Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18856 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 12/07/2019), n.18856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11659/2018 proposto da:

K.T., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Mazzini 8

presso lo studio dell’avvocato Cecchini Cristina Laura che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Feroci Consuelo;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per Il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Di Ancona, Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 15/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal Dr. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.

MATERA MARCELLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 15.3.2018, il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale proposta da K.T., cittadino albanese. Il Tribunale, per quanto d’interesse, ha ritenuto non sussistere i presupposti per il riconoscimento delle misure di protezione richieste, non essendo i fatti da lui dedotti qualificabili come atti persecutori diretti e personali, ma piuttosto confinati nei limiti di una vicenda privata.

Ha escluso, inoltre, che nel Paese di origine sussista alcun tipo di emergenza non ravvisando, infine, specifiche vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

K.T. propone ricorso per cassazione per due motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa interpretazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. n. 722 del 1954, della Direttiva 2004/83/CE, attuata con D.Lgs. n. 251 del 2007, e, in particolare, degli artt. 2, 7, 8 e 14 dello stesso decreto. Il ricorrente osserva, anzitutto, che i motivi di persecuzione da porre a fondamento della domanda di protezione internazionale possono essere anche di natura privata, ed aggiunge che se fosse costretto a tornare nel proprio Paese “sarebbe esposto a sicuri attacchi da parte dei propri persecutori”. Il ricorrente aggiunge che il giudizio di inattendibilità formulato dalla Commissione territoriale, è stato recepito in modo superficiale dal Tribunale, il quale, disponendo di un potere officioso nella materia di cui trattasi, avrebbe, piuttosto, dovuto procedere direttamente al suo interrogatorio.

2. Il motivo presenta profili d’inammissibilità e d’infondatezza. Il Tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente -secondo cui la fuga dall’Albania era avvenuta a causa delle pressioni e delle minacce da parte dei proprietari confinanti, che pretendevano di estendere la loro proprietà e di appropriarsi della terra della sua famiglia- è estraneo alle ragioni tutelate con le misure di protezione internazionale, ed attiene a fatti di rilevanza esclusivamente privata.

3. Sulla scorta di tale accertamento di fatto, qui non ulteriormente apprezzabile, la censura in diritto va, quindi, respinta. Questa Corte (Cass. n. 9043 del 2019) ha, infatti, condivisibilmente affermato che: “Le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b)”. 4. Il ricorrente, che lamenta di non esser stato sentito dal Tribunale, non spiega, poi, quali ulteriori ragioni, rilevanti ai fini della protezione richiesta, avrebbe potuto in quella sede esporre al fine di corroborare la sua domanda, tenuto conto che, a prescindere dalla credibilità soggettiva, i motivi addotti, e ciò è troncante, esulano dal perimetro delle situazioni meritevoli di protezione.

5. Il secondo mezzo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente rileva che il permesso di soggiorno per motivi umanitari avrebbe dovuto riconoscersi in considerazione di più ragioni: il grado di integrazione raggiunto, l’ottima conoscenza della lingua italiana, l’essere esso istante in possesso di un contratto di lavoro, la nascita di una figlia in territorio nazionale.

6. Il motivo è inammissibile. Il Tribunale, come si è esposto in narrativa, ha del tutto escluso, in base a più fonti e con giudizio correttamente riferito all’attualità, che sussistano specifiche criticità in Albania, laddove l’apprezzamento in termini di situazioni di vulnerabilità degli elementi evidenziati in seno al motivo (integrazione, lavoro, padronanza della lingua, nascita della figlia in Italia) non può esser svolto in questa sede di legittimità.

7. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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