Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18858 del 15/09/2011

Cassazione civile sez. I, 15/09/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 15/09/2011), n.18858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28192-2005 proposto da:

A.I. (c.f. (OMISSIS)), A.L. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA TUSCOLANA

1390, presso l’avvocato RUGGIERO GIAMPAOLO, che le rappresenta e

difende, giusta procura speciale per Notaio L. GISONNA di RENDE –

Rep. n. 293571 del 3.11.2005;

– ricorrenti –

contro

A.F., COMUNE DI COSENZA, AI.IP.;

– intimati –

sul ricorso 30572-2005 proposto da:

COMUNE DI COSENZA (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PROSPERO ALPINO 76,

presso l’avvocato PRESTA TONINO, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROSSELLI AGOSTINO, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

A.I., AI.IP., A.L., A.

F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 485/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

preliminarmente si procede alla riunione dei ricorsi;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato GIAMPAOLO RUGGIERO che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale ed il rigetto dell’incidentale.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con citazione del 18 novembre 1988, I., L., Ip. e A.F. ed R.E. convennero il Comune di Cosenza dinanzi al Tribunale ordinario di Cosenza, esponendo che: a) il sindaco del Comune di Cosenza, con Decreto n. 21 del 24 ottobre 1978, aveva disposto l’occupazione temporanea e d’urgenza di un’area di loro proprietà, per la realizzazione di una strada e di un parcheggio lungo il torrente (OMISSIS); b) nel 1983, essi avevano stipulato con il Comune una convenzione, con la quale si prevedeva la cessione bonaria dell’area esproprianda verso il pagamento dell’indennità provvisoria, salvo conguaglio; c) il Comune, nonostante numerose diffide, non aveva provveduto al pagamento dell’indennità provvisoria; d) l’opera pubblica progettata era stata realizzata in data 2 ottobre 1981, senza che, alla scadenza dell’occupazione legittima, fosse stato emanato il decreto di esproprio;

che, tanto esposto, gli attori chiesero che il Tribunale adito, previa risoluzione della predetta convenzione del 1983 per inadempimento del Comune, condannasse quest’ultimo al risarcimento del danno da occupazione espropriativa oltre rivalutazione ed interessi, nonchè al pagamento dell’indennità per occupazione:

legittima;

che, costituitosi, il Comune di Cosenza eccepì preliminarmente la prescrizione del diritto fatto valere per essere decorso, alla data della notificazione dell’atto introduttivo, oltre un quinquennio dalla data della irreversibile trasformazione dell’area occupata – e, nel merito, contestò la misura dell’indennizzo richiesto, per non essere l’area occupata destinata all’edificazione;

che il Tribunale adito, con la sentenza n. 1549/99 del 22 novembre 1999 – respinta l’eccezione di prescrizione e qualificata la fattispecie come occupazione espropriativa – condannò il Comune convenuto al pagamento della somma di L. 311.459.000, comprensiva sia del risarcimento del danno sia dell’indennità per l’occupazione legittima, oltre rivalutazione ed interessi dal 1992 alla data della sentenza;

che, a seguito di appello del Comune di Cosenza – il quale sosteneva che alla fattispecie si applicasse il D.L. n. 333 del 1992, art. 5- bis cui resistettero A.I., L., Ip. e F., la Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 485/2004 del 27 settembre 2004, accolse parzialmente l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, ridusse ad Euro 2.339,26 la somma dovuta dal Comune di Cosenza agli appellati;

che, in particolare e per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte: a) quanto all’eccepita prescrizione del diritto al risarcimento del danno fatto valere dagli appellati A. – premesso che, nella specie, l’irreversibile trasformazione dell’area occupata è avvenuta, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, in data 2 ottobre 1981 e che l’atto introduttivo del giudizio è stato notificato in data 18 novembre 1988 -, ha respinto il relativo motivo d’appello, affermando che il termine quinquennale di prescrizione è stato validamente interrotto sia dalla stipulazione della predetta convenzione del 1983, con la quale era stata pattuita la cessione volontaria dell’area occupata verso corrispettivo, sia dalla richiesta di pagamento formulata dagli A. con nota del 22 giugno 1987; b) quanto ai diritti al risarcimento del danno ed all’indennità per occupazione legittima fatti valere – dopo aver affermato che l’area occupata deve essere qualificata come agricola, conformemente a quanto accertato e valutato dal consulente tecnico d’ufficio senza alcuna contestazione da parte degli appellati -, ha stabilito che alla fattispecie si applica il D.L. n. 333 del 1992, cit. art. 5-bis ed ha liquidato, in favore degli stessi appellati, la somma di Euro 2.146,65 a titolo di risarcimento del danno e quella di Euro 192,61 a titolo di indennità per l’occupazione legittima;

che avverso tale sentenza I. e A.L. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria;

che resiste, con controricorso, il Comune di Cosenza, il quale ha anche proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.

