Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1886 del 25/01/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1886 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: CORTESI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3110/2013 R.G. proposto da
VENDITTI PASQUALE; CAPILLARI ENRICO e CAPILLARI ANGELO
nella qualità di eredi di Capillari Francesco; RICCARDI ANNA nella
qualità di erede di Cennamo Giorgio; CICATIELLO GENNARO e
CICATIELLO ANTONIETTA, nella qualità di eredi di Cicatiello Luigi;
RAGONESE LUCIA, RAGONESE PIERA, RAGONESE VINCENZA e
AMARO ROSA, nella qualità di eredi di Ragonese Salvatore;
ESPOSITO ANTONIO, PAPARO ANNA, ESPOSITO MARIANO ed
ESPOSITO RAFFAELE, nella qualità di eredi di Esposito Ciro;
FINIELLO CIRO; SBRIGLIA CIRO; FINELLO ERASMO, FINIELLO
LUCIA, FINIELLO MARIA e ROSSI FORTUNATO, nella qualità di
eredi di Finiello Ferdinando; PAPARO PASQUALINA, nella qualità di
avente causa da Cautiero Sebastiano; MONTICOLI GENNARO; DI
MARZIO MARIAROSA; BATTAGLIA CONCETTA, nella qualità di
erede di Battaglia Raffaele; CIANO CIRA, nella qualità di erede di
Ciano Armanda; FEDELE MARIA ROSARIA; CARDETTINO MARIA;
(9(;z

Data pubblicazione: 25/01/2018

ACCORSO GAETANO; CIANO CONCETTA e CIANO PATRIZIA, nella
qualità di eredi di Ciano Candeloro; ESPOSITO FILOMENA;
CAPASSO GIORGIO, CAPASSO ERCOLE e SANNINO MARISA, nella
qualità di eredi di Capasso Carmine; CAPASSO ERCOLE, CAPASSO
GIORGIO, SANNINO MARISA e CAPASSO GENOVEFFA, nella qualità
di eredi di Capasso Ercole; SPINA SEBASTIANO; SIMEOLI
CONCETTA; eredi di SANNINO DOMENICO, rappresentati e difesi

via Calcutta n. 45 (studio avv. Alberto D’Auria)
– ricorrenti contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato presso cui è elettivamente domiciliato a Roma
in via dei Portoghesi n. 12
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3894/2011,
depositata in data 21.12.2011, non notificata;
e da
SANNINO CECILIA e SANNINO RITA, nella qualità di eredi di
Sannino Mario; COZZOLINO LORENZO, rappresentati e difesi
dall’Avv. Arcangelo D’AVINO ed elettivamente domiciliati a Roma in
via Calcutta n. 45 (studio avv. Alberto D’Auria)
– ricorrenti contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato presso cui è elettivamente domiciliato a Roma
in via dei Portoghesi n. 12
– con troricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1867/2012,
depositata in data 29.5.2012, non notificata;

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dall’Avv. Arcangelo D’AVINO ed elettivamente domiciliati a Roma in

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22.11.2017 dal
Consigliere dott. Francesco CORTESI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Alessandro PEPE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

la domanda con la quale gli odierni ricorrenti, insieme ad altri,
avevano chiesto che fosse dichiarato in loro favore l’acquisto per
usucapione di varie porzioni del fondo denominato “vasca
demaniale San Sebastiano”, sito fra i Comuni di Cercola e San
Sebastiano al Vesuvio, sul quale avevano realizzato immobili
abitativi.
Nell’atto introduttivo del giudizio si era sostenuto: che il
Demanio dello Stato aveva espropriato tale area fra il 1908 ed il
1909 con la finalità di realizzarvi una vasca di raccolta delle acque
pluviali provenienti dal Vesuvio e dal Monte Somma; che la
successiva eruzione vulcanica del 1944 aveva alterato
geograficamente l’intera zona; che in seguito la pubblica
amministrazione non aveva compiuto alcun atto significativo della
propria volontà di proseguire nell’asservimento dei terreni
all’interesse pubblico; che pertanto, a partire dal 1950, molti privati
avevano occupato parti dell’area, edificandovi le loro abitazioni
dietro regolare concessione e realizzando altresì le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria; che gli stessi privati avevano
poi goduto di tali beni, per oltre un ventennio, in modo pieno ed
esclusivo, pacifico ed ininterrotto.
L’Amministrazione si era costituita/ in persona del Ministro
delle Finanz9chiedendo il rigetto della domanda, attesa la natura
demaniale dei beni e stante il fatto che molti degli attori avevano
avanzato richiesta di disponibilità alla concessione del suolo ex art.
32 I. 47/85, con conseguente mancanza dell’animus possidendi.
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1. Con sentenza del 22.4.2004 il Tribunale di Napoli respinse

