondo di garanzia: a suo avviso, infatti, dalla natura di prestazione previdenziale propria dell’erogazione a carico del Fondo e dalla modifica apportata alla L. Fall., art. 118, comma 1, n. 4, dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 108, comma 1, lett. c), (che ha reso meramente eventuale la formazione dello stato passivo, prevedendo la chiusura del fallimento “quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, nè i crediti prededucibili e le spese di procedura”) discenderebbe la possibilità di far valere il proprio diritto direttamente nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS, tanto più che l’imminente cancellazione della società dal registro delle imprese (prevista dalla L. Fall., art. 118, comma 2, quale conseguenza della chiusura del fallimento per previsione di insufficiente realizzo) avrebbe reso inutile e inutilmente dispendiosa un’azione promossa nei suoi confronti.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha da tempo posto il principio secondo cui, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore assicurato che pretenda il pagamento del TFR da parte del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS, ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2 ha l’onere di dimostrare che è stata emessa la sentenza dichiarativa del fallimento e che il suo credito è stato ammesso nello stato passivo, ovvero, qualora l’ammissione del credito nello stato passivo sia stata resa impossibile dalla chiusura della procedura per insufficienza dell’attivo intervenuta dopo la proposizione, da parte sua, della domanda di insinuazione, ma prima dell’udienza fissata per l’esame della domanda suddetta, di procedere preventivamente ad esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro tornato in bonis a seguito della chiusura del fallimento, L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, cit. (Cass. nn. 11945 e 13305 del 2007).

I suesposti principi sono stati ribaditi anche nell’ipotesi in cui l’esame della domanda (tardiva) di insinuazione sia stata impedita dalla previa chiusura del fallimento per insufficienza di attivo (Cass. n. 7877 del 2015) e poggiano sull’esame complessivo della disposizione di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2 da cui emerge chiaramente che il legislatore ha ancorato l’intervento del Fondo alla ricorrenza di due distinte ed alternative ipotesi: da un lato, la verifica del credito del lavoratore mediante l’insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 2 ss.); dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il previo esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito, da cui risulti l’insufficienza, totale o parziale, delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro stesso (art. 2, comma 5).

Così ricostruito il sistema, del tutto correttamente la Corte di merito ha ritenuto che la previsione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, dovesse trovare applicazione anche nel caso di specie, in cui il giudice fallimentare, essendo emerso che non poteva essere acquisito attivo alcuno da distribuire ai creditori, ha disposto con decreto la chiusura del fallimento del datore di lavoro dell’odierno ricorrente prima ancora dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo: è sufficiente al riguardo rilevare che, comportando la chiusura del fallimento il ritorno del datore di lavoro in bonis, ben poteva l’odierno ricorrente procurarsi un titolo esecutivo e promuovere la conseguente azione esecutiva nei confronti della società, ovvero, a seguito della sua cancellazione, nei confronti dei soci, i quali avrebbero risposto dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione (così Cass. S.U. n. 6070 del 2013).

Si deve piuttosto aggiungere che, in casi del genere, il previo esperimento di un’azione volta a conseguire un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente, lungi dal costituire un onere inutile e inutilmente dispendioso, siccome paventato da parte ricorrente, costituisce piuttosto un presupposto non solo letteralmente, ma anche logicamente necessario, giacchè, da un punto di vista sistematico, l’accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all’ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di rapporto di lavoro. Di talchè l’ipotesi qui in esame rimane affatto estranea a quelle esaminate da Cass. nn. 8529 del 2012, 11379 del 2008, 9108 del 2007 e 14447 del 2004, pur richiamate nel ricorso per cassazione a sostegno della tesi patrocinata da parte ricorrente, perchè ciò che in quei casi è stato escluso, in dipendenza delle peculiarità dei casi di specie, è la necessità del preventivo esperimento di un’azione esecutiva di volta in volta mobiliare o immobiliare, non anche la necessità che il lavoratore assicurato si munisse di un titolo esecutivo nei confronti del proprio datore di lavoro.

Segue da quanto sopra che nessun dubbio di legittimità costituzionale della disposizione di cui al comma 5 può sorgere rispetto a quella di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 2 giacchè entrambi i casi postulano che il diritto al TFR sia stato positivamente accertato nei confronti del suo legittimo debitore, vale a dire il datore di lavoro: e ciò o mediante la verifica dei crediti disposta nel corso dell’accertamento dello stato passivo fallimentare ovvero attraverso la sua consacrazione in un titolo utilmente eseguibile nei confronti del datore di lavoro stesso.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono inoltre i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 1 5 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2020

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