Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18859 del 26/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 26/09/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 26/09/2016), n.18859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 302-2014 proposto da:

B.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

GIACOBBE, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato RENATO

SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 834/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 27/06/2013 R.G.N. 940/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Dott. VENUTI PIETRO;

udito l’Avvocato GIOVANNI GIACOBBE;

udito l’Avvocato SANGERMANO FRANCESCO per delega Avvocato

SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 27 giugno 2013, ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato dalla Banca Nazionale del Lavoro alla dipendente B.G..

Alla medesima era stato contestato, tra l’altro, di avere utilizzato carte di credito intestate a clienti che non ne avevano fatto richiesta e che avevano disconosciuto le firme apposte sui relativi moduli; di aver custodito dette carte, prelevando somme di denaro consegnate in parte ai titolari delle stesse; di essersi recata presso l’abitazione di tre clienti, raccomandando loro di non riferire ai responsabili della Banca l’avvenuta custodia delle carte; di avere acceso un conto corrente in favore di una cliente, sulla base di documenti palesemente contraffatti, attraverso la presentazione di un documento di identità recante una data di rilascio successiva alla data dell’operazione, rilasciando una carta di credito che aveva determinato una esposizione non recuperata; l’apertura di diversi conti correnti con rilascio delle relative carte di credito utilizzate per prelievi che avevano dato luogo ad esposizioni non recuperate; di essersi avvalsa di artifici allo scopo di raggiungere gli obiettivi commerciali a lei assegnati e di ottenere i relativi benefici economici.

La Corte anzidetta ha escluso che fosse stato violato, da parte della Banca, il principio della tempestività del licenziamento; ha ritenuto che i fatti addebitati alla B. fossero stati provati; che essi erano di gravità tale da compromettere definitivamente il vincolo fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro; che la sanzione espulsiva era del tutto proporzionata all’entità dei fatti commessi.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la B., sulla base di sette motivi. Resiste con controricorso la Banca. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto e di contratto collettivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), deduce che il licenziamento intimatole è nullo per avere il datore di lavoro richiamato, a sostegno del recesso, le due lettere di contestazione degli addebiti, senza che vi fosse alcuna prova dei fatti a lei addebitati e senza indicare “i fatti e/o i comportamenti in relazione ai quali le contestazioni siano state provate come sussistenti nel corso del procedimento disciplinare”, così violando il diritto di difesa.

2. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto e di contratto collettivo, sostiene che erroneamente la Corte di merito ha respinto l’eccezione di intempestività del licenziamento. Ed infatti, a fronte di due contestazioni disciplinari rispettivamente del 16 luglio 2004 e del 15 marzo 2005, il licenziamento è stato disposto nel giugno 2005.

Peraltro, aggiunge la ricorrente, la sentenza impugnata si è limitata “alla mera descrizione della cronologia degli eventi, senza esprimere alcuna valutazione”, omettendo di considerare le puntuali osservazioni formulate con il gravame.

3. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, evidenzia che la sentenza impugnata, sempre con riguardo alla non tempestività del licenziamento, è incorsa nel vizio di omessa motivazione, “dovendosi ricondurre l’iter argomentativo della Corte territoriale alla ipotesi di motivazione meramente apparente, tale da configurare la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza”.

4. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto e di contratto collettivo, rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto erroneamente provati i fatti a lei contestati, fornendo una motivazione apparente, senza considerare che l’inadempimento del lavoratore, per giustificare il recesso, anche in base a quanto previsto al contratto collettivo, deve essere di gravità tale da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro.

5. Con il quinto motivo, denunciando le stesse violazioni di cui al precedente motivo, la ricorrente deduce che il trasferimento a Reggio Calabria, durante gli accertanti ispettivi, aveva natura disciplinare, onde il licenziamento, successivamente adottato, costituiva una “duplicazione del provvedimento già emanato”, con conseguente illegittimità “del relativo capo di decisione”. Anche qui la Corte di merito ha fornito una motivazione apparente, integrante la nullità della sentenza.

6. Con il sesto motivo la ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto e di contratto collettivo, sostiene che la Corte territoriale, con riguardo agli accertamenti eseguiti sul suo conto dall’ispettore della Banca, non ha considerato l’atteggiamento di ostilità tenuto da quest’ultimo nei suoi confronti, conseguente al rifiuto, da parte di essa ricorrente, “di avances di natura sessuale”. Anche qui le valutazioni del giudice d’appello sono palesemente illegittime e “riconducibili alla ipotesi di motivazione apparente, determinativa di nullità della sentenza”.

Aggiunge la ricorrente che il giudice di secondo grado ha “acquisito come prove le dichiarazioni inserite nella relazione ispettiva”; che l’ispettore della Banca, nell’eseguire gli accertamenti ha “univocamente manifestato pregiudiziale posizione nei confronti della sig.ra B.”; che la Corte di merito ha erroneamente dato credito alle dichiarazioni dell’ispettore, non valutando correttamente le altre deposizioni testimoniali ed in particolare quelle favorevoli ad essa ricorrente e non ammettendo “precise istanze istruttorie di prova testimoniale che avrebbero potuto determinare una decisione diversa da quella adottata”.

Trascrive la ricorrente i motivi di appello con i quali erano stati contestati i singoli addebiti e rileva che la sentenza è illegittima per non aver tenuto conto delle relative argomentazioni.