2.

La sentenza fu appellata con citazione notificata il

10.11.2004; il Ministero delle Finanze si costituì chiedendo il rigetto
del gravame.
3. Dato luogo ad un supplemento di istruttoria, con sentenza
n. 3894/2011 la Corte d’Appello di Napoli respinse il gravame.
I giudici d’appello, pur ritenendo che i terreni non
appartenessero più al demanio, osservarono: che le richieste di

da taluni degli appellanti, implicavano il riconoscimento dell’altrui
proprietà e, pertanto, l’interruzione del termine per usucapire o la
rinunzia all’usucapione già verificatasi; che lo stesso valeva per i
privati che avevano rivolto all’amministrazione una richiesta di
acquisto delle aree di loro pertinenza; che, con riferimento ad altre
posizioni, mancava la prova del possesso valido ad usucapire,
essendo a tal fine insufficienti gli elementi offerti in giudizio dagli
interessati; che, infine, alcuni degli appellanti avevano nel
frattempo definito in via transattiva il contenzioso con
l’amministrazione, con conseguente cessazione della materia del
contendere.
La causa fu peraltro rimessa in istruttoria per l’acquisizione di
chiarimenti relativi alla posizione di ulteriori istanti; in ordine a
detti ultimi, la corte pronunziò quindi la sentenza n. 1867/2012 di
definitivo rigetto del gravame, rilevando che alcuni di essi avevano
rinunziato alla domanda e che per i restanti era intervenuto un
riconoscimento dell’altrui proprietà o mancava la prova del
possesso.
5. Degli appellati soccombenti, quelli indicati in epigrafe
impugnano le pronunzie della corte d’appello- ciascuno quella di
sua pertinenza- con unico ricorso per cassazione affidato a dodici
motivi; resiste l’amministrazione intimata con controricorso; i
ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE

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dichiarazione di disponibilità alla concessione del suolo, avanzate

1. Con il primo motivo taluni dei ricorrenti deducono violazione
o falsa applicazione degli artt. 32, comma 5, della I. n. 47/1985 e
1350 n. 5 cod. civ., assumendo che la prima delle due sentenze
impugnate avrebbe errato nell’attribuire alle loro richieste di
disponibilità alla concessione del suolo un effetto interruttivo del
termine per usucapire o di rinunzia all’usucapione già maturata.
Sostengono in particolare che un’interpretazione secondo buona

onerosa dei terreni che essi avevano rivolto all’ente proprietario
avrebbe dovuto condurre la corte a ritenerli unicamente
consapevoli dell’altrui proprietà nel momento in cui venivano
costruiti gli edifici; e rilevano, in tal senso, che la consapevolezza
dell’altruità del bene non osta a che si configuri un valido possesso
ad usucapionem, per il quale occorre unicamente l’intenzione di
comportarsi come proprietario della cosa, pur nell’eventuale
consapevolezza di non esserlo.
Osservano, infine, che per le ipotesi di dichiarazione successiva
alla maturazione del possesso ultraventennale non potrebbe in
alcun modo parlarsi di rinunzia all’usucapione, trattandosi di un
atto abdicativo di un diritto reale immobiliare soggetto ad onere di
forma scritta.
Il motivo può essere esaminato congiuntamente con
l’undicesimo, con il quale il solo ricorrente Mario Sannino svolge
identiche considerazioni con riferimento alla seconda pronunzia
impugnata, che direttamente lo riguarda.
1.1. Le censure sono complessivamente infondate.
Il principio che governa la materia, evincibile dal consolidato
orientamento di questa corte, è quello secondo cui il
riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore, quale atto
incompatibile con la volontà di godere il bene

