Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18856 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/07/2017, (ud. 12/01/2017, dep.28/07/2017),  n. 18856

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11773/2016 proposto da:

COMUNE DI TERLIZZI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA VESTRICIO SPURINNA 105, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRA GALLINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNA DE LEO giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.N.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 661/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI del

22/04/2016, depositata il 27/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27/4/2015 la Corte d’Appello di Bari, rigettato quello incidentale del Comune di Terlizzi, in accoglimento del gravame in via principale interposto dal sig. D.N.D. e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Trani n. 87 del 2010, ha condannato il primo al pagamento di somma in favore di quest’ultimo a titolo di risarcimento dei danni subiti dalle strutture murarie del locale interrato di sua proprietà adibito ad autorimessa e deposito (nonchè dai mobili ivi allocati), sito in via (OMISSIS) invaso da acqua mista a fango in conseguenza dell’allagamento delle strade dovuto al temporale del 30 luglio 2002.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Comune di Terlizzi propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2051 e 1227 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè dell’art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito (diversamente dal giudice di prime cure) abbia erroneamente escluso la ricorrenza nel caso del caso fortuito, laddove nel caso non si era trattato “semplicemente” di “una pioggia persistente… la cui intensità e durata sia soltanto fuoriuscita dai normali canoni meteorologici” bensì di “un fenomeno brevissimo ma di inaudita intensità, certamente imprevedibile ed incontrollabile (una cosiddetta “bomba d’acqua” piovuta dal cielo, con effetti decisamente devastanti)”. Lamenta che la corte di merito ha disatteso “le opinioni del CTU, laddove lo stesso evidenziava la possibilità che le modifiche urbanistiche avvenute nella zona ove si verificarono i danni e le condizioni di scarsa manutenzione della rete di fogna bianca avessero semplicemente concorso nella produzione dei danni subiti dall’attore”, ipotizzando “un concorso di colpa nella misura del 50%”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto di citazione notificato il 12 marzo 2003″, alla propria comparsa di costituzione e risposta, alla CTU, all’atto di appello) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Quanto al merito, atteso che come questa Corte ha già avuto modo di affermare custodi sono tutti i soggetti – pubblici o privati – che hanno il possesso o la detenzione (legittima o anche abusiva: v. Cass., 3 giugno 1976, n. 1992) della cosa (v., Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 20/10/2005, n. 20317), va posto in rilieco che custodi sono certamente i proprietari, in quanto tali gravati da obblighi di manutenzione e controllo della cosa custodita.

Poichè ex art. 14 C.d.S., gli enti proprietari delle strade (e delle autostrade) sono tenuti a provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonchè delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta; e considerato che a loro carico (così come dei relativi concessionari) è senz’altro configurabile la responsabilità per cosa in custodia disciplinata dall’art. 2051 c.c., in ragione del particolare rapporto con la cosa che ai medesimi deriva dalla disponibilità e dai poteri di effettivo controllo sulla medesima (cfr. Cass., 19/11/2009, n. 24419; Cass., 29/3/2007, n. 7763. E già Cass., 13/1/2003, n. 298), va sottolineato che giusto, principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in caso di sinistro dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente relativa manutenzione il proprietario o il custode (tale essendo anche il possessore, il detentore e il concessionario) risponde ex art. 2051 c.c., salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico si liberi dando la prova del fortuito.

In altri termini, il danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia, o di sue pertinenze, invocando la responsabilità del custode è tenuto, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651).

Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacchè la prova del danno è di per sè indice della sussistenza di un risultato “anomalo”, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651).

Facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli art. 2043 e 2697 c.c., l’art. 2051 c.c., integra invero un’ipotesi di responsabilità caratterizzata da un criterio di inversione dell’onere della prova, imponendo al custode, presunto responsabile, di dare eventualmente la prova liberatoria del fortuito – c.d. responsabilità aggravata- (v., da ultimo, Cass., 27/6/2016, n. 13222; Cass., 9/6/2016, n. 11802; Cass., 24/3/2016, n. 5877).

