Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18854 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 12/07/2019), n.18854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11255/18 proposto da:

J.H., elettivamente domiciliato in Mirto Crosia, v. Aldo

Moro n. 35, presso l’avvocato Caterina Urso, che lo rappresenta e

difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro 29.9.2017 n.

1788;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9

maggio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. J.H., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

-) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7;

-) in subordine, il riconoscimento della protezione sussidiaria ex D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

-) in ulteriore subordine, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Secondo quanto riferito nel ricorso, a fondamento dell’istanza dedusse che gli era stato ingiunto da alcuni “talebani” (così nel ricorso, senza alcuna ulteriore precisazione) di addestrarsi per divenire un kamikaze; di avere rifiutato; che in seguito al rifiuto era stato torturato; che per la medesima ragione la sua casa era stata bruciata, e suo padre e suo fratello uccisi.

2. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento J.H. propose opposizione dinanzi al Tribunale di Catanzaro, che la rigettò con ordinanza del

14.11.2016.

L’ordinanza venne impugnata dal soccombente.

3. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 17.10.2017, rigettò

il gravame.

La Corte d’appello ritenne che:

-) non vi erano i presupposti per la concessione dello status di rifugiato, perchè i fatti narrati dal ricorrente erano indicativi di una “minaccia rivolta da un numero limitato di persone”, e che il ricorrente avrebbe potuto trovare protezione presso le autorità del suo Paese;

-) la protezione sussidiaria non poteva essere concessa, perchè gli episodi narrati dal ricorrente non evidenziavano affatto la situazione di violenza indiscriminata giustificativa della protezione sussidiaria; in ogni caso il pericolo grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 doveva essere attuale e non ipotetico, e nel caso di specie non lo era;

-) la protezione umanitaria non poteva essere concessa perchè il ricorrente non aveva prospettato alcuna situazione riconducibile a situazioni di emergenza sanitaria, alimentare od ambientale.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da J.H. con ricorso fondato su sei motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Prima di esaminare il merito delle censure proposte dal ricorrente, va rilevata l’irricevibilità della memoria di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c., spedita dal ricorrente per posta, e pervenuta l’8.5.2019.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che nel giudizio di legittimità le memorie ex art. 380 bis c.p.c. non possono essere depositate a mezzo posta, poichè a tale giudizio non è applicabile l’art. 134 disp. att. c.p.c., dettato esclusivamente per il deposito del ricorso e del controricorso (ex multis, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8835 del 10/04/2018, Rv. 648717 – 01).

Pertanto nulla rileva la data in cui tale atto venne consegnato al servizio postale, e di conseguenza è altresì irricevibile l’istanza di rimessione in termini, per il deposito della memoria in questione, depositata dalla difesa del ricorrente il 9.5.2019.

1.2. Va altresì rilevato, in via preliminare, che il ricorso è stato notificato all’Avvocatura Distrettuale dello Stato, invece che all’Avvocatura Generale, in violazione del precetto di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, comma 1.

Tuttavia poichè, per quanto si dirà, il ricorso è in parte inammissibile, ed in parte manifestamente infondato, è inutile ordinare la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c., in virtù del principio di economia dei giudizi e ragionevole durata del processo (cfr., per la prima affermazione del principio, già Sez. 1, Sentenza n. 2823 del 06/05/1985, Rv. 440586 – 01).

2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso.

2.1. Il primo il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni tra loro connesse.

Con ambedue questi motivi il ricorrente lamenta, prospettando sia il vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3; sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che erroneamente la Corte d’appello avrebbe rigettato la sua domanda di concessione dello status di rifugiato.

Sostiene che la Corte d’appello, così decidendo, avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 7, poichè avrebbe escluso che l’odierno ricorrente sia stato perseguitato per la sua appartenenza ad un determinato gruppo religioso. Sostiene che il contrario si sarebbe dovuto ritenere in base a quanto emerge da una fonte definita autorevole, ovvero il sito web “Wikipedia”, ad vocem “Talebani”; che l’essere costretti a compiere atti criminali in nome di una fede religiosa, sotto la minaccia di tortura, costituisce una “persecuzione” per motivi religiosi, idonea dunque a legittimare la concessione dello status di rifugiato; che la Corte d’appello avrebbe omesso di prendere in esami tali circostanze di fatto.

2.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nel chiarire cosa debba intendersi per “omesso esame d’un fatto decisivo”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e come vada denunciato in sede di legittimità tale errore, hanno stabilito (quattro anni prima dell’introduzione del presente ricorso) che colui il quale intenda denunciare in sede di legittimità un errore consistito nell’omesso esame d’un fatto decisivo, ha l’onere di indicare:

(a) quale fatto non sarebbe stato esaminato;

(b) quando e da chi era stato dedotto in giudizio;

(c) come era stato provato;

(d) perchè era decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Nel caso di specie, il primo motivo di ricorso non contiene nemmeno una delle suddette analitiche indicazioni, nè spiega quale “fatto materiale” la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare. In realtà il ricorrente denuncia come “omesso esame del fatto” (p. 9, ultimo capoverso, del ricorso), quella che più propriamente fu una valutazione dei fatti, e come tale non sindacabile in questa sede.