uti dominus,

interrompe il termine utile per l’usucapione (si veda, fra le
numerose altre Cass. 18.9.2014, n. 19706).

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fede della richiesta di disponibilità alla concessione od alla cessione

Al riguardo rileva, in particolare, non il fatto del riconoscimento
in sé considerato, quanto piuttosto la circostanza che dal
medesimo, per le modalità con le quali esso è stato esercitato,
possa emergere un’incompatibilità con la volontà di godere il bene
come proprietario; tale- peraltro- è la ragione per la quale questa
corte ha talora precisato che non è sufficiente un mero atto o fatto
che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad

che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o
per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di
attribuire il diritto reale al suo titolare (si veda ad es. Cass.
28.11.2013, n. 26641).
Di tale principio ha fatto corretta applicazione la sentenza
impugnata, in cui si rileva espressamente che, indipendentemente
dalla finalità di condono, le dichiarazioni dei ricorrenti interessati
contenevano un riconoscimento dell’attuale diritto dominicale
dell’amministrazione, cui deve attribuirsi valore ostativo alla
sussistenza del loro animus rem sibi habendi; e tale rilievo non è
minimamente scalfito dalle censure in esame.
Quanto, poi, alla specifica valenza della richiesta di concessione
in godimento, questa corte ha già avuto modo di precisare che
l’art. 1141, comma 2, cod. civ., nello stabilire che il detentore può
acquistare il possesso mediante un atto di opposizione da lui
compiuto contro il possessore, si riferisce al detentore in senso
proprio o qualificato, giacché l’opposizione al possessore, quale
tecnica d’interversione del possesso, presuppone una detenzione
originaria fondata su un titolo derivante dallo stesso possessore.
Pertanto, ove- come nel caso di specie- chi non sia detentore
qualificato del bene ne riconosca l’altrui proprietà attraverso una
richiesta di concessione in godimento, non può ritenersi sussistente
l’animus possidendi, che fino a quel momento è senz’altro da
escludere (così fra le altre Cass. 28.2.2013, n. 5037).

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altri del diritto da lui esercitato come proprio, essendo necessario

1.2. Infine, con riguardo ai profili di censura che investono la
rinunzia all’usucapione, non vi è ragione di discostarsi dal
consolidato orientamento di questa corte secondo cui “la parte che
rinunci a far valere l’acquisto per usucapione maturatosi per effetto
del possesso ininterrotto del fondo protrattosi per un certo periodo
di tempo non rinuncia ad un diritto di proprietà già acquisito, bensì
solo ad avvalersi della tutela giuridica apprestata dall’ordinamento

– indipendentemente dalla forma, esplicita o tacita, di essa – è
inapplicabile l’art. 1350 n. 5 cod. civ., che impone l’osservanza
della forma scritta, a pena di nullità, per gli atti di rinuncia a diritti
reali, assoluti o limitati, su beni immobili”

(così ad es. Cass.