Il custode è cioè tenuto, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce cui fanno riscontro corrispondenti obblighi di vigilanza, controllo e diligenza (in base ai quali è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi, con lo sforzo adeguato alla natura e alla funzione della cosa e alle circostanze del caso concreto) nonchè in ossequio al principio di c.d. vicinanza alla prova, a dimostrare che il danno si è verificato in modo non prevedibile nè superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.

Deve cioè dimostrare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative (nel caso – come detto – art. 14 C.d.S.), e già del principio generale del neminem leadere (v. Cass., 20/2/2006, n. 3651).

Siffatta inversione dell’onere probatorio incide indubbiamente sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato e aggravando quella del danneggiante, sul quale grava anche il rischio del fatto ignoto (v. Cass., 10/10/2008, n. 25029; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 20/2/2006, n. 3651. E già Cass., 14/3/1983, n. 1897).

Atteso che il custode presunto responsabile può se del caso, in presenza di condotta che valga ad integrare la fattispecie ex art. 1227 c.c., comma 1, dedurre e provare il concorso di colpa del danneggiato, senz’altro configurabile anche nei casi di responsabilità presunta ex art. 2051 c.c., del custode (v. Cass., 22/3/2011, n. 6529; Cass., 8/8/2007, n. 17377; Cass., 20/2/2006, n. 3651), ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi dal custode per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa.

Solamente in quest’ultima ipotesi può invero configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che l’ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi (v. Cass., 24/2/2011, n. 4495. V. altresì Cass., 12/4/2013, n. 8935; Cass., 12/3/2013, n. 6101; Cass., 18/10/2011, n. 21508; Cass., 6/6/2008, n. 15042; Cass., 20/2/2006, n. 3651).

Con particolare riferimento ai danni cagionati da precipitazioni atmosferiche, si è da questa Corte invero esclusa l’ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore invocabile dal custode ad esonero della propria responsabilità in presenza di fenomeni meteorologici anche di particolare forza e intensità, protrattisi per tempo molto lungo e con modalità tali da uscire fuori dai canoni normali, allorquando il danno trovi origine nell’insufficienza delle adottate misure volte ad evitarne l’accadimento, e in particolare del sistema di deflusso delle acque meteoriche (v. Cass., 17/12/2014, n. 26545).

Nel sottolinearsi come “ogni riflessione, declinata in termini di attualità, sulla prevedibilità maggiore o minore di una pioggia a carattere alluvionale” imponga “oggi, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano il nostro Paese, criteri di accertamento improntati ad un maggior rigore, poichè è chiaro che non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, ormai, tutt’altro che imprevedibili” (in tali termini v. Cass., 24/3/2016, n. 5877), si è da questa Corte al riguardo precisato che l’eccezionalità e imprevedibilità delle precipitazioni atmosferiche possono configurare caso fortuito o forza maggiore idonei ad escludere la responsabilità del custode per il danno verificatosi solo quando costituiscano causa sopravvenuta autonomamente sufficiente a determinare l’evento (v. Cass., 24/9/2015, n. 18877; Cass., 9/3/2010, n. 5658; Cass., 22/5/1998, n. 5133; Cass., 11/5/1991, n. 5267; nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5877), nonostante la più scrupolosa manutenzione e pulizia da parte del medesimo dei sistemi di smaltimento delle acque piovane (v. Cass., 9/3/2010, n. 5658).

Un temporale di particolare forza ed intensità, protrattosi nel tempo e con modalità tali da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia, si è affermato poter integrare il fortuito (o la forza maggiore) laddove non vi siano condotte idonee a configurare una corresponsabilità del soggetto che invoca l’esimente (v. Cass., 24/3/2016, n. 5877).

In altri termini, che il custode non sia in colpa.

Quest’ultimo è pertanto tenuto a dimostrare di aver mantenuto la condotta diligente nel caso concreto dovuta (con particolare riferimento alla manutenzione e alla pulizia delle strade), e che le piogge sono state talmente intense che gli allagamenti si sono ciononostante, e nella stessa misura, verificati (v. Cass., 9/3/2010, n. 5658).

Orbene, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione dei suindicati principi.