7. Con il settimo motivo la ricorrente, denunciando plurime violazioni di disposizioni di legge e di contratto collettivo, censura la sentenza impugnata per avere affermato che essa ricorrente ha posto in essere operazioni in violazione delle più elementari normative interne della Banca, senza procedere alla puntuale e motivata verifica della proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione irrogata.

8. Osserva il Collegio che il secondo e il terzo motivo, relativi alla dedotta tardività del licenziamento ed il cui esame precede per ragioni di priorità logica quello degli altri motivi, non sono fondati.

La Corte di merito ha ricostruito i fatti che hanno dato luogo alle contestazioni disciplinari, rilevando che a seguito delle dichiarazioni di due clienti – le quali avevano affermato di non aver richiesto il rilascio delle carte di credito intestate a loro nome, disconoscendo le firme apposte sui relativi moduli; di averle consegnate alla B. per la loro custodia; di disconoscere le operazioni di prelevamento effettuate con dette carte – venne formulata, in data 15 luglio 2004, la prima contestazione disciplinare e vennero disposti opportuni accertamenti ispettivi circa la posizione della ricorrente, con espressa riserva di ulteriori contestazioni.

Ha aggiunto che tali accertamenti si sono conclusi nel (OMISSIS); che nello stesso mese la Banca procedette a nuova contestazione, concedendo alla ricorrente un nuovo termine a difesa; che nel (OMISSIS), ritenute infondate le giustificazioni fornite dalla ricorrente, intimò il licenziamento.

Così essendo, i motivi in esame devono essere respinti, trovando giustificazione il lasso di tempo intercorso tra la prima contestazione disciplinare e il licenziamento nella necessità di eseguire lunghi e complessi accertamenti nei confronti della posizione della B., tenuto conto delle plurime irregolarità a lei addebitate.

Trattasi di motivazione che, lungi dall’essere apparente, dà sufficientemente conto delle ragioni che hanno indotto la Corte a ritenere priva di fondamento l’eccezione di tardività del licenziamento.

9. Anche il primo motivo è infondato.

Il licenziamento della ricorrente, come risulta dalla relativa lettera trascritta nel ricorso, è stato intimato dalla Banca “per giusta causa ai sensi del combinato disposto dell’art. 36, lett. e) e art. 61, lett. d) del CCNL dell’11 luglio 1999, rinnovato con accordo del (OMISSIS)”, perchè i fatti alla medesima contestati in precedenza erano di gravità tale da far venir meno l’elemento fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro.

Non era necessario che tali fatti fossero nuovamente specificati nella lettera anzidetta, avendo la Banca fatto esplicito riferimento “alle contestazioni rivoltele con lettere in data 1 luglio 2004 e 7 marzo 2005 ed alle sue risposte del 21 luglio 2004, 20 settembre 2004 e 19 marzio 2005”, senza con ciò violare in alcun modo il diritto di difesa della ricorrente, peraltro ampiamente da lei esercitato.

10. Parimenti infondato è il quinto motivo, con il quale si deduce che il licenziamento è “una duplicazione del provvedimento già emanato”, costituito dal trasferimento della ricorrente a Reggio Calabria.

Trattasi, quest’ultimo, di un provvedimento ben distinto dal recesso, adottato dalla Banca, come già spiegato dalla Corte di merito, in via non definitiva, resosi necessario al fine di “evitare inquinamenti delle prove” e di consentire agli organi ispettivi di effettuare ulteriori accertamenti in ordine alla posizione della ricorrente a seguito delle dichiarazioni rese dai clienti della Banca.

11. Il quarto e il sesto motivo sono inammissibili.

Pur denunciando violazione di norme di diritto e di contratto collettivo, in realtà le censure investono il merito della causa e più precisamente la valutazione delle dichiarazioni dei testi e dei fatti di causa operata dalla Corte di merito nonchè la motivazione della sentenza impugnata, a più riprese definita dalla ricorrente come “apparente”.

Tale ultima affermazione è del tutto priva di fondamento, avendo la Corte di merito dato ampiamente conto delle ragioni che sorreggono la decisione.

Deve al riguardo ricordarsi che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (Sent. n. 8053/14), la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 Prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v., in conformità, Cass. n. 12928/14, nonchè Cass. n. 16330/14, che ha pure precisato che deve escludersi la sindacabilità in sede di legittimità della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di motivazione).

Inoltre, con la sentenza sopra citata, le Sezioni Unite hanno evidenziato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sopra riformulato, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

12. Infondato è infine il settimo motivo attinente al requisito della proporzionalità del licenziamento, avendo la Corte territoriale dato sufficientemente conto della sussistenza di tale requisito, rilevando – sulla premessa che la gravità dei fatti addebitati al lavoratore deve essere valutata in relazione alla loro portata oggettiva e soggettiva, alle circostanze nelle quali sono stati commessi, alla natura e qualità del singolo rapporto, all’oggetto delle mansioni e al grado di affidamento che queste richiedono – che nella specie i fatti addebitati alla ricorrente risultavano provati e che avevano fatto venir meno irrimediabilmente il vincolo fiduciario che sta alla base del rapporto, trattandosi di “un licenziamento intimato ad un funzionario di banca, il quale ha posto in essere operazioni in violazione delle più elementari normative interne della banca e rendendosi del tutto inaffidabile avendo comportato, la sua reiterata condotta, la lesione dell’immagine della banca verso i clienti, e costituendo altresì fonte di pericolo e di rischio per la stessa attività creditizia”.

13. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ricorrono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2016

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