28.5.1996, n. 4945; Cass. 27.3.1998, n. 3245).
2. Con il secondo motivo, altri ricorrenti (con riferimento alle
rispettive posizioni) denunziano vizio di motivazione in relazione al
giudizio di inidoneità delle prove da loro offerte a dimostrare la
sussistenza di un possesso utile.
I ricorrenti sostengono infatti che la corte d’appello avrebbe
dovuto considerare tali prove (la produzione della licenza edilizia,
del certificato di abitabilità, dei contratti di fornitura, del documento
di intestazione catastale e del certificato di residenza storica,
ovvero le risultanze della consulenza tecnica) non atomisticamente,
bensì in modo sinergico, ciò che avrebbe consentito di ravvisarne la
concordanza ai fini di prova del possesso.
Il motivo è identico al dodicesimo, con il quale il ricorrente
Lorenzo Cozzolino svolge la medesima doglianza in relazione alla
seconda pronunzia, che lo riguarda.
2.1 Anche tali motivi sono infondati.
La corte di merito, infatti, ha preso in considerazione le prove
offerte da ciascuno dei ricorrenti e ne ha illustrata l’inidoneità a
dimostrare il possesso- distinguendo per ogni singolo interessatocon argomentazioni esaustive ed esposte in modo logico.

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per garantire la stabilità dei rapporti giuridici, sicché a tale rinunzia

Non sussiste, dunque, il vizio denunziato; né vi era alcuna
ragione di procedere ad una valutazione cumulativa di singoli dati
probatori, ciascuno dei quali concerneva una diversa posizione
soggettiva.
3. Con il terzo motivo le ricorrenti Mariarosa Di Marzio e Maria
Cardettino deducono violazione o falsa applicazione dell’art. 1146,
comma 2, cod. civ..

loro possesso quello dei rispettivi danti causa in difetto di
corrispondente allegazione da parte loro, poiché nel giudizio
promosso per la dichiarazione di usucapione la successione nel
possesso dev’essere verificata d’ufficio dal giudice.
3.1 n motivo è infondato.
L’art. 1146, comma 2, cod. civ., infatti, abilita il successore ad
unire al proprio possesso quello del suo autore al fine di goderne gli
effetti, ma occorre pur sempre che il possesso del dante causa sia
dedotto onde essere valutato al fine di suffragare la domanda di
usucapione (così ad es. Cass. 5.2.1982, n. 663); non è pertinente,
in proposito, il precedente invocato a sostegno della censura,
relativo al ben diverso caso di rigetto della domanda di usucapione
all’esito della doverosa verifica d’ufficio dell’insussistenza di un
possesso cumulabile.
4. Con il quarto motivo la ricorrente Concetta Simeoli denunzia
violazione dell’art. 1146, comma 1, cod. civ., dolendosi del fatto
che la corte d’appello, accertata la remota residenza del suo dante
causa in uno degli immobili di cui trattasi, non avrebbe poi ritenuto
cumulabile il suo possesso in difetto di prova, con ciò violando il
consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il possesso
del de cujus continua ipso jure in capo all’erede anche ove
quest’ultimo non abbia materialmente appreso il bene.
Detto motivo può essere scrutinato insieme al quinto, con il
quale i ricorrenti Piera Ragonese, Vincenza Ragonese e Rosa
Amaro, nella qualità di eredi di Salvatore Ragonese, denunziano
8

Secondo le ricorrenti la corte avrebbe errato nel non unire al

violazione dell’art. 1142 cod. civ., assumendo che nei loro riguardi
la corte d’appello avrebbe omesso di fare applicazione della
presunzione di possesso intermedio rispetto al comune dante
causa.
4.1 Le censure vanno disattese in quanto non colgono la ratio
decidendi; in entrambi i casi, infatti, la corte d’appello ha prima di
tutto escluso la sussistenza di valida prova del possesso in capo al