E’ rimasto nel caso accertato che vi è stato l’allagamento delle strade (tra cui via (OMISSIS)) della zona ove è ubicato il locale interrato dell’odierno controricorrente adibito ad autorimessa privata e deposito, e che l’acqua mista a fango ha invaso quest’ultimo fino all’altezza di m. 1,50 ivi ristagnando fino a quando è stata (il giorno successivo) rimossa di Vigili del Fuoco, conseguentemente danneggiando le strutture murarie di detto locale e i mobili ivi allocati.

In base all’operata valutazione (in termini diversi dal giudice di prime cure) delle emergenze probatorie – e in particolare della C.T.U. – nonchè preso atto che “le conseguenze dannose” sono state nel caso “amplificate” da “una serie di concause” (costituite: “a) dai pregressi interventi di modifica del territorio, posti in essere dal Comune (vicino svincolo stradale con sottopasso) dalle Ferrovie (sostituzione del muro a secco drenante che delimitava i binari con muro di calcestruzzo) e da privati (edifici e piazzali), interventi che avevano modificato quote e pendenze e che al tempo stesso avevano drasticamente ridotto la superficie a terreno vegetale; b) dalla insufficienza della rete di fognatura bianca a servizio della zona, circostanza confermata dalla esecuzione da parte del Comune, proprio a seguito dell’evento di opere di adeguamento; c) dal difetto di manutenzione delle caditoie e delle griglie della rete,… risultate del tutto intasate, circostanza atta ad ostacolare il naturale smaltimento delle acque e a favorirne l’accumulo”), la corte di merito ha al riguardo osservato che “ove il Comune avesse assolto agli obblighi sullo stesso gravanti come custode, l’evento dannoso, malgrado la eccezionale violenza delle precipitazioni del 30 luglio 2002, non si sarebbe verificato o quanto meno avrebbe assunto consistenza ampiamente inferiore”.

A fronte della censura dell’odierno ricorrente secondo cui il “fenomeno atmosferico verificatosi” avrebbe dovuto ritenersi integrare il fortuito in ragione della mera “natura particolarmente violenta ed eccezionale,… in considerazione della sua totale imprevedibilità”, tale giudice è quindi pervenuto a correttamente concludere che “nel caso concreto… la eccezionalità delle piogge non può integrare il caso fortuito, non essendosi risolta in un fattore causale di efficacia esclusiva tale da interrompere la operatività, nel processo di produzione dell’evento, delle cause preesistenti imputabili al Comune”.

Non può infine sottacersi che, non accolto da questa Corte il c.d. criterio equitativo proporzionale del nesso di causalità (v. Cass., 21/7/2011, n. 15991; Cass., 29/2/2016, n. 2893), con conseguente esclusione che possa trovare correlazione in termini di automatica percentuale corrispondenza ad “operazioni di apporzionamento/frazionamento” del nesso di causalità (v. Cass., 21/7/2011, n. 15991), ad una limitazione dell’ammontare di risarcimento gravante sul custode responsabile può invero se del caso pervenirsi esclusivamente in ragione della graduazione della colpa (e nella considerazione dell’entità delle conseguenze che dalla concorrente condotta colposa derivano) ex art. 1227 c.c., comma 1 (v. Cass., 29/2/2016, n. 2893; Cass., 8/5/2008, n. 11227; Cass., 20/7/2002, n. 10641).

A tale stregua, del tutto inammissibile si palesa allora l’ulteriore doglianza del ricorrente secondo cui, sussistendo nella specie “tutt’al più, solo una ridotta incidenza causale della condotta del custode nella produzione dell’evento che fu determinato principalmente dalla forza devastante della natura e, forse, solo aggravato da carenze non imputabili al custode”, i giudici del merito “avrebbero tutt’al più potuto condannare l’ente pubblico odierno ricorrente solo al risarcimento dei danni in proporzione alla percentuale di colpa riconosciuta a carico di tale ente”.

Attesa l’esclusione – dallo stesso posta a premessa della censura in argomento – che sia nel caso “ipotizzabile un concorso di colpa dello stesso danneggiato”, è infatti (al di là del contraddittorio ed erroneo formale riferimento alla colpa) l’apporzionamento/frazionamento del nesso di causalità a risultare dall’odierno ricorrente in realtà sostanzialmente evocato a fini della domandata riduzione del risarcimento dovuto.

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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