Considerato che, preliminarmente, il ricorso principale (n. 28192 del 2005) e quello incidentale (n. 30572 del 2005), in quanto proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che, sempre in via preliminare, il Comune di Cosenza eccepisce l’inammissibilità del ricorso principale sul rilievo che esso è stato “scorrettamente” notificato dalle ricorrenti principali ai litisconsorti necessari Ip. e A.F. nel domicilio eletto in Cosenza, Piazza L. Fera n. 50, presso lo studio del loro difensore, Avv. Giovanni Cuozzo, anzichè nel loro domicilio legale presso la cancelleria della Corte d’Appello di Catanzaro, ed osserva al riguardo che detto difensore, avendo esercitato il proprio ufficio dinanzi alla Corte di Catanzaro, cioè extra districtum, avrebbe dovuto eleggere domicilio in Catanzaro – come stabilito dal R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, comma 1, sicchè, in mancanza di tale elezione di domicilio, questo doveva intendersi eletto presso la cancelleria della stessa Corte di Catanzaro (dello stesso art. 82, comma 2), con la conseguenza che la notificazione del ricorso per cassazione proposto dalle ricorrenti principali nei confronti di Ip. e di A.F. avrebbe dovuto essere eseguita presso detta cancelleria della Corte di Catanzaro e non nel domicilio eletto presso il difensore, con l’ulteriore conseguenza della inammissibilità del ricorso principale “per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari”;

che tale eccezione non è fondata;

che, infatti, secondo consolidato orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio -, il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, comma 2, stabilendo che se il procuratore che esercita il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale è assegnato non ha eletto domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria procedente il domicilio si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria, comporta che tutte le notificazioni degli atti del processo, ivi compresa la sentenza conclusiva dello stesso, possono essere eseguite presso la cancelleria di detto giudice; tuttavia, la suddetta disposizione, essendo dettata al solo fine di esonerare la parte sulla quale incombe la notificazione dai maggiori oneri connessi all’esecuzione della stessa fuori del circondario, non implica alcuna nullità della notificazione eseguita nel domicilio eletto dalla controparte presso lo studio del difensore esercente fuori del circondario (ma nel medesimo distretto), giacchè in tal caso la parte interessata alla notificazione adempie in maniera ancor più diligente gli obblighi che le incombono ai fini della ritualità della notifica stessa, che in siffatta forma vale ancor più a far raggiungere all’atto lo scopo previsto dalla legge (cfr., ex plurimis le sentenze nn. 12064 del 1995, 1700 del 2000, 9225 e 17342 del 2005);

che, con l’unico motivo, il ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata – nella parte in cui ha respinto l’eccezione di prescrizione -, sostenendo che i due atti interruttivi della prescrizione richiamati dalla Corte di Catanzaro non sono idonei a tal fine: non la convenzione di cessione volontaria del 1983, in quanto del tutto inefficace perchè sottoscritta “da organo incompetente, non autorizzato, nelle forme di legge, alla stipulazione di contratti comportanti impegni economici per l’Ente”, e neppure alla lettera del 1987, in quanto a tale data il periodo di prescrizione quinquennale era già decorso;

che tale motivo, da esaminare con priorità avuto riguardo alla natura preliminare della questione posta, è privo di fondamento;

che infatti – a prescindere da consistenti profili di inammissibilità, laddove il ricorrente incidentale deduce una ragione di inefficacia della convenzione del 1983, per incompetenza dell’organo sottoscrittore della stessa convenzione, del tutto nuova – la critica contrasta con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, nelle espropriazioni per pubblica utilità, quali che siano le modalità e gli istituti attraverso cui l’Amministrazione espropriante pervenga all’acquisizione dell’immobile privato – autoritativamente mediante decreto di esproprio, contrattualmente mediante cessione volontaria, ovvero in modo anomalo attraverso la sua irreversibile trasformazione – l’obbligo di pagare un corrispettivo correlato al valore venale del bene deriva direttamente dall’art. 42 Cost., comma 3, con la conseguenza che, allorquando il procedimento ablativo si sia di fatto esaurito mediante occupazione espropriativa ed all’obbligazione dell’espropriante di corrispondere l’indennità di espropriazione, ovvero il prezzo della convenuta cessione volontaria, subentri quella del risarcimento del danno corrispondente all’intero valore venale dell’immobile ablato, è sufficiente ad interrompere la prescrizione del credito risarcitorio derivante dalla perdita del diritto dominicale, ai sensi dell’art. 2943 cod. civ., che il proprietario faccia comunque valere il proprio diritto al ristoro patrimoniale dovutogli in conseguenza della vicenda ablativa, e che il relativo atto contenga l’esplicitazione di una pretesa, vale a dire un’intimazione o richiesta scritta di pagamento del corrispettivo collegata con la suddetta vicenda, pur se impropriamente denominata (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 3700 del 2008, proprio in una fattispecie nella quale è stata riconosciuta efficacia interruttiva alla richiesta, avanzata dei proprietari nel corso di occupazione divenuta illegittima per mancata emissione del decreto di espropriazione nei termini di legge, di versamento del prezzo di una progettata cessione volontaria del fondo e dell’indennità di occupazione anche se non accompagnate dalla formulazione di un’esplicita richiesta del quantum risarcitorio corrispondente all’occupazione acquisitiva);