completezza, la mancata prova del possesso cumulabile- e tale
decisivo argomento non è stato minimamente inciso dai motivi.
5. Con il sesto ed il settimo motivo, rispettivamente
denunziando vizio di motivazione e violazione dell’art. 1159 cod.
civ., il ricorrente Domenico Sannino lamenta che la corte d’appello,
accertato l’acquisto dell’immobile da parte sua in data 16.11.1971,
ha ritenuto non provato un possesso ultraventennale al momento
dell’introduzione del giudizio di primo grado.
Così statuendo, a dire del ricorrente, la corte d’appello non
avrebbe considerato che l’acquisto del bene ne fa presumere il
possesso dalla relativa data, e che, pertanto, al momento
dell’introduzione del giudizio era già decorso un termine idoneo a
far maturare l’usucapione, tanto ordinaria quanto abbreviata ex
art. 1159 cod. civ..
6.1. I motivi sono infondati.
Invero, l’art. 1143 cod. civ.- secondo cui, quando il possessore
attuale vanti un titolo a fondamento del suo possesso, si presume
che esso abbia posseduto dalla data del titolo- è ispirato alla
considerazione che normalmente l’acquisto della proprietà o di un
diritto reale in base ad un titolo comporta anche l’acquisto del
possesso.
Tale disposizione, pertanto, non trova applicazione per
l’usucapione ventennale, atteso che, in relazione a questo istituto,
la sussistenza del titolo a fondamento del possesso non avrebbe
alcun significato, non avendo il possessore munito di titolo
9

dante causa dei ricorrenti- in ordine ai quali ha poi rilevato, per

concretamente idoneo (e quindi valido) alcuna necessità d’invocare
l’usucapione ai fini della prova del dominio o di altro diritto reale
(cfr. Cass. 30.9.2015 n. 19501).
Erra pertanto il ricorrente quando invoca una presunzione di
possesso operante per una fattispecie di usucapione (quella di cui
all’art. 1159 cod. civ.) distinta da quella ordinaria, oggetto della
sua originaria domanda; del resto, è appena il caso di rilevare che

e i suoi peculiari requisiti, non può ritenersi compresa in quella di
usucapione ordinaria, rispetto alla quale- anzi- presenta profili di
diversità e novità (sul punto si veda, fra le altre, Cass. 9.11.2012,
n. 19517).
7. Con l’ottavo ed il nono motivo la ricorrente Maria Cardettino,
dolendosi del mancato computo del possesso maturato dal proprio
dante causa sui beni in questione, denunzia vizio di motivazione in
relazione alla valutazione che la corte di merito ha dato ai
documenti da lei prodotti al riguardo, nonché violazione dell’art.
1146, comma 1, cod. civ..
7.1 Le censure non hanno pregio.
È infatti inammissibile quella che si fonda su un supposto vizio
di motivazione, in quanto costituisce in realtà una mera richiesta di
rivalutazione delle prove già compiutamente apprezzate dal giudice
di merito; è invece infondata la deduzione di una violazione di
legge, avendo la corte d’appello correttamente escluso la
maturazione di un possesso ultraventennale in mancanza della
relativa prova da parte del dante causa della ricorrente.
8. Con il decimo motivo il ricorrente Sebastiano Spina denunzia
nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ..
Sostiene al riguardo che la corte avrebbe omesso di rilevare
che Veneruso Giuseppina, precedente proprietaria dell’immobile
oggetto di pretesa, era la sua dante causa, con conseguente
possibilità da parte sua di invocare l’accessione al possesso.

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la domanda di usucapione decennale, per la sua particolare natura

8.1 II motivo è anzitutto inammissibile poiché il ricorrente, pur
denunziando una fattispecie di error in procedendo, non individua
quale sia il vizio della pronunzia idonea ad inficiarla, né tantomeno
la disposizione processuale violata od il principio la cui violazione
determina nullità della sentenza.
In ogni caso il motivo è anche infondato poiché non coglie la
ratio decidendi in termini analoghi a quanto già espresso in

prova del momento in cui la dante causa del ricorrente avrebbe
cominciato a possedere, e tale decisivo aspetto non è scalfito dalla
censura.
9. In definitiva, il ricorso è meritevole di rigetto; le spese vanno
conseguentemente poste a carico dei ricorrenti nella misura
liquidata in dispositivo; sussistono i presupposti di cui all’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e pone a carico dei ricorrenti le spese, che
liquida in C 10.000,00 oltre ad C 200,00 per esborsi, spese generali
nella misura del 15% sui compensi ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis,

dello stesso articolo 13.

precedenza; la sentenza d’appello, infatti, evidenzia il difetto di

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