2.3. Anche nella parte in cui lamenta il vizio di violazione di legge il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello, infatti, dopo avere ampiamente esposto – citando le fonti – le condizioni socioeconomiche del Pakistan (pp. 6-14 della sentenza impugnata) ha concluso che:

-) il ricorrente non avesse diritto di asilo, perchè i fatti da lui narrati erano espressione di “una minaccia rivolta da un numero limitato di persone, per un fatto specifico, peraltro risalente nel tempo, rispetto al quale l’istante ben potrebbe trovare astrattamente protezione del suo Paese”

-) il ricorrente non avesse diritto alla protezione sussidiaria, perchè nella regione da lui abitata non sussisteva una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno; ha escluso che i conflitti che riguardano il Pakistan comportino un livello così elevato di intensità che la sola presenza del soggetto nel suo territorio comporterebbe una minaccia individuale; ha ritenuto che nel Punjab, provincia di provenienza dell’odierno ricorrente, il numero degli attacchi terroristici poteva considerarsi non particolarmente elevato, tenuto conto dell’estensione del territorio e del numero degli abitanti.

L’una e l’altra delle suddette valutazioni, giuste o sbagliate che fossero, costituiscono altrettanti apprezzamenti di fatto, riservate al giudice di merito, e non sindacabili in sede di legittimità.

3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

3.1. Anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.

Con ambedue questi motivi il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Sostiene che la corte d’appello avrebbe compiuto delle “disquisizioni giuridiche astratte”, omettendo di svolgere una specifica motivazione in ordine alla fattispecie concreta; che il giudice investito della domanda di protezione internazionale ha il compito di attuare una cooperazione istruttoria anche d’ufficio nei confronti ed a favore del richiedente.

3.2. Ambedue i motivi sono inammissibili, a causa della totale estraneità delle censure in essi prospettate rispetto alla ratio decidendi.

L’appello, infatti, è stato rigettato non per difetto di prova (unico caso nel quale si sarebbe potuta astrattamente prospettare, dinanzi a questa Corte, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cooperazione istruttoria); ma sul presupposto che dagli atti risultasse la prova concreta della insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per la concessione tanto dell’asilo, quanto della protezione umanitaria.

E va da sè che la violazione del dovere di cooperazione istruttoria non può prospettarsi in questa sede sol perchè il giudice di merito abbia valutato le prove raccolte in modo non gradito alla parte soccombente

5. Il quinto motivo di ricorso.

5.1. Col quinto motivo il ricorrente censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Sostiene che la corte d’appello, rigettando la relativa domanda, avrebbe violato il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonchè il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Deduce, a fondamento di tali allegazioni, che l’odierno ricorrente in caso di rientro in Pakistan “sarebbe condannato ad una vita di totale indigenza, miseria e povertà, oltre al rischio di essere ucciso”. L’illustrazione del motivo prosegue richiamando varie norme della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; del patto internazionale relativo ai diritti economici e sociali; nonchè talune decisioni di merito.

5.2. Il motivo è inammissibile, per due indipendenti ragioni:

-) la prima è che lo stabilire se ricorrano o non ricorrano i presupposti della concessione della protezione umanitaria è un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito;

-) la seconda ragione di inammissibilità del motivo è che il ricorrente, in violazione del precetto di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 6, non deduce nè quali sarebbero nel caso concreto le circostanze di fatto dedotte a fondamento della originaria domanda di concessione della protezione umanitaria; nè in quale atto ed in quali termini vennero dedotte in giudizio.

6. Il sesto motivo di ricorso.

6.1. Col sesto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione da parte della Corte d’appello dell’art. 6 CEDU, nonchè degli artt. 24 e 117 Cost..

Lamenta che tanto la sentenza di primo grado, quanto quello di appello, si sono fondate “solo sulle dichiarazioni rese nel verbale di audizione dal richiedente, e senza l’acquisizione della documentazione dal ricorrente prodotta dinanzi la Commissione Internazionale (sic), con conseguente mancato completamento dell’istruttoria”.

6.2. Il motivo è inammissibile perchè, in violazione del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non illustra quali dichiarazioni il ricorrente avrebbe inteso compiere dinanzi la Corte d’appello, nè quali siano le richieste istruttorie del cui rigetto si duole; nè quale fosse il contenuto e la rilevanza dei documenti dei quali chiese la traduzione in grado di appello.

7. Le spese.

7.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’amministrazione.

7.2. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01).

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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