che nella specie, pertanto – come correttamente affermato dalla Corte di Catanzaro -, hanno avuto efficacia interruttiva della eccepita prescrizione sia la convenzione del 1983, con la quale era stata pattuita la cessione bonaria dell’area esproprianda verso il pagamento dell’indennità provvisoria, salvo conguaglio -sia la richiesta di pagamento del 22 giugno 1987;

che, con il primo motivo (con cui deducono: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 Violazione e falsa applicazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis convertito in L. n. 359 del 1992, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”), le ricorrenti principali criticano la sentenza impugnata, sostenendo che: a) nella specie non è applicabile il D.L. n. 333 del 1992, art. 5-bis in quanto la fattispecie è stata erroneamente qualificata dai Giudici dell’appello come occupazione “appropriativa” anzichè “usurpativa”, con conseguente applicabilità di diversi, più favorevoli criteri di determinazione del danno, ciò nonostante la rituale relativa deduzione in sede di comparsa di costituzione in appello; b) il risarcimento del danno è stato erroneamente calcolato sulla natura agricola dell’area, senza tener conto che tale motivo è inammissibile;

che infatti, quanto alla questione del carattere espropriativo ovvero usurpativo dell’occupazione de qua, il motivo è inammissibile, sia perchè l’atto introduttivo del giudizio descrive una fattispecie certamente inquadrabile nell’occupazione espropriativa, sia perchè il Tribunale di Cosenza ha qualificato come tale la fattispecie dedotta in giudizio, senza che sul punto vi sia stata specifica impugnazione (nella comparsa di costituzione e risposta in appello le odierne ricorrenti principali fanno soltanto un cenno alla mancanza di termini nella dichiarazione di pubblica utilità, che peraltro non riproducono integralmente), sia infine perchè, la diversità dei due tipi di illecito comporta comunque diversità di domande e, conseguentemente, determina – ove si sia agito per il risarcimento del danno da occupazione appropriativa, come nella specie -la preclusione in appello della domanda risarcitoria da occupazione usurpativa e, in ogni caso, la novità della questione riproposta in sede di legittimità;

che poi, quanto alla questione della natura dell’area irreversibilmente trasformata, il motivo è inammissibile, perchè le ricorrenti principali – a fronte delle puntuali affermazioni della Corte di Catanzaro circa la natura agricola dell’area (condivise valutazioni del consulente tecnico d’ufficio nominato in appello;

mancanza di prova, da parte degli appellati, in ordine alla sussistenza di elementi tali da far ritenere l’area suscettibile di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria;

incomparabilità della fattispecie con altra precedente giudicata dal Tribunale di Cosenza) – si limitano a contrapporre a tali affermazioni esclusivamente differenti osservazioni dello stesso consulente tecnico d’ufficio denunciandone la contraddittorietà, senza formulare alcuna censura specifica sulle altre ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata;

che, con il secondo motivo (con cui deducono: “Omessa pronuncia, violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè degli artt. 1218, 1223, 1224, 1226 e 2056 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”), le ricorrenti principali criticano ancora la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello non hanno provveduto sulla domanda, ritualmente formulata fin dall’atto introduttivo del giudizio, di condanna alla rivalutazione monetaria ed alla corresponsione degli interessi sulle minori somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno e di indennità per l’occupazione legittima;

che tale motivo è privo di fondamento;

che infatti – posto che il dispositivo della sentenza impugnata, nella parte che rileva, recita testualmente: “accoglie parzialmente l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, riduce a Euro 2.339,26 la somma dovuta dal Comune di Cosenza agli appellati”, e che nella motivazione della stessa sentenza viene specificato che tale complessiva somma è comprensiva “di Euro 2.14 6,65 a titolo di risarcimento del danno e … di Euro 192,61 a titolo di occupazione temporanea legittima” – è del tutto evidente che tale decisione deve essere integrata con il dispositivo della sentenza di primo grado, che ha riconosciuto – a far data dal 1992 – sia la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (debito di valore), sia gli interessi sulla somma dovuta a titolo di indennità per l’occupazione temporanea legittima (debito di valuta);

che, vertendosi in caso di soccombenza reciproca, si giustifica la compensazione integrale delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella CAMERA di consiglio della Prima Sezione Civile, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2011

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